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L’Amleto di Cesare Rossi

A cura di Sandra Pietrini, con saggi di Angela Frattolillo e Stefania Stefanelli
«Nuovi studi Fanesi», n. 27 (2013-2014)

245 pp., euro 12,00
ISBN 1125-8799

Le pubblicazioni scientifiche più riuscite sono forse quelle che anziché raggiungere un solo scopo, quello prefisso e dichiarato, ne raggiungono due: il suddetto e uno ad esso correlato. È il caso del volume L’Amleto di Cesare Rossi, edito nella collana “Nuovi Studi Fanesi” della Biblioteca Federiciana di Fano, ente impegnato da tempo nella valorizzazione dell’archivio di memorie del “grande attore” marchigiano, la cui importanza per gli studi sul teatro ottocentesco era già stata segnalata nel 1932 da Adolfo Mabellini (nell’Inventario dei manoscritti della Biblioteca Comunale Federiciana di Fano per Olschki).

Per le cure di Sandra Pietrini il libro, chiosando le parole d’introduzione, intende contribuire alla conoscenza di Cesare Rossi, slegando il profilo dell’apprezzato interprete da quello della giovane Eleonora Duse, da lui scritturata nel 1879 nella compagnia Città di Torino. Un intento impegnativo e utile, perseguito da Angela Frattolillo nella biografia puntuale che introduce al volume. Ad essa segue il ricco saggio di Pietrini (Un Amleto di più: la Compagnia di Cesare Rossi affronta Shakespeare), che indaga le scelte del repertorio affrontato da Rossi, concentrandosi sul suo interesse per il drammaturgo inglese e sull’allestimento torinese del 1878 dell’Amleto, adattato ad hoc da Andrea Maggi. Di questo spettacolo si offre la riproduzione anastatica del copione e la trascrizione del testo, di cui il saggio conclusivo, firmato da Stefania Stefanelli (L’Amleto di Maggi tra persistenze e innovazione), mette in risalto ricercatezze linguistiche e valenze espressive drammaturgiche. Tra le carte pubblicate si segnalano anche quelle del Progetto per una scuola di declamazione da istituirsi in Torino (1878), allegato da Rossi a una lettera di ringraziamenti alla municipalità cittadina dopo la conferma nello stesso anno, per i successivi cinque anni, della concessione in esclusiva del Teatro Carignano.

L’Amleto di Maggi è inquadrato dalle tre studiose nel contesto dei titoli di cartellone della Compagnia Città di Torino, sospeso tra la cauta proposta di pièces di sicuro successo e lo sperimentalismo di Rossi, propenso a incursioni nella prima drammaturgia ibseniana d’importazione e all’impegnativa scoperta dei drammi shakespeariani. Tra propositi pedagogici, tentativi di fondazione di compagnie stabili e rapporti con attori esigenti, ricostruiti con un nutrito apparato di note e il ricorso a documenti d’archivio inediti, la figura di Rossi emerge più nitida e definita, come auspicato nella prefazione. Primo obiettivo raggiunto.

Scorrendo i titoli dell’indice, si avverte però in controluce un progetto più ambizioso: seguire le orme di William Shakespeare sulla scena italiana dell’Ottocento. Scena esigente, quella del nostro paese, dove un pubblico sempre più ampio e borghese, abituato ai declamati e agli assolo dei “grandi attori” richiese traduzioni in prosa dei versi shakespeariani, preferibilmente “addomesticate” in un linguaggio più colloquiale, e tanto epurate dalle pesantezze delle trame politiche quanto cariche delle passioni dei protagonisti. Stefania Stefanelli (pp. 97-106) propone un confronto sintetico tra l’Amleto di Maggi e la versione coeva di Giulio Carcano, capace di tenere conto delle necessità sceniche accennate. A Pietrini (pp. 42-59) invece il merito di un’incursione tra le testimonianze storiche delle interpretazioni del principe di Danimarca avanzate dai “grandi attori”, partendo dal precedente settecentesco di Antonio Morrocchesi, che inscenò la tragedia nella traduzione di Alessandro Verri, per arrivare alle due recite del 1856 del patetico e smaccatamente romantico Amleto di Ernesto Rossi e del vigoroso gladiatore proposto da Tommaso Salvini (quest’ultimo più a suo agio nei panni di Otello). Successiva, ma memore di queste soluzioni, la versione di Rossi, il cui copione è confrontato, quanto ai tagli e agli adattamenti opportuni, con quello impiegato da Salvini, modellato sulla traduzione di Carcano e conservato a Genova presso il Museo Biblioteca dell’attore. Tangente al primo scopo, allora, l’obiettivo di una mappatura dei momenti dell’ingresso di Shakespeare nei teatri italiani risulta anch’esso raggiunto, per di più in concomitanza con i due anniversari del drammaturgo inglese celebrati nel 2014 e nel 2016.

L’apparato di illustrazioni si segnala infine come ulteriore merito di questa pubblicazione, che amplia il patrimonio dell’iconografia di Cesare Rossi con, tra le altre, la chicca della caricatura apparsa il 3-4 novembre 1898 sulla «Gazzetta di Torino» in margine al necrologio dell’attore: «Mandarono stupende corone il Marchese di Squillace, la Pia Marchi Maggi, la Della Guardia, Flavio Andò, Roberto Bracco, la Duse, la Massoneria ed altri».



di Claudio Passera


La copertina

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