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Antonin Artaud

Lettres 1937-1943

Prefazione di Serge Malausséna, introduzione di d'André Gassiot

Paris, Gallimard, 2015, 494 pp., 29,90 euro
ISBN ISBN 9-782070-147731

C’è sempre qualcosa di importante da scoprire in un grande pensatore e artista come Antonin Artaud (1896-1948) che ha attraversato la metà del secolo scorso seminando problemi e reinventando forme, partecipando ai rivolgimenti culturali del suo tempo. Escono ora le Lettere e i Documenti amministrativi relativi ai soggiorni di internamento e cura, dal 1937 al 1943 (escluso quello di Rodez, dal 1943 al maggio 1946, già oggetto di pubblicazioni).

La vicenda – che rimarrà nella parte del viaggio in Irlanda, forse oscura per sempre – inizia col passaggio presso l’Ospedale di Le Havre nell’ottobre 1937. Poi Artaud trascorre quasi sei mesi a Sotteville-lès-Rouen, da dove invia al Console della Grecia la prima lettera qui pubblicata (17 ottobre 1937). Colà riceve dalla madre, Euphrasie Nalpas Artaud, la prima missiva di questo carteggio, ricomposto con passione e tenacia dal nipote Serge Malausséna. È un momento di grande turbamento per l’autore, appena reduce dal rimpatrio forzato da Dublino. La madre lo cerca, ignorando la sua residenza e la sua condizione. Trovatolo, viene misconosciuta e respinta da Antonin, che adotta un altro nome, si dichiara orfano e si firma «Antoneo Arlanopulos» (o «Arland») presso il Procuratore della Repubblica, a cui scrive nel dicembre del 1937 (p. 46). Il certificato di ammissione del Dr. Morel segnala «idées délirantes de persécution avec craintes d’empoissonnement», nel marzo del 1938. Preludio all’ingresso nell’Ospedale Sainte-Anne di Parigi nell’aprile del 1938, dove resterà fino al febbraio del 1939.

Nell’estate del 1938 qualcosa cambia, poiché si firma, improvvisamente e una sola volta, «Antonin Artaud» (p. 69). Al contempo, ricorda i suoi editori, Gallimard e Denoël, e cita i nomi di artisti conosciuti in precedenza. Da allora inizia a denunciare la presenza d’una setta di iniziati, composta da personalità della politica e della cultura, dell’attacco dei quali si ritiene vittima. La dimostrazione della presunta persecuzione risiederebbe nella profezia attribuita a Saint Patrick, patrono d’Irlanda. I suoi nemici avrebbero inoltre cancellato le tracce per le quali egli veniva riconosciuto come «Saint Artaud». La problematica dell’arte teatrale gli resta estranea. Eppure scrive: «Les hommes ont fait de la vie un théâtre et c’est pour cela que le théâtre actuel est si mauvais [...]. La réalité actuelle est mytique» (p. 83). Alla riapparizione della firma Antonin Artaud, corrisponde «un mystère [...]. Je suis l’être qui était dans le corps d’Antonin Artaud mais je n’ai plus le corps d’Antonin Artaud» (p. 89).

Con la riassunzione del proprio nome, scrive a Gaston Gallimard (1° novembre 1938) per chiedere i proventi dei diritti d’autore. Si fa forte infatti della garanzia annessa ai titoli dei suoi libri. Le turbe psichiche e i rapporti difficili con i medici (in condizioni di vita davvero dure per carenza di cure e di cibo) si alternano tuttavia a momenti di consapevolezza dei propri diritti e della propria vocazione. Spera: «Le jour de la résurrection est proche, moi j’attends la résurrection» (p. 106). Rivendica: «Une création à recommencer. […]. Je n’ai pas d’argent et pas de timpbres pour mes lettres. Et mes Editeurs me doivent beaucoup d’argent !» (p. 134). Adotta un tono profetico, nelle minacce e nelle allusioni che si trasformano in invettive e insulti quando scrive ai medici e agli interlocutori esterni. Una volta trasferito alla Ville-Evrard di Neuilly, il 22 febbraio del 1939, la diagnosi si ripete: «Sindrome paranoïaque avec idées de persécution. Ancien toxicomane. On cherche de l’empoissonner: tentatives multiples. Par envoûtement on agit sur sa pensée. Dédoublement de la personnalité. Excitation psychique. Grande richesse imaginative.Impression de déjà vu. À observer» (p. 123).

Personaggi reali affiorano nei ricordi e compaiono, fra i destinatari delle missive, Picasso, Gide e Giraudoux; poi Blin, Cuny, Paulhan, Desnos e perfino Hitler, «Chancelier du Reich» (settembre 1939). Molte lettere non sono spedite, essendo intercettate e trattenute dal Dr. Léon Fouks, interno all’Istituto, ma non responsabile di Artaud. Proprio quell’insieme epistolare, rimasto finora inaccessibile, costituisce parte cospicua degli inediti ora pubblicati. I momenti di lucidità permettono giudizi coerenti, come ad esempio quello su Le Théâtre et son Double, inteso, nella dedica al Dr. Fouks, come «une image du grand effort que je fis à travers les anées qui précédèrent mon internement pour me rapprocher de certaines idées et certaines principes, et retrouver les sources des Mythes essentiels» (p. 149).

Caotico e spesso incomprensibile l’addensarsi di paure, orrori e tensioni sempre espressi però con sincera coerenza. L’ossessione monomaniacale si concentra su pochi temi ricorrenti. In reazione, le minacce promettono catastrofi iperboliche provocate dalla sua ira. Si verifica anche un’oscillazione nell’espressione di sentimenti verso le persone vicine o sentite amiche: il Dr. Fouks, per la frequentazione continua e certe donne lontane, elette a figure femminili tutelari (Anne Manson, Annie Besnard, Cécile Schramme, Génica Athanasiou), seppure oggetto di critica o di tormentose, ansiose premure.

La Prefazione di Serge Malausséna ripercorre il faticoso lavoro di ricostituzione dei documenti dispersi per decenni in luoghi e presso persone disparati. L’Introduzione di André Gassiot, psichiatra presso l’Ospedale di Rodez, luogo dell’ultima degenza di Artaud, è davvero preziosa nell’equilibrare i frutti del pensiero poetico dell’artista rispetto alla condizione del malato. Fra la realtà della “follia” e quella della creatività mai venuta meno, confessa Gassiot: «La folie […] fait l’objet d’un questionnement permanent pour le spécialiste. Avec Artaud, nous atteignons des sommets où le génie flirte avec le délire, où il représente un insulte à la mediocrité. C’est à partir des principaux éléments de sa psychobiographie que nous proposons un approche compréhensive de la multifactorialité de ses affections et des mécanismes adaptifs qu’il met en œuvre tout au long de sa vie avec une lucidité qui interpelle» (p. 20). Si conferma così, a distanza, la validità della profetica lettura di Paule Thévenin, curatrice prima e insostituibile (a partire dal 1956) delle Œuvres Complètes di Artaud. Riproduzioni in fac-simile dei documenti e un Indice delle persone citate accrescono la curiosità e la partecipazione alle nuove importanti acquisizioni. 


di Gianni Poli


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