Vladimir I. Nemirovic-Dancenko
La mia vita nel teatro russo
A cura di Fausto Malcovati Trad. di Isabella Serra
Roma, Dino Audino, 2015, pp. 192, euro 20,00.
ISBN 978-88-7527-309-5
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È curioso come giochino i
pregiudizi e lignoranza al primo contatto con lopera sconosciuta di un autore
poco noto. In Italia gli attori e i teatranti, se non gli storici del teatro, si
sono finora interessati al teatro russo soltanto attraverso qualche suo protagonista
celebre. Sicché le tante figure rimaste in ombra non hanno partecipato a un
esame e a una valutazione adeguati alla realtà complessiva di quel mondo. Ci
rifletto leggendo La mia vita nel teatro
russo di Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko (1858-1943) e mi rendo
conto della necessità di recuperare attenzione e obiettività verso il fenomeno
e verso quellopera in particolare.
In quanto fondatore, con Konstantin Stanislavskij, del Teatro
dArte di Mosca nel 1898, Nemirovič-Dančenko appare finalmente e per espressione
diretta, in tutta la sua rilevanza e complementarità, in unimpresa volta a
perseguire mutamenti radicali nellevoluzione teatrale del tempo. Il libro autobiografico
si presenta come racconto memoriale arricchito da documenti recuperati a posteriori e – senza pretese di ricostruzione
rigorosa di unepoca e duna esperienza personale – procede per impressioni,
ricordi e idee, riorganizzati nel 1936, data della pubblicazione in edizione inglese negli U.S.A. e in russo in Unione Sovietica.
Partendo dalla letteratura e dalla critica teatrale, lautore si afferma come drammaturgo
quando, negli anni 1880-1890, è rappresentato al Teatro Malyi. Tempo in cui
lesordiente Čechov fallisce e
Stanislavskij è attore ispirato dagli interpreti francesi.
La prefazione di Fausto Malcovati è di notevole aiuto
per comprendere lintera vicenda dellartista e impresario. Fondamentali i
suggerimenti sul sodalizio speciale con Stanislavskij, sul «legame tempestoso e pur
indissolubile» (p. 6) fra le due personalità partecipi di sconvolgimenti politici
e antropologici. Nel 1897 il loro incontro è frutto di sentimento, di
intuizione e di una passione comune in cui si
distinguono vocazioni e condizioni esistenziali
diverse: «Sembra che gli appassionati di teatro abbiano unidea del tutto
astratta di quellincontro. In effetti fu qualcosa di sorprendente: due
sognatori del teatro, differenti per condizione, temperamento, personalità, che
avevano lavorato a grande distanza luno dallaltro, in maniera del tutto
autonoma, sospinti da una stessa idea
dominante, si incontrano durante una conversazione durata diciotto ore e
subito pongono le basi di unimpresa che avrebbe avuto un ruolo così importante
nella storia del teatro» (p. 60).
Emergono subito criteri e
obiettivi di gestione per quella mutazione auspicata: «Ci intendemmo subito con
straordinaria schiettezza», confessa Nemirovič-Dančenko, precisando le proposte
esecutive del progetto. Col riconoscimento dello stato di decrepitezza del «vecchio»
teatro, «lamministrazione doveva accettare le esigenze della scena. […] Il
teatro esiste per quello che avviene sulla scena, per la creatività dellattore
e dellautore. […] Ogni spettacolo deve avere una propria scenografia. […] Costumi
disegnati appositamente per quei ruoli» (pp. 65-66). Il rigore organizzativo
deve imporsi «prima dellapertura del teatro, in modo che il primo spettacolo
lasciasse limpressione di essere in mano a professionisti e non a dilettanti»
(p. 67).
Nel sogno di rinnovamento, via
via si consolidano le pratiche, assiduamente controllate, che orientano lattività
ambiziosa verso «un teatro artistico popolare» (p. 80). Scopo raggiungibile
anche coordinando la scuola, le prove e il relativo saggio, tutto finalizzando
a uno spettacolo completo. La funzione del regista appare indispensabile, laddove
finora non esisteva controllo esterno alle scelte degli attori più
intraprendenti, vanitosi, esibizionisti. Quanto alle responsabilità: «Due orsi
nella stessa tana non possono andare daccordo. Fiduciosi, con coraggio e senza
ipocrisia, sollevammo la questione di come dividerci diritti e doveri». Stanislavskij
suggerì la soluzione: «Lintero ambito artistico sarebbe stato diviso in due
parti, letterario e scenico. Entrambi ci saremmo occupati della messinscena,
aiutandoci e criticandoci a vicenda» (p. 74). Condizione insolita e ardua, ma applicata
con efficacia.
La difficoltà per il reperimento
dei finanziamenti è rievocata in tutti gli aspetti dellassillante ricerca. La
soluzione venne dalladesione di Morozov,
facoltoso, ambizioso e abile rappresentante dei mercanti di Mosca, che contribuì
allimpresa come socio. La nascita del nuovo Teatro, della Compagnia, del
repertorio e delle rappresentazioni è raccontata
come cronaca di vita personale, con accenti ora epici, ora anche emotivi. Linaugurazione
avviene con Lo zar Fëdor di Aleksej Tolstoj (1898), mentre lintenzione
è di rappresentare Il Gabbiano di Čechov,
opera che pure divide allinizio i gusti di Stanislavskij e di
Nemirovič-Dančenko. Čechov dedica scarso spazio alle proprie concezioni, al
senso della regia, in particolare. Essa nascerebbe
dalla facoltà di «giusta intuizione» ed è declinata
nelle tre tipologie del regista-commentatore (attore-pedagogo), del
regista-specchio (che riflette le qualità dellattore) e del regista-organizzatore
dello spettacolo completo. Nella convinzione che «il regista deve morire
nellattore» (p. 101).
Seguono gli spettacoli Il Mercante di Venezia che, a dispetto
dellottimo allestimento, risulta un fiasco e Il Gabbiano che, con la regia firmata in coppia, segna il trionfo
delle prime stagioni. L avvenimento è documentato con cura e soddisfazione. Lautore,
oltre alle impressioni e le critiche, rileva in positivo che «il pubblico smise di sentirsi a teatro» (p. 115).
La collaborazione con Čechov per Zio Vanja comporta entusiasmi e timori e
la progressiva conquista della fiducia del drammaturgo deciso ad affidare alla
nuova Compagnia i capolavori Tre sorelle
e Il giardino dei ciliegi. A quel
periodo appartiene lamore fra Čechov e lattrice
Knipper, che
influenza landamento della sua produzione artistica e di cui Nemirovič-Dančenko
parla con sensibile affetto. Sulle ultime opere cechoviane, il giudizio del
regista-impresario sarà dammirazione
incondizionata.
Un capitolo a sé occupa Un nuovo autore: Gorkij, nel quale si
tratta dellincontro col narratore che fornirà alla compagnia i suoi drammi Piccoli borghesi e Nei bassifondi: «Ai malinconici silenzi cechoviani, si alternano le
urla dei disperati straccioni gorkiani» (p. 15), nota Malcovati.
Nemirovič-Dančenko sinterroga poi
sulleffetto del suo Teatro (che ebbe fra i primi interpreti Vsevolod Mejerchold) sullattore russo
dellepoca e risponde accreditandogli molti rinnovamenti:
dalla lotta al narcisismo, alla puntualità alle prove, alla coerenza interpretativa.
Si rammarica per la scarsa adesione dei giovani
scrittori alla linea poetica del Teatro. Dopo il 1917 rivoluzionario, il Teatro
gode della benevolenza di Lunacarskij
che, quale Commissario per lIstruzione, gli riconosce lo statuto di teatro «accademico»
e lo pone al riparo (relativo) da ispezioni e censure.
Alcune tournées sono occasione per far conoscere il Teatro darte in
Europa. Negli anni Trenta del Novecento, Nemirovič fu in Italia, dove rappresentò
opere di Čechov. Entrò in corrispondenza con Arnoldo Mondadori per unedizione italiana della sua autobiografia,
ma il progetto fallì. Nel 1938, alla morte di Stanislavskij, assunse la
direzione unica del Teatro. Intanto, il consolidarsi del bolscevismo gli causava
amarezze, rinunce e compromessi. Non gli consentiva di esprimersi sinceramente
sulla sua vita. Per Malcovati, la lezione del Maestro, umile e profonda, non
muta nel tempo nei confronti dellartefice primo dello spettacolo: «Ha una
straordinaria capacità di penetrare nella psiche, nella sensibilità, nel mondo
emotivo dellattore» (p. 19). E il commentatore si serve dellultima
interpretazione delle Tre sorelle di Čechov
per confermare la costanza dellartista nella ricerca sul destino delluomo,
mentre indica nellEpistolario la sua
opera più intima, la più importante.
di Gianni Poli
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