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Alberto Benedetto, Brecht e il Piccolo Teatro. Una questione di diritti, introduzione di Sergio Escobar, postfazione di Stefano Massini, Sesto San Giovanni (Mi), Mimesis, 2016 Teatro

Il 10 febbraio 1956 debuttò al Piccolo Teatro di Milano l’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht per la regia di Giorgio Strehler. L’episodio è noto: la recita fu un successo e il drammaturgo di Augusta, che assistette allo spettacolo, ne rimase entusiasta. Lo attestano due biglietti vergati a mano e indirizzati rispettivamente a Paolo Grassi, «Lo spettacolo è magnifico. Molte grazie» (p. 27), e allo stesso Strehler: «Caro Strehler, mi piacerebbe poterle affidare per l’Europa tutte le mie opere, una dopo l’altra. Grazie. Bertolt Brecht» (p. 28).

Poche righe di apprezzamento per il lavoro del regista triestino, ma su cui si è giocata ampia parte della questione dei diritti di rappresentanza delle opere di Brecht in Italia. Per oltre ventiquattro anni quelle poche righe furono interpretate da Grassi come una delega morale che riconosceva nel Piccolo Teatro il “Zentrum” delle espressioni e delle rappresentazioni dell’opera brechtiana in Italia e in Strehler il “suo” regista. Dal canto proprio quest’ultimo vi lesse la volontà testamentaria di Brecht di affidargli la tutela di tutte le sue opere in Italia ed Europa.

Ma se il rapporto privilegiato fra Brecht e il Piccolo Teatro di Milano è un fatto ormai acquisito e indagato dalla storiografia, meno chiare, sino ad oggi, sono le dinamiche che videro il teatro diretto da Paolo Grassi divenire il mediatore, e assai più spesso l’ostacolo, fra gli “aventi diritto” dei capolavori brechtiani e gli altri teatri italiani. Dinamiche ora puntualmente indagate dal volume di Alberto Benedetto: Brecht e il Piccolo Teatro. Una questione di diritti. L’autore vi ricostruisce, anche grazie a un’ampia documentazione di prima mano, i complessi e spesso tesi rapporti tra Grassi, la moglie di Brecht Helene Weigelg e la casa editrice tedesca Suhrkamp. Mettendo opportunamente in luce la lungimirante strategia di Grassi, ma anche le umiliazioni, gli egoismi e le solitudini di uno dei protagonisti del teatro del Novecento.

Attraverso un ricco epistolario, Benedetto ridisegna il mosaico di tattiche, equivoci, rotture, alleanze e polemiche che caratterizzarono la parabola dei rapporti tra Grassi e gli eredi di Brecht. Quest’ultimi, almeno in un primo momento, si affidarono a lui per valutare l’opportunità o meno di rilasciare i diritti di rappresentazione alle altre compagnie teatrali italiane. Assegnandogli così, di fatto quando non di diritto, il ruolo di “supervisore” sulla politica brechtiana in Italia, sino a fargli ottenere quasi un regime di monopolio a favore del Piccolo Teatro. Non concessero però accordi scritti, nonostante i diversi tentativi di Grassi di “ufficializzare” la propria posizione. Così che, quando il sempre maggiore controllo che da Milano si esercitava sulle rappresentazioni delle opere di Brecht cominciò a infastidire sia i registi e gli impresari italiani che gli stessi eredi, questi non esitarono a mettere in discussione i vantaggi sino a quel momento concessi. Cogliendo nel divorzio tra Strehler dal Piccolo Teatro il momento opportuno per assestare il colpo decisivo alla sempre più instabile posizione privilegiata a lungo occupata da Grassi.

                                                                   Lorena Vallieri


INDICE

Avvertenze di consultazione

Introduzione, di Sergio Escobar

1. Primi contatti

2. L’Opera da tre soldi

3. Il dopo Brecht

4. La morte di Peter Suhrkamp

5. La resistibile ascesa di Arturo Ui

6. Il primo accordo

7. Vita di Galileo

8. Un secondo mancato accordo

9. Puntila e il suo servo Matti

10. Strehler lascia il Piccolo Teatro

11. L’ultimo accordo

12. Conclusioni

Postfazione

Il tempo di Brecht, di Stefano Massini

Appendice fotografica

Indice dei nomi

Bibliografia




 
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