drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Cinergie
Il cinema e le altre arti

A cura di Roy Menarini

n. 8, novembre 2015, pp. 135
ISSN 2280-9481

Con il suo ottavo numero, «Cinergie» festeggia il suo ingresso nella fascia A, la più alta nella classificazione delle riviste scientifiche. Lo speciale di questo fascicolo, Riscrivere le immagini del passato tra cinema, letteratura, fotografia e nuovi media, prende idealmente le mosse, come scrive Roy Menarini nel suo Editoriale, dalle riflessioni di Alexandre Astruc su quella che lui chiamò nouvelle avant-garde cinematografica, corrente nata in Francia nel secondo dopoguerra. A mutare, in quegli anni, era l’approccio alla storia: la diffusione del 16 mm e della televisione fecero registrare un brusco incremento di film di montaggio, docu-fiction e found footage. Lo speciale di questo numero si propone di capire come le evoluzioni tecnologiche abbiano condizionato il nostro modo di riscrivere le immagini del passato. Spaziando dal cinema alla letteratura, dalla fotografia ai nuovi media, i contributi qui proposti si soffermano, in particolare, sui prodotti ibridi: tra realtà e finzione, tra testimonianza e archivio, tra vicende personali e storia collettiva.

È il caso dei film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, i quali rilavorano i documentari di inizio Novecento di Luca Comerio. Del regista milanese sono rispettati, come spiega Marco Bertozzi, non solo il ruolo del tempo (e del ralenti) nella costruzione del racconto, ma anche e soprattutto l’utilità probatoria delle immagini documentarie e gli aspetti antropologico-culturali dello sguardo filmico. Operazione simile, ma di segno opposto, è quella di Of Time and the city di Terence Devies, montaggio di filmati d’archivio della Liverpool operaia degli anni Cinquanta e Sessanta, opera di cui Sébastien Fevry sottolinea la componente autobiografica. Nel primo caso gli autori lavorano contro l’ideologia delle immagini, decontestualizzandole, mentre nel secondo è la memoria del singolo a far emergere la componente storica e identitaria di tali immagini.

Al cinema privato e alla sua conservazione è invece dedicato l’intervento di Paolo Simoni, che sottolinea come la pratica archivistica sperimentale necessiti ancora di una collocazione più precisa sul piano metodologico. Analizzando un filmato documentario del 1969 sulla costruzione della tangenziale nord a Bologna, si evidenzia come quel che è privato in un’epoca possa diventare pubblico in un’altra. Si pensi al ruolo dinamico dell’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna.

Cinema come oggetto di rituali della memoria, quindi, ma anche come generatore di fenomeni di socializzazione, soprattutto in seguito a guerre e distruzioni. Comparando due documentari recenti di area balcanica, Goli di Tiha Gudac e Cinema Komunisto di Mila Turajlić, Silvia Badon indaga il rapporto tra autobiografia e testimonianza, concentrandosi sulla funzione della nostalgia nella ricostruzione storica operata dai due film: restauratrice di simboli e rituali nel primo, strumento critico e riflessivo nel secondo. Di impianto simile l’analisi che Vincenzo Estremo fa di Marxism Today (prologue) di Phil Collins; film che, rielaborando alcune interviste fatte agli insegnanti di marxismo-leninismo della DDR, riflette sulla componente ideologica della ricostruzione del passato, le tracce del quale sono spesso isolate per rispondere ai bisogni del presente.

A chiudere lo speciale due saggi opposti e per certi versi complementari sulla possibilità di raccontare filmicamente le immagini della storia. Il primo, di Damiano Garofalo, parla della Passeggera di Andrzej Munk (1963), lungometraggio di finzione che rielabora la testimonianza della reduce di Auschwitz Zofia Posmysz-Piasecka; esempio di come il film storico di testimonianza non possa essere analizzato se non come un’opera collettiva. Il secondo contributo, a firma di Emanuele Crescimanno, si focalizza invece sulla “ecologia delle immagini”, intesa come capacità delle stesse di consumare la realtà per diventare esse stesse realtà. Significative, in questo senso, sono le ultime produzioni del fotografo Joachim Schmid, che mettono in atto un processo di riorganizzazione creativa di immagini prese dal web.

Nella rubrica Art and media files Ludovica Fales offre uno sguardo d’insieme sulle cosiddette wearable technologies, abiti e accessori che incorporano tecnologie informatiche ed elettroniche avanzate. Dopo il fallimento commerciale dei Google Glass, esperimenti di vestiti interattivi come il Twitter Dress potrebbero portare a ridefinire concetti quali quelli di immersività e interazione, prefigurando un nuovo rapporto tra reale e virtuale nonché, probabilmente, un’autonomia comunicativa e casuale dei devices all’interno della mediasfera.

Nella sezione Sotto Analisi Alessio Rosa propone utili riflessioni sul videoclip italiano, concentrandosi in particolare sul genere hip hop e sui lavori dei videomakers Gaetano Morbioli e Cosimo Alemà. Questi ultimi, ormai da anni, rappresentano il mainstream delle produzioni videomusicali italiane, al punto da poter parlare addirittura di “metodo Morbioli” come strategia di promozione musicale.

Desta interessa, nella sezione Orienti Occidenti, la panoramica di Lorenzo Mazzoni sul cinema queer giapponese, attraverso l’analisi di pellicole di Nagisa Oshima, George Matsuoka, Hashiguchi Ryōsuke e Matsumoto Toshio. Secondo Mazzoni, i film nipponici a tematica omosessuale sono stati spesso in grado di denunciare l’importazione, a partire del periodo Meiji (1868-1912), di quella separazione dei generi tipica della società occidentale che portò alla criminalizzazione di culture omoerotiche fino ad allora tollerate.

A chiusura del volume, oltre alle consuete sezioni Libri e Critica, cinefilia e Festival Studies, si registra una riflessione di Marco Teti sul discusso film-concerto Duran Duran: Unstaged (2011), ad oggi ultimo lungometraggio di David Lynch. Il regista di Mulholland Drive sembra qui riflettere sul proprio statuto autoriale, in una sorta di passaggio da canonico responsabile artistico e organizzativo dell’opera a brand in grado di differenziare il prodotto in commercio. In bilico tra cinema, musica e videoarte, il film si fa rivelatore di quanto le politiche di marketing adottate dalle imprese cinematografiche mutino il ruolo stesso di autore.




di Raffaele Pavoni


La copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013