Elena Marcheschi
Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva
Torino, Kaplan, 2015, 160 pp., euro 15,00
ISBN 9788899559007
Data di pubblicazione su web 31/05/2016
Volgendo lo
sguardo verso le Videoestetiche dell'emergenza,
l'autrice prosegue la propria indagine alla ricerca di nuove derive emerse dalla
sperimentazione videoartistica. Uno sguardo curioso, quello di Elena Marcheschi, allenato nelle rassegne,
nei festival internazionali di cinema, di video, nelle mostre di arte
contemporanea, ma soprattutto nella «palestra formativa» (p. 19) milanese di
Invideo – Mostra internazionale di video e cinema oltre, con cui collabora dal
2005. Cura insieme a Maurizio Ambrosini
e Giovanna Maina il volume I film in tasca. Videofonino, cinema e
televisione (Pisa, Felici Editore, 2009) in cui, grazie agli interventi dei
tre curatori e a quelli di Valentina Re,
Federico Zecca, Luca Barra, Massimo
Scaglioni, Livia Giunti, Maurizio Gaudiosi, Alessandro Amaducci, vengono indagati i cambiamenti connessi alle
possibilità offerte dal nuovo mezzo di registrare e, attraverso il solito schermo,
visualizzare i filmati. Nel 2012 dà alla stampa il suo primo contributo
monografico: Sguardi eccentrici. Il fantastico
nella arti elettroniche, edito da ETS all'interno della collana “Scritture
della visione”.
A distanza
di tre anni una nuova finestra sulla videoarte contemporanea mostra l'eco di
uno stato di inquietudine che sta definendo l'estetica del ventunesimo secolo: Videoestetiche dell'emergenza. L'immagine
della crisi nella sperimentazione audiovisiva edito da Kaplan. È proprio alla
sperimentazione audiovisiva che l'autrice riconosce il merito di svelarsi «sempre
sensibile ai contesti, anticipatrice di emergenze, rilevatrice di criticità,
acuta osservatrice e traduttrice dei fenomeni» (p. 10). Con il suo contributo Marcheschi
vuole richiamare l'attenzione su una produzione artistica forse ancora
marginale, se osservata in termini di fruizione da parte del grande pubblico,
ma capace di rivelare nelle proprie sperimentazioni il respiro del tempo,
l'evoluzione dei linguaggi della contemporaneità sensibili all'interscambio tra
la produzione cinematografica e i nuovi media. L'autrice si interroga dunque su
una specifica dimensione, quella intermediale, in cui le immagini e i mezzi di
comunicazione convergono, dando luogo a un'inedita modalità di narrazione per la
quale appare necessario non solo un nuovo sguardo interpretativo, ma un totale
ripensamento delle metodologie di analisi. Marcheschi sceglie di raccontare
queste sperimentazioni descrivendole attentamente, quasi frame by frame, tanto da farcele esperire attraverso il suo
racconto, facendo sì che le parole si trasformino in immagini in movimento.
Le prime
che prendono forma davanti ai nostri occhi sono quelle dell'aereo che impatta
contro la Torre Nord del World Trade Center di New York. Dopo appena venti
minuti un secondo Boeing 767 si schianta sulla Torre Sud. Miliardi di spettatori
increduli, incollati davanti ai televisori, accompagnano con il proprio sguardo
il volo nel vuoto di carte e di vite. Un caso di «eccezionale sovraesposizione
mediatica» (Jürgen Habermas in Giovanna
Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi
con Jürgen Habermas e Jaques Derrida, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 32) che,
secondo il filosofo tedesco Jürgen
Habermas, ha trasformato la folla degli spettatori in una «platea di
testimoni oculari impietriti» (ibidem)
costretti non solo ad assistere alla distruzione di due icone della potenza mondiale
statunitense, ma anche a partecipare alla lenta agonia e alla crudele sorte di
migliaia di vittime.
«Non è
successo che la realtà sia entrata nella nostra immagine» – argomenta Marcheschi
attraverso le parole del filosofo sloveno Slavoj
Žižek – «ma che l'immagine sia entrata e abbia sconvolto la realtà» (Welcome to the Desert of the Real: Five
Essays on September 11, London-New York, Verso, 2002, tr. it. Benvenuti nel deserto del reale. Cinque
saggi sull'11 settembre e date simili, Roma, Meltemi, 2002, p. 20).
Marcheschi
raccorda gli esiti di una sperimentazione audiovisiva contemporanea, sia
monocanale che videoinstallativa, variegata anche nei temi trattati. Raccoglie
cioè quaranta opere di artisti che non necessariamente si sono interrogati
sull'evento specifico, ma i cui contributi possono essere classificati in
questo clima di allarme post 11 settembre. L'analisi non è sequenziale, ma
tutto funziona come una mappa mentale strutturata su un nucleo costituito dalle
immagini del collasso delle Twin Towers, e dal quale scaturiscono i quattro
capitoli o «nuclei tematici» (p. 15): il primo Geografie dei conflitti dedicato alle guerre (pp. 21-50); il
secondo Emergenza pianeta Terra:
incidenti nucleari, calamità naturali e psicosi collettive dove disastri
accaduti o prefigurati convivono in una costante condizione di allarme (pp.
51-74); il terzo Società globale, effetti
collaterali connessi ai flussi migratori e allo stravolgimento degli spazi
urbani (pp. 75-103); il quarto e ultimo raccoglie contributi audiovisivi sul
tema della Contro/informazione e
contro/politica (pp. 105-129).
Le citate opere audiovisive mostrano scenari che si aprono dentro lo
schermo e che riflettono come in uno specchio la condizione più umana, più intima.
Lontana dalle istanze narrative e dalla dimensione finzionale filmica, qui la
comprensione diventa meno immediata e le immagini non si susseguono per offrire
risposte, ma per aprire interrogativi, abissi tesi a scrutare e smuovere la coscienza
critica dello spettatore. «Entrare in quella dimensione dove “le immagini ci
abbracciano” [G. Didi-Huberman, L'image
ouverte, p. 1] implica prendere coscienza attraverso un'etica dello
sguardo, di ciò che ci circonda e, tra evidenza e immaginazione, arrivare a
vedere e a comprendere meglio il tutto: noi stessi, il mondo, la storia» (p. 18).
di Elisa Bianchi
Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva
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