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Vsevolod Mejerchol’d

Sul teatro
Scritti 1907-1912
Prefazione di Raissa Raskina - Traduzione di Leonardo Franchini

Roma, Dino Audino, 2015, pp. 128, euro 15,00
ISBN 9788875273088

Il volume ripropone una scelta di testi, fra i primi del regista e teorico russo, apparsi in raccolta nel 1913, pubblicati in Italia nel 1962 (Editori Riuniti) e ristampati nel 2001. La nuova edizione è arricchita da una Prefazione di Raissa Raskina e conta sul valore, ritenuto a ragione fondamentale, di quei documenti nella formazione di un maestro del teatro del Novecento europeo. Il periodo di riferimento comprende le prime esperienze di Mejerchol’d, seguenti la partecipazione al lavoro di Stanislavskij presso il Teatro d’Arte di Mosca e le riflessioni che testimoniano la genesi del pensiero e dell’opera dell’artista. 

Raskina indica alcuni criteri metodologici scaturiti da esigenze ideali ed estetiche, che guidano Mejerchol’d a forgiarsi gli strumenti formali atti a soddisfarle. Segnala inoltre le questioni che all’artista esordiente appaiono fondamentali nel giudicare la Storia dell’arte della scena e la sua situazione attuale. Sia gli effetti della collaborazione con  Stanislavskij, sia le proposte stimolanti espresse da Fuchs (sulla «riteatralizzazione») e da Brjusov (sulla «convenzione»), lo inducono a rivedere radicalmente la visione e la pratica teatrali. L’atteggiamento critico è subito generalizzato e l’autocritica è spinta dall’urgenza per un’azione che si rivelerà rivoluzionaria. 

Non dunque evoluzione, ma rottura persegue il progetto del regista, in concordanza con altre ipotesi diffuse nella cultura del suo tempo, da quelle di Gordon Craig a quelle simboliste e futuriste. L’impegno nel Teatro Studio, affidatogli dallo stesso Stanislavskij nel 1905, suscita impazienza e insoddisfazione e lo spinge oltre i suoi limiti riconosciuti: «Il Teatro d’Arte ha ormai raggiunto il virtuosismo quanto ad aderenza alla realtà, ma […] il Teatro Studio deve sforzarsi di rinnovare l’arte drammatica con nuove forme e regole di esecuzione scenografica. Se si considera che all’attore venivano letti brani di Antoine (André), appare chiaro che lo sviluppo del Teatro Giovane era inteso come evoluzione delle forme individuate dal Teatro d’Arte» (p. 22). Pure l’adozione di processi di «stilizzazione» (p. 24) si mostra inadeguata a risolvere problemi di messa in scena, come quello della funzione del «proscenio» (p. 18), giudicato decisivo nello scambio fra la scena e lo spettatore. 

Del resto, come nota la prefatrice, sono il teatro «naturalista» e il teatro «d’atmosfera» (peculiari del Teatro d’Arte e riconoscibili anche nel lavoro di Max Reinhardt) a venire contestati e superati. Al contempo, l’artista s’allontana dai richiami ritualistici arcaici (valorizzati da Vjačeslav Ivanov) e dall’immobilità e dalla bidimensionalità colti nel simbolismo di Maeterlinck. Seguono i testi della proposta del teatro di «convenzione», preceduti dall’articolo I presagi letterari di un nuovo teatro. Vi appare allora enfatizzata la visione di Brjusov che informerà appunto il teatro di «convenzione», inteso a sollecitare l’immaginazione dello spettatore (p. 45). Segue l’esame dei due metodi antagonisti nella comunicazione spettacolare, fra i quali il regista-teorico sceglie quello schematizzato nel teatro «lineare», rispetto alla soluzione definita «a triangolo» (pp. 47-49). 

Concluse nel 1907, quelle riflessioni prevedono il ritorno al «teatro antico», soprattutto nella  disposizione spaziale e nel richiamo all’uso di elementi visivi e dinamici, poiché esso «abolisce la ribalta e condiziona il lavoro dell’attore al ritmo della dizione e dei movimenti plastici, auspica il ritorno della danza e costringe lo spettatore a un’attiva partecipazione all’azione» (p. 62). Estratti dal Diario, si pubblicano i profili Max Reinhardt (1907) e Edward Gordon Craig (1909) e brani individuati dalla data: 1908 (altrove titolato Teatro passato, presente e futuro, 1908), 1909 (altro titolo, Teatro e società), 1910 (altrimenti, Per un nuovo repertorio russo) e I drammaturghi russi che, nell’originale del 1911, erano accompagnati da un «tentativo di classificazione con allegato schema dello sviluppo del dramma russo» (frutto d’una corrispondenza con lo studioso inglese George Calderon) ora espunto. 

I testi sono in sequenza cronologica, ma mancando dei riferimenti alle occasioni della prima redazione, suscitano qualche perplessità per quanto riguarda la loro collocazione. Il libro, che contiene ancora – del periodo interessato – La messinscena del “Don Giovanni” di Molière (1910), Dopo la rappresentazione di “Tristano e Isotta” (1910) e Il baraccone (1912), non include almeno il saggio contemporaneo e dalla problematica analoga, Vi sono due teatri di marionette. Nel Baraccone, ispirato alla Baracca dei saltimbanchi di Blok e che comporta un bilancio di diverse epoche e manifestazioni teatrali (dal mistero alla Commedia dell’Arte, dal dramma al vaudeville), emergono elementi ulteriormente innovativi e coerenti con lo sviluppo più originale di Mejerchol’d. Lo spazio scenico, il repertorio drammaturgico e la recitazione sono discussi dall’autore con sguardo selettivo e passione creativa. 

Il volume consegna appena il seme del futuro e lascia quindi il desiderio di conoscere il seguito dell’indagine: quella che, oltre l’avvento della Rivoluzione, si concentrerà sull’elaborazione della «biomeccanica» e produrrà i capolavori della collaborazione con il Costruttivismo negli anni Venti del Novecento.         


di Gianni Poli


La copertina

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