Con il suo ottavo numero, «Cinergie» festeggia il suo
ingresso nella fascia A, la più alta nella classificazione delle riviste
scientifiche. Lo speciale di questo fascicolo, Riscrivere le
immagini del passato tra cinema, letteratura, fotografia e nuovi media, prende
idealmente le mosse, come scrive Roy
Menarini nel suo Editoriale, dalle
riflessioni di Alexandre Astruc su
quella che lui chiamò nouvelle
avant-garde cinematografica, corrente nata in Francia nel secondo
dopoguerra. A mutare, in quegli anni, era lapproccio alla storia: la
diffusione del 16 mm e della televisione fecero registrare un brusco incremento
di film di montaggio, docu-fiction e found footage. Lo speciale di questo
numero si propone di capire come le evoluzioni tecnologiche abbiano condizionato
il nostro modo di riscrivere le immagini del passato. Spaziando dal cinema alla
letteratura, dalla fotografia ai nuovi media, i
contributi qui proposti si soffermano, in particolare, sui prodotti ibridi: tra
realtà e finzione, tra testimonianza e archivio, tra vicende personali e storia
collettiva.
È il caso dei
film di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, i quali rilavorano
i documentari di inizio Novecento di Luca
Comerio. Del regista milanese sono rispettati, come spiega Marco Bertozzi, non solo il ruolo del
tempo (e del ralenti) nella
costruzione del racconto, ma anche e soprattutto lutilità probatoria delle
immagini documentarie e gli aspetti antropologico-culturali dello sguardo
filmico. Operazione simile, ma di segno opposto, è quella di Of Time and the city di Terence Devies, montaggio di filmati
darchivio della Liverpool operaia degli anni Cinquanta e Sessanta, opera di
cui Sébastien Fevry sottolinea la
componente autobiografica. Nel primo caso gli autori lavorano contro
lideologia delle immagini, decontestualizzandole, mentre nel secondo è la
memoria del singolo a far emergere la componente storica e identitaria di tali
immagini.
Al cinema
privato e alla sua conservazione è invece dedicato lintervento di Paolo Simoni, che sottolinea come la pratica
archivistica sperimentale necessiti ancora di una collocazione più precisa sul
piano metodologico. Analizzando un filmato documentario del 1969 sulla
costruzione della tangenziale nord a Bologna, si evidenzia come quel che è
privato in unepoca possa diventare pubblico in unaltra. Si pensi al ruolo
dinamico dellArchivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna.
Cinema come
oggetto di rituali della memoria, quindi, ma anche come generatore di fenomeni
di socializzazione, soprattutto in seguito a guerre e distruzioni. Comparando
due documentari recenti di area balcanica, Goli
di Tiha Gudac e Cinema Komunisto di Mila Turajlić, Silvia Badon indaga il rapporto tra
autobiografia e testimonianza, concentrandosi sulla funzione della nostalgia
nella ricostruzione storica operata dai due film: restauratrice di simboli e
rituali nel primo, strumento critico e riflessivo nel secondo. Di impianto
simile lanalisi che Vincenzo Estremo
fa di Marxism Today (prologue) di Phil Collins; film che, rielaborando
alcune interviste fatte agli insegnanti di marxismo-leninismo della DDR,
riflette sulla componente ideologica della ricostruzione del passato, le tracce
del quale sono spesso isolate per rispondere ai bisogni del presente.
A chiudere lo
speciale due saggi opposti e per certi versi complementari sulla possibilità di
raccontare filmicamente le immagini della storia. Il primo, di Damiano Garofalo, parla della Passeggera di Andrzej Munk (1963), lungometraggio di finzione che rielabora la
testimonianza della reduce di Auschwitz Zofia
Posmysz-Piasecka; esempio di come il film storico di testimonianza non
possa essere analizzato se non come unopera collettiva. Il secondo contributo,
a firma di Emanuele Crescimanno, si
focalizza invece sulla “ecologia delle immagini”, intesa come capacità delle
stesse di consumare la realtà per diventare esse stesse realtà. Significative,
in questo senso, sono le ultime produzioni del fotografo Joachim Schmid, che mettono in atto un processo di riorganizzazione
creativa di immagini prese dal web.
Nella rubrica Art and media files Ludovica Fales offre uno sguardo dinsieme sulle cosiddette wearable technologies, abiti e accessori
che incorporano tecnologie informatiche ed elettroniche avanzate. Dopo il fallimento
commerciale dei Google Glass, esperimenti di vestiti interattivi come il
Twitter Dress potrebbero portare a ridefinire concetti quali quelli di immersività
e interazione, prefigurando un nuovo rapporto tra reale e virtuale nonché,
probabilmente, unautonomia comunicativa e casuale dei devices allinterno della mediasfera.
Nella sezione Sotto Analisi Alessio Rosa propone utili riflessioni sul videoclip italiano,
concentrandosi in particolare sul genere hip
hop e sui lavori dei videomakers Gaetano Morbioli e Cosimo Alemà. Questi ultimi, ormai da anni, rappresentano il mainstream delle produzioni
videomusicali italiane, al punto da poter parlare addirittura di “metodo
Morbioli” come strategia di promozione musicale.
Desta interessa,
nella sezione Orienti Occidenti, la
panoramica di Lorenzo Mazzoni sul
cinema queer giapponese, attraverso
lanalisi di pellicole di Nagisa Oshima,
George Matsuoka, Hashiguchi Ryōsuke e Matsumoto Toshio. Secondo Mazzoni, i
film nipponici a tematica omosessuale sono stati spesso in grado di denunciare
limportazione, a partire del periodo Meiji (1868-1912), di quella separazione
dei generi tipica della società occidentale che portò alla criminalizzazione di
culture omoerotiche fino ad allora tollerate.
A chiusura del
volume, oltre alle consuete sezioni Libri
e Critica, cinefilia e Festival Studies,
si registra una riflessione di Marco
Teti sul discusso film-concerto Duran
Duran: Unstaged (2011), ad oggi ultimo lungometraggio di David Lynch. Il regista di Mulholland Drive sembra qui riflettere
sul proprio statuto autoriale, in una sorta di passaggio da canonico
responsabile artistico e organizzativo dellopera a brand in grado di differenziare il prodotto in commercio. In bilico
tra cinema, musica e videoarte, il film si fa rivelatore di quanto le politiche
di marketing adottate dalle imprese
cinematografiche mutino il ruolo stesso di autore.
di Raffaele Pavoni
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