Pubblichiamo di seguito la “Nota del curatore e direttore”. Questo
numero monografico, dal titolo forse ambizioso ma metodologicamente essenziale –
Teatro italiano fra testo, performance e
scena – mira a contribuire con eccellenti e selezionati saggi al vasto tema
del rapporto fra i sopraccitati elementi che, insieme ad altri ma più di altri,
danno vita allo spettacolo. Non sintende certo esaurire un argomento così vasto,
in più luoghi affrontato dalla storiografia attraverso varie metodologie. Ciò
nonostante, tale articolato e complesso tema, importante e fondamentale per la
storia della scena italiana, troverà un sicuro, valido e ulteriore
arricchimento attraverso i contributi di questo volume speciale di Quaderni ditalianistica.
Lo storico
del teatro, pur in un vario panorama metodologico, quando si rivolge a reperti
del passato vive unintrinseca, direi necessaria, frustrazione: levanescenza della
performance. In secoli lontani dalla riproduzione-registrazione audiovisiva il
dato della serata, il gesto e la voce dellattore/attrice, loccasione stessa
della rappresentazione rimangono virtualmente inafferrabili. Di qui
limportanza non solo del testo teatrale, ma anche del contesto che circonda
sia il testo stesso, sia lo spettacolo in cui prende vita.
Inoltre, per
lo studioso dopera o di commedia o di interpreti del passato, è imprescindibile e necessario rivolgersi a una
varia e vasta messe di fonti e contesti a volte apparentemente eterogenei:
testi (ma letti come documenti), carte darchivio, lettere, cronache, memorie,
diari di viaggiatori, eventi storici, piante e progetti dei teatri, storie
dinastiche, trattati ecc. I settori disciplinari a volte sintrecciano,
dovendo, lo studioso, per osservare il suo oggetto composito (testo, paratesto,
attori, messinscena, dedicatari…) rivolgersi alla storia dellarte,
allarchitettura, alla storia delle idee, della politica, delle corti, della
religione, della letteratura, del viaggio e a molti altri settori disciplinari
o “arti.” Nel caso dellopera in musica si aggiungono la musicologia e la
storia sia della notazione musicale, sia della coreografia (per la danza e i
balli). A questo proposito, in particolare in ambito italiano tra XVI e XVIII
secolo, lo spettacolo poteva basarsi anche su un non-testo, quello dei
canovacci della commedia dellArte in cui la performance dellattore o
dellattrice (o di gruppi o coppie di attori) diventava il vero testo dello
spettacolo spingendo in sottofondo la produzione letteraria a favore di una
tecnica dimprovvisazione che si rivolgeva, ai livelli artisticamente più alti,
alle figure combinate della retorica — si veda ciò che scrive nel 1699 Andrea Perrucci —, alluso di formule
petrarchesche, a inserti musicali, ma anche, e forse essenzialmente per certa
parte del pubblico, al lazzo, alla scenetta comicissima, performativa, basata
sul frizzo linguistico e/o lacrobazia fisica, spesso bagaglio e cifra di un
certo attore o di unattrice — si pensi alla scena della “pazzia dIsabella”
recitata da Isabella Canali Andreini
che diventa un intero canovaccio pubblicato da Flaminio Scala col titolo La
Pazzia dIsabella.
Tuttavia non
solo di attori professionisti era, e in parte è, fatto il teatro. Anzi, si
potrebbe dire che i non professionisti fossero la maggioranza di coloro che si
esibivano su vari tipi di scene e in vari tipi di contesti spettacolari. Dai
dilettanti cortigiani e dei circoli degli umanisti agli studenti e ai giovani
membri delle confraternite o delle compagnie della Calza e così via. A molte
altre realtà, spesso private e domestiche, si affidava il teatro, che era agito
nelle scuole, nei collegi dei gesuiti (dalla metà del XVI sec.), nelle
confraternite, nei palazzi reali o nobiliari o anche in benestanti dimore
borghesi, sui sagrati delle chiese e nelle chiese stesse – si ricordino le
grandi sacre rappresentazioni di stile fiorentino allestite da Brunelleschi nella Firenze del
Quattrocento e in occasione del concilio del 1439, evento fondante per la
cultura fiorentina rinascimentale (e non solo) – ma anche nelle piazze, sulle
panche dei montipanca, sui piccoli palcoscenici dei venditori di specifici.
Appunto, il luogo dello spettacolo – luogo teatrale, si dovrebbe dire, seguendo
unacquisita differenziazione che distingue tra luogo teatrale ed edificio teatrale
–, che da indefinito diviene sempre più definito e specifico, oltre che via via
incluso nel tessuto urbanistico maggiore delle città, fino a giungere a una
vera proliferazione di teatri e teatrini nel Settecento (in città, paesi e
financo borghi, ville). Il secolo di Goldoni e Metastasio può ben essere
definito unepoca di teatro e rivoluzioni, borghesi ma anche arcadiche e
massoniche.
Il testo
stesso prende anche altre strade, altre forme e si avvicina a una “intenzione” più
moderna, non solo con la riforma del grande autore veneto della metà del XVIII
secolo, ma anche attraverso una maggiore, più incisiva, più dirigista presenza
del drammaturgo nei testi stessi, attraverso didascalie e indicazioni sceniche.
Un teatro,
dunque, che si divide non solo tra professionismo, strategie autopromozionali —
mirate anche allavanzamento sociale — e dilettantismo di vario livello, ma
anche in generi, ognuno dei quali è in relativa o accesa competizione con gli
altri: il teatro comico in prosa con quello serio, il teatro improvviso (la
commedia dellArte, sostanzialmente) con il teatro “premeditato,” il teatro
musicale con lopera seria da un lato e quella buffa dallaltro rivali tra
loro, e lopera buffa era a sua volta in concorrenza con il teatro comico
coevo, da cui era “attratta” ma che voleva tenere lontano per motivi di
prestigio di “casta.” Si assiste anche, e sempre più frequentemente, al
formarsi di compagnie per tutte le stagioni o i generi e che offrivano
tragedie, commedie, opere buffe e/o intermezzi musicali comici allinterno di
un vorticoso aumento sia dellofferta, sia della domanda di spettacolo. La
concorrenzialità tra generi e professionisti, se vista da vertici troppo alti,
si potrebbe “rinchiudere,” valutandola, in considerazioni solo culturali e
artistiche. Invece, dalla metà del XVI sec., con la vendita del teatro, da
quello dellArte ai primi teatri dopera a pagamento (a Venezia nella prima
metà del Seicento), il fenomeno diventa un vasto mercato che coinvolge anche
leditoria e altri settori produttivi, e in cui testi, professionisti, autori,
attori, impresari, musicisti, scenografi, falegnami, costumisti e i teatri
stessi sono in “concorrenza” tra loro per il prestigio, per la sopravvivenza,
per la “mercatura” dello spettacolo. La combinazione di testo e professionismo
teatrale, associata a unevoluzione dei generi (lopera buffa e seria), e a una
proliferazione degli edifici teatrali, influenzerà, assieme al cambiare delle
stagioni e dei gusti culturali, il mutare dei generi stessi.
Per corti
aristocratiche, teatri, stanze per le commedie, attraverso lattività di
intellettuali e professionisti, o nelle pagine dei trattati e dei testi si
articola questo numero monografico che spazia dal Rinascimento fiorentino e
napoletano al Novecento italiano e di nuovo napoletano, passando per il
prezioso Settecento musicale e in prosa. Si noterà, nei saggi, uno
“sbilanciamento” sia a favore del Cinquecento e del Settecento, sia a favore di
Napoli e Firenze, con linclusione, però, anche di Venezia. Uno squilibrio
“tendenzioso” e del tutto intenzionale.
Infatti, un
numero più concentrato sulla varietà delle piazze teatrali avrebbe richiesto
uno spazio molto più ampio di quello a disposizione. Da questo deriva la scelta
di eleggere certi aspetti e certe tradizioni locali nella selezione dei
contributi.
Gli
interessi del curatore, che si articolano, per lappunto, fra teatro italiano
del XV, XVI e XVIII secolo, segnatamente tra Napoli e Firenze, hanno
sicuramente influenzato la fisionomia storica di questo volume.
Delle
importanti e interessantissime sperimentazioni quattrocentesche napoletane dambito
aragonese, con il sovrapporsi di complesse filiere culturali, tratta lesteso e
ricco saggio di Francesca Bortoletti.
La cultura spettacolare durante il dominio degli Aragonesi non è stata oggetto
di numerosi e validi studi, come meriterebbe, forse anche per le
caratteristiche di “città-stato teatrale” di Napoli, slegata dallo scintillante
e “sperimentale” circuito delle corti del centro-nord e della Roma papale. Il
presente contributo arricchisce sensibilmente la comprensione di questo particolare
e rilevante fenomeno del teatro del Rinascimento che negli ultimi anni ha visto
lapporto di importanti contributi, incluso quello di Bortoletti. Fu un mondo,
quello napoletano rinascimentale, che coinvolse figure cardine dello spettacolo
come Francesco de Nobili, detto Cherea, e famiglie centrali per la
committenza e la propagazione di testi e idee del teatro umanista come i Sanseverino.
Michel Plaisance si occupa di uno dei testi più affascinanti del primo Cinquecento
fiorentino, anche a causa del destino dellautore: lAridosia di Lorenzino de
Medici (Lorenzo di Pierfrancesco de Medici), il “Lorenzaccio,” il Bruto
del Rinascimento, che affascinò i romantici ma anche Carmelo Bene e che assassinò il duca Alessandro de Medici, per essere poi ucciso dai sicari di Cosimo I.
Lo studioso
francese presenta unacquisizione importante per la comprensione di questa
perla della drammaturgia fiorentina, e italiana, dei primi anni del principato
mediceo: un manoscritto della biblioteca Riccardiana di Firenze che Plaisance
utilizza per chiarire il vero “senso” del testo che, come è nello stile
metodologico dello studioso di Sorbonne Nouvelle-Paris III, viene illustrato
anche attraverso una serrata contestualizzazione degli obiettivi politici e la
ricognizione di ricchissime filiere culturali e testuali.
Konrad Eisenbichler, studioso a cui questa rivista
deve molto, presenta e discute, invece, un grande drammaturgo della Firenze e
dellItalia del Cinquecento: il notaio Giovan
Maria Cecchi, il più prolifico tra gli autori dei suoi anni e del suo ambiente.
In lui la compenetrazione utilitaristica, e artistica, dei generi assume aspetti
emblematici sia per la perizia con cui essa è condotta, sia per il contesto, come
esemplifica Eisenbichler (massimo esegeta di Cecchi), sociale e performativo fiorentino.
Lanalisi che ne risulta mette insieme, di questo importante rappresentante
della cultura teatrale del XVI secolo, il testo con gli aspetti performativi,
“comici” e sociali, intersecando realtà teatrali con altri aspetti del tempo,
che vanno dal teatro nelle confraternite alle commistioni tra testi
“rinascimentali” e teatro sacro, ma anche tra commedia dellArte e teatro
“colto,” con esiti analitici inattesi e importanti.
Rosalind Kerr, esperta di attrici e teatro barocco italiani (in
particolare la commedia dellArte), ci presenta le “dive” della scena italiana
tardo-rinascimentale e barocca. Attrici, o meglio sarebbe dire donne, che
usarono le loro capacità intellettuali e letterarie per crearsi una persona
oltre quella della scena — e oltre quella oscena che le marchiava socialmente —
che potesse elevarle nel consesso delle arti e della società. Strategie
testuali e culturali mirate e brillanti da vere dive ante litteram che molto hanno fatto per lemancipazione della
figura dellattrice, della professione teatrale al femminile, e della donna in
generale.
Il saggio di
Anthony Del Donna, eccellente
studioso del mondo musicale napoletano del Settecento (segnatamente della
seconda metà del secolo), esplora un particolare e rilevante aspetto di una
cultura della “riforma” che dal nord influenza, al di là dei noti e oramai
studiatissimi esiti metastasiani locali, lopera seria. Mettendo al centro
della sua analisi un importante trattato di Antonio Planelli (Dellopera
in musica, 1772), Del Donna evidenza lo svilupparsi di particolari forme di
opera sacra, o, meglio, teatro musicale sacro che ebbe nella Napoli borbonica
del secondo Settecento risultati e creazioni singolarissimi e importanti.
Dalla corte
aragonese il passaggio alla scintillante, mercantile, e artistica al tempo stesso,
vita teatrale del secolo doro per la scena musicale napoletana rappresenta unimportante
ed essenziale panoramica su una delle grandi capitali dello spettacolo europeo.
Il saggio si conclude con unattenta analisi dellazione sacra della Quaresima,
un genere particolarmente napoletano, legato al borbonico teatro di San Carlo,
che colmava gli spazi vuoti lasciati nella programmazione stagionale a causa
delle proibizioni teatrali durante la quaresima con una tipologia
particolarissima di drammaturgia sacro-musicale-devozionale.
Roberta Turchi ci conduce verso un aspetto essenziale delluso di vari strumenti
oltre quelli testuali per lanalisi della drammaturgia goldoniana: le illustrazioni
di Pietro Antonio Novelli alle
edizioni Pasquali e Zatta dellopera dellavvocato
veneziano. Unaltra filiera, nel composito scacchiere metodologico a cui si
faceva riferimento, che implica un avvicinarsi — impossibile tanto quanto affascinante
— a quellinafferrabile oggetto di studio che è la serata teatrale, lo spettacolo
del passato, lattore, la messinscena, la recitazione, lo stile. La studiosa sostiene
come lo sguardo di Novelli si riveli analogo a quello di critico, tanto da
portarci, appunto, verso una maggiore comprensione del teatro di Goldoni, di
cui lautrice analizza, alla luce delle illustrazioni e di altri elementi,
unopera fondamentale: La Trilogia della
villeggiatura.
Questa
raccolta di saggi si chiude con un balzo nel miglior Novecento italiano.
Di nuovo Napoli, città che
più di altre, o forse come nessunaltra, mantiene, nella tradizione delle
famiglie teatrali (di buffi nellopera o di attori nel teatro comico), un forte
legame con il passato, insieme a unintrinseca ed endemica sovrapposizione di generi
(musica, teatro, letteratura dialettale). Pasquale
Sabbatino analizza i rapporti di uno dei più grandi esponenti di questa
peculiarità performativa locale, Peppino
De Filippo, con Luigi Pirandello
per gli adattamenti teatrali fatti da Peppino da testi del maggior drammaturgo
italiano del XX secolo. Siamo così nel vivo del rapporto fra testo e attore
che, nel caso napoletano, implica ulteriori convergenze come quelle che
riguardano lingua e dialetto. La tradizione “alta” di Pirandello (pur sempre,
però, legatissima al teatro vivo degli attori), si lega a quella dellattore di
tradizione famigliare e al suo utilizzo del testo. Una serrata ricognizione di
edizioni e scambi epistolari illumina di nuova e importante luce i rapporti tra
il più particolare dei De Filippo, Peppino, e il più innovativo dei drammaturghi
italiani del secolo scorso.
di Gianni Cicali
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