Francesco Casetti
La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene
Milano, Bompiani, 2015, pp. 330, euro 9,99
ISBN 978-88-45-26310-1
Data di pubblicazione su web 18/01/2016
È vero che il film sta morendo sotto l'assalto dei nuovi media? Che gli attuali modi di produzione e di consumo lo stanno cambiando al punto di mettere in crisi la nozione stessa di cinema? Sono gli interrogativi con cui si apre l'ultimo libro di Francesco Casetti, il quale adotta una prospettiva in parte già proposta nel suo Dentro lo sguardo (1986): l'idea che il film segnali in qualche modo la presenza del suo spettatore, che gli assegni un posto preciso e gli faccia compiere un percorso.
Da
quando l'avvento delle tecnologie digitali ha trasformato lo statuto
dell'immagine e del suono stimolando nei media tradizionali processi di “convergenza”
e di “sovrapposizione” (termini che per l'autore sembrano essere omologhi), molti
studiosi e registi hanno evocato a più riprese la fine del cinema, stimolando
un dibattito sulla sua ontologia che va avanti da almeno tre decenni. Dal
documentario di Wim Wenders Chambre 666 ai paradossi storici di Peter Greenaway, passando per le
riflessioni di Susan Sontag, Anne Friedberg e Paolo Cherchi Usai, l'annunciata morte del cinema è una sorta di leitmotiv che ne accompagna gli sviluppi.
Nell'era digitale il tema torna di primissimo piano, giacché «la tensione tra
persistenza e trasformazione sembra raggiungere il suo culmine, fino ad
acquistare una valenza particolarmente significativa, e in qualche modo
drammatica» (p. 12).
Secondo
Casetti, per capire cosa è il cinema oggi occorre concentrarsi sull'esperienza
spettatoriale, ossia sul processo comunicativo che la proiezione di un film
innesca. Lo studioso denuncia la deriva tecnicistica degli studi di settore,
che identificano il cinema con il proprio supporto, da Marshall McLuhan a Friedrich
Kittler. In realtà, se è vero che ogni medium
nasce come invenzione tecnica, è altrettanto vero che esso è identificabile con
«un particolare modo di rapportarsi al mondo attraverso le immagini in
movimento (e di rapportarsi a queste immagini)» (p. 14). Casetti si inserisce così
in un filone di studi da lui stesso definiti «anti-essenzialisti» (p. 15): dallo
scetticismo di Stephen Prince nei
confronti delle presunte innovazioni del digitale, alla continuità
dell'industria cinematografica sottolineata da David Bordwell, sino alla posizione più radicale di Noel Carroll, per cui il cinema non
presenta alcun elemento o costituente materiale in grado di definirne
intrinsecamente la natura.
Partendo
da questa premessa, Casetti analizza i principali cambiamenti in corso, analizzandoli
nelle loro implicazioni teoriche più che nei concreti dettagli del loro
sviluppo. Si parte dal problema della rilocazione del cinema su altri dispositivi
filmici, che può prendere due strade opposte. Da una parte quella del
“cinema-reliquia”, in cui «non potendo riproporre tutti gli elementi
dell'esperienza tradizionale della sala, si ripropone il cosa vedere,
indipendentemente dal come» (p. 79) (è il caso del DVD). Dall'altra quella del “cinema-icona”,
in cui «l'esperienza del cinema si riattiva lontano dai suoi luoghi canonici non
tanto perché c'è la disponibilità di un oggetto, quanto perché c'è un ambiente
adatto a essa» (p. 81) (è il caso degli impianti home theater). Il fatto che gli audiovisivi contemporanei tendano a
puntare sull'oggetto, lasciando indefinito l'ambiente o viceversa, rappresenta
una frattura col passato: «il cinema diventa o i film o una maniera di fruire
immagini e suoni. Due cose, non più una sola» (p. 89).
I
nuovi dispositivi di visione (si pensi alle interfacce informatiche o agli
schermi pubblicitari sempre più numerosi nel tessuto urbano) non sono più delle
strutture precostituite e vincolanti, ma dei complessi aperti e flessibili: «non
è più la macchina a determinare l'esperienza, ma è l'esperienza a trovare la
sua macchina» (p. 112). Casetti supera il concetto espresso da Rosalind Krauss secondo cui il cinema è
un “apparato aggregativo caratterizzato da supporti interconnessi”, per
abbordare quello più leggero e versatile di assemblage:
«non abbiamo più a che fare con una macchina precostituita in modo univoco, ma
con qualcosa che si forma di volta in volta sotto le pressioni delle
circostanze, e i cui elementi sono liberi di entrare anche in altre
combinazioni» (p. 130).
Centrale,
in questo senso, è il luogo dell'esperienza cinematografica: se la sala
tradizionale era un posto in cui recarsi per potersi affacciare a un mondo
diverso da quello della vita quotidiana, e dunque in cui si lasciava un “qui”
per spostarsi verso un “altrove” (visione eterotopica),
nei nuovi ambienti di fruizione il cinema porta piuttosto un “altrove” nel
nostro “qui” (visione ipertopica). Ecco
allora che lo schermo diventa display,
essendo collegato a un flusso continuo di dati. Esso “mostra” le immagini nel
senso che le mette a disposizione, addirittura in mano nel caso del touch screen.
A
mutare, quindi, è il ruolo stesso dello spettatore: non più testimone di un
evento ma soggetto chiamato a intervenire sia sull'oggetto della sua visione,
sia sull'ambiente circostante, sia, in ultima analisi, su sé stesso. Egli non è
più qualcuno cui si chiede di essere presente a una proiezione con gli occhi
spalancati, limitandosi a reagire al film e all'ambiente, ma «qualcuno che
agisce perché la sua stessa visione abbia luogo: l'attendance lascia il posto alla performance»
(p. 287).
È
solo partendo da un'idea di cinema che fa parte del nostro patrimonio
culturale, quindi, e confrontandola con le situazioni in cui ci troviamo
implicati, che possiamo identificare e accreditare il cinema come tale. È in
questo senso che va intesa la “galassia
Lumière” del titolo, che riecheggia la “galassia Gutenberg” di McLuhan
ribaltandone il senso. Ma se per lo studioso canadese sono i media a modellare la
nostra esperienza, qui si sostiene l'opposto: sono le esperienze già esistenti
a modellare i media, tanto è vero che «oggi certe forme di esperienza
consolidate – com'è l'esperienza di cinema – possono riaffacciarsi anche in
circostanze diverse, e anzi costringono queste circostanze ad adattarsi a esse»
(p. 30).
Sottolineando
l'assenza di baricentro del cinema (da cui la scelta del termine “galassia”),
ma contemporaneamente evidenziandone gli elementi di continuità con la
tradizione, Casetti firma un'analisi volutamente tendenziosa, quasi partigiana,
del panorama audiovisivo contemporaneo, lottando per salvare il concetto di
cinema prima che altri lo buttino alle ortiche. Si tratta di una causa con cui
il lettore può simpatizzare o meno, ma che sicuramente dona al volume una
piacevole venatura polemica d'antan. Un'opera
esplicitamente conservatrice, dunque, ma non per questo meno curiosa o adeguata
a capire i mutamenti e le sfide del presente.
di Raffaele Pavoni
Indice
Introduzione