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Carlo Goldoni

Il festino

A cura di Chiara Biagioli

Venezia, Marsilio, 2014, pp. 344, euro 22,00
ISBN 978-88-317-2045-8

Rappresentato la prima volta nelle ultime sere del carnevale del 1754 e pubblicato nel secondo tomo dell’edizione Pitteri nel 1757, Il festino va iscritto a pieno titolo nella lista delle opere più significativamente programmatiche di Carlo Goldoni. Scritto di getto in appena cinque giorni, esso è un piccolo manifesto di poetica e un raffinato strumento di difesa e contrattacco nella battaglia contro Pietro Chiari e i suoi agguerriti sostenitori. Vi si trovano infatti, oltre alla condanna del cicisbeismo, che caratterizza l’argomento principale, espliciti riferimenti alla vita teatrale veneziana contemporanea, particolarmente alle recenti rappresentazioni di testi goldoniani e alla loro fortuna (Il vecchio bizzarro, La sposa persiana, L’uomo sincero, fino allo stesso Festino, alla prima recita del quale, nell’ultimo atto, dicono di aver assistito tre personaggi della commedia; cfr. rispettivamente I 5 161-208, II 12 379-438, III 13 391-396, V 5 61-62). Così, con eleganza e una discreta dose di mestiere, Goldoni si svincola dai gangli della polemica spicciola e contrasta i suoi avversari come meglio sa fare, incaricando i personaggi positivi di perorare la sua difesa (qui affidata alla contessa) e conquistando il plauso del pubblico con il lavoro.

Le argomentazioni teoriche, disseminate nella commedia e già espresse sulla scena nel 1754, acquistano ulteriore spessore nella stampa, messe in parallelo con la dedica al conte lombardo Pietro Verri, in Arcadia Midonte Priamideo. Sul ruolo di quest’ultimo come energico sostenitore di Goldoni si sofferma con cura Roberta Turchi nell’Introduzione al volume. La Prefazione al Teatro comico di Philipe Néricault Destouches (tradotto da Vittoria Ottoboni Serbelloni, 1754), il poemetto in versi martelliani La vera commedia (1755), i Frammenti morali, scientifici, eruditi e poetici (1756) sono i luoghi in cui Verri porta il nome di Goldoni «all’apice della Gloria; lavora per [lui] un seggio onorato fra gli accreditati Scrittori della Commedia, e [gli] corona la fronte col più bel frutto de’ [suoi] sudori» (p. 96).

In aperta polemica con il teatro di Chiari, nei suoi scritti il giovane Verri elogia a più riprese l’opera di Goldoni, celebrandone i meriti comunicativi e la costante attenzione alla reazione del pubblico, la cura della lingua e del «principio della verosimiglianza» (p. 26), la riflessione sull’attualità delle tematiche sociali come fondamento della missione maieutica del teatro, tutte qualità che fanno di una commedia La vera commedia. L’appassionata crociata di Verri contro i chiaristi, autori della raccolta modenese Della vera poesia teatrale (1754), giunge a scomodare Orazio e Diderot: al primo il conte si appella per sostenere l’influenza del pubblico sulle scelte a cui è chiamato il poeta, del secondo rilancia il concetto di recitazione “naturale” già espresso nel lemma déclamation nel quarto volume dell’Encyclopédie e destinato di lì a poco a confluire nel Paradoxe. In tal senso la dedica del Festino a Verri chiude un cerchio intorno al primo quadriennio goldoniano al San Luca, segnato in partenza dalla famosa polemica con Bettinelli-Medebach e in conclusione dalla pubblicazione dei primi due tomi delle opere per Pitteri, tutto condito dalle sempre più feroci “gare teatrali” con Chiari.

Il volume è impreziosito da un ricco e puntuale commento a cura di Chiara Biagioli, autrice anche della Nota sulla fortuna. Dopo il debutto veneziano e prima della sua pubblicazione, il testo, di cui Goldoni autorizzò solo la stampa per Pitteri, conobbe riprese «in altre parti […] ed ebbe da per tutto estraordinaria fortuna» (p. 104). Si conoscono le cinque rappresentazioni a Milano, dove lo vide Pietro Verri, precedute probabilmente da alcune recite genovesi (secondo il giro che nel 1754 seguì la compagnia). A Torino Il festino fu recitato almeno dalla compagnia Sacco prima del 1757. Certamente la commedia fu messa in scena alla corte di Augusto III a Dresda, dove i coniugi Pietro e Teresa Gandini la portarono in dote rappresentandola nel febbraio 1756. Nonostante i molteplici riferimenti all’epoca della sua composizione e gli ammiccamenti alle gare con Chiari, la costruzione agile permise una grande circolazione del testo anche in anni successivi, sia nella sua forma originale che come dramma giocoso (la riscrittura fu operata da Goldoni nel 1756 su richiesta dell’infante Filippo di Borbone), e le sue rappresentazioni si sono moltiplicate con buon esito fino a tempi recentissimi.


Lorenzo Galletti


La copertina

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