Il drammaturgo belga Jean Louvet (1934-2015) ha esordito negli
anni Sessanta con alcune pièces
dedicate alla condizione dei lavoratori del Belgio, in particolare della Wallonie,
dove lautore è nato e cresciuto fino ad affermarsi quale voce eminente nel teatro
francofono. Sensibile alle vicende politiche e sindacali del suo paese, lo
scrittore le ha osservate con solidarietà e partecipazione critica, facendole
soggetto delle sue opere per la scena, da Le
train du bon Dieu (1962), A bientôt
Monsieur Lang (1972) e Conversation
en Wallonie (1976), a Lhomme qui
avait le soleil dans sa poche (1982) e Un
homme de compagnie (1993).
Negli ultimi decenni, con responsabilità
crescente, lartista aveva affrontato miti ed eventi del secolo scorso,
testimoniando i suoi interessi e le sue cure soprattutto con la ricerca dun
linguaggio non realistico e poetico. Le sue opere sono state messe in scena da
registi quali Marc Liebens, Armand Delcampe, Frédéric Dussenne, presso i Teatri nazionali. Tradotte allestero,
non sono ancora entrate nel repertorio contemporaneo. Lautore ha continuato a condividere
fino alla fine le sorti dei suoi concittadini europei, cogliendone i tratti e i
comportamenti più significativi nei rapporti interpersonali e sociali, da cui
emergono scambi di gruppo e di coppia, nella speranza di cogliere nuove
solidarietà in personaggi sempre più soli e isolati.
Ho ricevuto assieme le ultime
quattro pièces di Louvet, non
dallautore secondo amichevole consuetudine, ma post mortem, dalleditore, quasi documento conclusivo di unopera
apprezzata, da me in parte tradotta e molto amata. Sono testi in cui si avverte
il crescente bisogno di epurare i motivi ispiratori, di sintetizzarli in ragioni
ideali e in forme sempre più brevi e concise.
Comme un secret inavoué (2013) mostra in un Uomo e una Donna (dai
connotati vagamente espressionisti) la coincidenza misteriosa di casualità e
destino, origine di dilemmi insolubili, di scelte comunque rischiose. Une soirée ordinaire (2014) prevede un
incontro fra amici, portati a riflettere su una realtà quotidiana mortificante
e alienante, indotta dal prevaricare delleconomia sulla politica.
Due coppie sono protagoniste di La souffrance dAlexandre (2014). Nella
coppia formata da Alex e Brigitte, risalta il protagonismo delluomo deluso, impensierito
dal proprio stato e da quello dei colleghi di cui conosce i disagi. La «souffrance»
si esprime in monologhi, concentrati sui pensieri assillanti di ciascuno e si
sviluppa in dialoghi in cui i quattro interlocutori propongono analisi e risposte
ipotetiche diverse, tutte sincere e spontanee, insidiate però dal dubbio dellerrore
e dal senso di colpa. Brigitte giunge a sospettare il tradimento del marito, mentre
Charlie conta soprattutto su sua moglie Aline, per distrarre lamico dai
pensieri più cupi.
In Tournée générale (2015), ancora un folto gruppo di personaggi
rappresenta una gamma estesa di situazioni, con momenti semplici e familiari,
eppure segnati da domande forse troppo impegnative. Sedute in un caffè
allaperto, quelle persone sole sono poste a confronto con diverse qualità di
vita dipendenti dal futuro. Il realismo è nellinvenzione di toni e sguardi
singolari, riflessi di luoghi comuni, comunicabili più con lallusività dellimmaginazione
poetica, che con la precisione fotografica. Lanalisi diventa poi sociologica, mediante
ulteriori sollecitazioni visive e concettuali. Il finale confonde uomini e
animali quando li accomuna nei versi e nelle voci scambiati. È labbaiare del
cane, sperso ma presente, che sembra imitare gli umani lamenti (con ironia),
oltre la disperazione dellincomprensione o dellinutilità.
La lettura quasi sinottica dei
testi può indurre a considerare omogenea la scrittura di Louvet. Del resto,
soltanto due anni separano la prima dalla quarta pièce ed è plausibile unanalogia
di intenti espressivi e di costanti stilistiche, quali ad esempio le battute
brevi, scandite in versi e un discorso non mimetico del parlato. Louvet “poeta”
è creatore di vicende, di idee (come per sé le definiva Antoine Vitez) trascritte mentre vengono concepite per la scena.
Più pensate, che dette e/o recitate. Tantè che i personaggi si schematizzano, spesso
rasentando minute allegorie domestiche. Forse perché ogni figura, un po lavoratrice
un po intellettuale, aspira a un ruolo universale. Pure nella solitudine
esemplare, i personaggi sorgono da luoghi e circostanze vissute e li immagini
frequentati dallo stesso scrittore, a teatro, in biblioteca, in ufficio, durante
una manifestazione. Scopri che la sua terra vallone, decantati i fumi e le
polveri così densi negli anni Sessanta, riconquista nei suoi paesaggi, i canali
e i villaggi ordinati e puliti.
Alcuni segnali riconoscibili
attraversano le pièces: il senso di
perdita didentità e il tentativo di recupero dei legami solidali coi compagni
di pensiero, di lavoro e di lotta, in corresponsabilità ineludibile: nel senso
di isolamento, la richiesta daiuto reciproco. Temi enunciati da una voce che
rievoca e immagina insieme ogni personaggio; voce sorta dallautore, che nessun
personaggio riassume o esaurisce. Però di tutti questultimo si rende testimone.
Talvolta qualcuno lo imita, con una consapevolezza ironica, da fare tenerezza o
paura. Entrato nei suoi ottantanni, Louvet traccia un assiduo bilancio della sua
vita, condotta in coesione familiare e in rapporto incessante con le istituzioni:
Scuola, Partiti, Sindacati, Associazioni artistiche, Editori e Teatri. Lartista
e intellettuale lotta con sé stesso, prima che con lAltro, che comunque gli offre
specchio di coscienza, anche quando lincontro (o lo scontro) fra uomo e donna rivela
la sessualità quale energia elementare prevalente.
Ciò appare più evidente in Comme un secret inavoué, aperto al
mistero dellamore, nellincontro fortuito fra Edith e Jacques in un ufficio
postale. Finiti in un albergo, amanti mancati, a parlare senza capirsi, lontani,
quando sarebbe necessario riconoscersi, accettarsi e amarsi. Battute liriche,
silenzi fra parole banali o pregnanti. Torna alla mente La maladie de la mort di Marguerite
Duras, in un contesto straniato e straniante, per la denuncia dei vincoli
culturali che inceppano i sentimenti autentici, che riducono i gesti a
simulacri inefficaci di simboli potenti. Il dramma – non detto, inavoué – è racchiuso in tutto ciò che non avviene. La sincerità si vanifica
nel mistero del confronto umano, che la pretende e ne esaspera linutilità.
Nella spezzatura dei monologhi versificati, si spengono le voci delle due vite
concentrate, chiuse dalla didascalia: «On les entends chuchoter longtemps dans
la nuit» (p. 32).
In Une soirée ordinaire, gli otto personaggi riproducono per
accostamenti e dialoghi anche a distanza, più che vere situazioni drammatiche, i
turbamenti di relazioni sociali in crisi. La scrittura presuppone un profondo e
fitto sottotesto, latente e necessario, perché sia immaginato dal lettore, ma
soprattutto dal regista e dallattore. Integrazioni delle battute appaiono implicite,
affinché si avverta nella rappresentazione la loro portata paradossale e
provocatoria. Così, il passaggio al supermercato di Anne e Franck per acquistare
un dono per il compleanno dellamico Julien, si dilata a visione escatologica
del mondo ricondotto a “festa del consumo”, a “paradiso” attraversato dalle evoluzioni
dei carrelli della spesa. Ma in quel “paradiso” si entra versando una goccia di
sangue! (p. 15). Allingresso i
clienti sono accolti da Hôtes (Valletti) che prospettano – in dolente parodia
di visione apocalittica – il Bengodi che li aspetta, con lesibizione volgare
dellimmaginario sessuale in riti imbonitori: «Il y aura toujours un clown sur
des échasses pour nous faire danser parmi les hommes et le femmes qui ont, de
plus en plus, lallure de joyeux fantomes» (p. 17).
Qui la figurazione allegorica sfida
la rappresentazione e laspetto simbolista, caro a Louvet, appare poi nellAngelo,
presentatosi a François in visita a Julien, quale annunciatore duna verità rivelata:
«François: Il ma annoncé: Nous sommes déjà aujourdhui dans un autre
monde. Plus juste. Je suis
chargé de vous le dire (Au public).
Le monde meilleur, il ne va pas surgir dun coup, non. Il est déjà là. En
nous. En vous» (p. 23). Forse troppo
categorico, chiude il suo messaggio: «Le nouveau monde nest pas là-bas, loin
de nous. Nous y sommes. Au bord. […] Nous sommes confrontés à lappel de
lutopie» (p. 36).
In La souffrance dAlexandre, due coppie di amici vivono il disagio
dellindecisione di fronte alla dissoluzione della fede dei valori civili del
passato. Mentre preparano una vacanza, Alex esita, richiama le categorie di
classe, subisce lo stress della sospensione del lavoro quasi come fosse in
stato di disoccupazione. E nello scambio con lamico Charlie, denuncia con
sarcasmo il rischio di un dialogo fra sordi (p. 25). Il linguaggio filosofeggiante
scelto dallautore-poeta è incongruo per i suoi eroi, operai o impiegati. Le
allusioni sono sia al rapporto personale (moglie, amico), sia allanonima
presenza dellAltro che giudica e condiziona con linterferenza potente del suo
sguardo. «ALEX Le regard des autres / qui vous regarde / vous
toise / de haut en bas. / Dominant dominé. [...] A mon tour je regarde /
je séduis. Attention! / Don Juan va rester sans pouvoir» (p. 27).
In ultimo, Tournée générale suggerisce inevitabilmente una sorta di
testamento. Sedute in un bar allaperto, le persone aspettano, ciascuna, una
risposta alle proprie speranze o il compimento dun evento decisivo. Un
insegnante spera nella visita dun ex-allievo, riconoscente e ammirato per la
cultura ricevuta. Un uomo ha smarrito il suo cane e lo chiama, fiducioso
nellaiuto dei presenti. Una ragazza madre, La Femme-qui-rit, trasforma la
solitudine in benefiche risate, per tutti contagiose. Antoine (un cittadino
medio?) decide di ritirare i soldi dalla banca per metterli… al sicuro. Eppure siede
accanto a Jean-Baptiste, altro solitario che timidamente si rivela disponibile
e solidale, pronto a danzare con la Cameriera. Poi si susseguono scambi e gags surreali, degni di Raymond Queneau. Sopraggiunge infatti anche
un Inconnu, a donare una mancia per una consumazione non fruita. Proprio la danza
si afferma, ancora, quale amalgama in un gioco scenico fra il nonsense e il grottesco. Filtra unulteriore luce dal futuro, quando
Antoine, portavoce dellautore, osserva: «Quand on est arrivé presque au bout /
quon sarrête, quon ferme la porte, / regard en arrière, / on dresse le
bilan» (p. 29). Nella laconica latenza del commiato, rassegnazione e
accoglienza della fine.
di Gianni Poli
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