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Fata Morgana, a. IX, n. 27, settembre-dicembre 2015
Quadrimestrale di cinema e visioni

352 pp., euro 15,00
ISSN 197057860

All’interconnessione tra cinema e amore è dedicato il ventisettesimo numero di «Fata Morgana», nella doppia accezione di amore per il cinema, nelle sue varie determinazioni storiche e sociali, e di amore nel cinema, sia esso espresso sotto forma di commedia o di melodramma. Quando e come l’amore diventa parola o immagine? Come si lega al tema opposto e complementare della morte? 

A questa e ad altre domande prova a rispondere la scrittrice e critica letteraria Nadia Fusini che nella sua conversazione con Bruno Roberti enuclea le principali polarità intorno alle quali si articola, nelle arti narrative, il discorso amoroso: l’illusione e il riconoscimento, il sé e l’altro, la mente e il corpo. Dall’Amore e Psiche di Apuleio alla Hollywood classica, da Shakespeare ai film di Matteo Garrone e di Paolo Sorrentino, i due autori cercano di problematizzare, in una prospettiva storica interdisciplinare, la possibilità stessa di parlare d’amore, delimitando in un certo senso il campo per gli interventi a seguire.

Dal concetto di amore come mancanza prende le mosse Rosamaria Salvatore per analizzare alcuni film di Carl Theodor Dreyer, Ingmar Bergman e Nuri Bilge Ceylan, registi capaci di approfondire e problematizzare la dialettica, cara a Jacques Lacan, tra desiderio amoroso e solitudine.

Se Salvatore Finelli riflette sul ruolo trasgressivo della perversione negli ultimi film di Luis Buńuel, Luca Venzi rintraccia nella produzione critica del primo Jean-Luc Godard gli intrecci tra amore, etica ed estetica, mentre Katia Paronitti confronta la pièce teatrale Le bel indifférent di Jean Cocteau con la trasposizione cinematografica di Jacques Demy, dando risalto al diverso ruolo conferito alla parola dai due registi.

Due sono gli omaggi a Roberto Rossellini: quello di Stefania Parigi, che offre una rilettura del film L’Amore come tentativo di mediazione morale tra eros e agape, e quello di Patrizia Fantozzi, dedicato al documentario India, in cui l’amore si manifesta non solo a livello poetico, ma anche e soprattutto come strumento di conoscenza del reale.

Esther Hallé individua ne La parmigiana di Antonio Pietrangeli la nascita del topos della donna sola e alienata nell’Italia del boom economico. Caudio Di Mimmo, attraverso Le soulier del recentemente scomparso Manoel de Oliveira, analizza il rapporto tra frustrazione del desiderio amoroso e persistenza dello stesso. L’amore nel cinema di Michael Haneke, e in particolare quello doloroso e illusorio del film Amour, è invece al centro dell’analisi di Marco Cocco, mentre Luciano De Giusti si concentra sul Liebelei di Max Ophüls, in cui, rispetto all’originale teatrale di Arthur Schnitzler, si evidenzia il carattere autodistruttivo e insaziabile della passione, una tematica costante nella filmografia del regista tedesco. Completano il quadro gli interventi di Anna Masecchia su Legami! di Pedro Almodóvar, di Katia Trifirò su Tu Ridi dei fratelli Taviani, di Claudio Bisoni su Il sapore del grano di Gianni Da Campo, di Arianna Salatino su L’amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci, di Giancarlo Maria Grossi su Love Exposure di Sion Sono, di Agostino Cerra su Cloud 9 di Andreas Dresen.

Luca Malavasi e Lorenzo Ratto, partendo da un’affermazione di Rosalind Krauss (nell’«epoca postmediale», gli assi di dialogo e scambio tra artista, opera e spettatore hanno subito un «rovesciamento fisico», p. 38), analizzano le nuove modalità di relazione e le nuove rappresentazioni dell’amore attraverso una prospettiva di scambio, collaborazione e possesso. Di stampo teorico anche la riflessione di Nicola Turrini che definisce la rappresentazione cinematografica dell’amore un «luogo atopico» in cui «il cinema fa convergere soggetto, mondo e immagine» (p. 123). Jacopo Bodini si interroga, invece, sulla possibilità di tracciare una storia dell’amore, rielaborando le riflessioni di Lacan e Slavoj Žižek sul godimento come fine del desiderio e proponendo come modello L’uomo che amava le donne di François Truffaut.

Il pensiero di Žižek è al centro anche del contributo di Julia Huggins, che riflette sullo statuto dell’amore nella società occidentale e nel cinema postmoderni mediante l’analisi di alcuni film indipendenti americani lo-fi del movimento mumblecore. La rappresentazione cinematografica del desiderio amoroso come degenerazione feticistica è indagata da Rossana Domizi attraverso due pellicole esemplificative del «privilegio conferito all’eteronormatività dominante» (p. 207): Primo Amore di Garrone e Million Dollar Baby di Clint Eastwood.

Lorenzo Marmo affronta il tema dell’amore come unica ancora di salvezza in un mondo ostile nel cinema noir degli anni Quaranta, superando la dicotomia tra eros e thanatos. Nella formazione della coppia noir è basilare la metropoli moderna, luogo di negoziazione tra il desiderio dei personaggi e le norme sociali. Di fandom studies si occupa Federico Vitella che, attraverso lo spoglio della rivista «Hollywood» (1945-1952), mette in valore il ruolo delle fan magazines nell’appagare e disciplinare i desideri dei lettori in un «sistema ad equilibrio dinamico» capace di negoziare le diverse istanze dell’industria cinematografica e degli spettatori (p. 63). Anton Giulio Mancino evidenzia come in buona parte del cinema italiano 1950-1970, in particolare nei reportage movies e nei mondo movies, la parola “amore” venga spesso evocata per nascondere il carattere politico di certe pellicole.

Studiare l’amore consente di vedere in una nuova prospettiva non solo la storia del cinema, ma la Storia delle civiltà occidentali.


di Raffaele Pavoni


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