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Enrico Menduni

Entertainment
Spettacoli, centri commerciali, talk show, parchi a tema, social network

Il Mulino, Bologna, 2013, pp. 144, euro 9.80
ISBN 978-88-15-24475-8

Entertainment è il termine con cui, generalmente, viene indicato «l’intrattenimento nei suoi spettacoli, riti, mode culturali, anche nella sua dimensione industriale e produttiva. Tutte cose che non godono di una buona reputazione» (p. 7).

Parte da questa definizione l’ultimo curioso libro di Enrico Menduni. Sono i media audiovisivi, in particolare, a fornire gli «strumenti narrativi e diegetici per circondare eventi, oggetti, persone, gruppi o formazioni politiche di narrazioni, auto-narrazioni, contro-narrazioni» (p. 11). All’inizio del nuovo millennio, alcuni media hanno scelto l’entertainment nel tentativo da un lato di avvicinare nuovi consumatori, dall’altro di entrare in contatto con i media contigui (attraverso eventi, presentazioni, gossip, polemiche letterarie, scandali artefatti). Altri media, al contrario, hanno cercato di individuare nuove nicchie di utenti, opponendosi al canone dominante.

Scopo di questo volume non è tanto quello di studiare le modalità di organizzazione del tempo libero e i loro mutamenti nel corso del tempo, quanto quello di capire in che misura l’entertainment abbia plasmato le strutture sociali di riferimento. Il percorso proposto, quindi, si muove liberamente nella storia dell’umanità, senza paura di semplificazioni o anacronismi. Si passa, senza soluzione di continuità, dall’America precolombiana alla Firenze medicea, dalle Olimpiadi alla Francia post-rivoluzionaria.

Ed è proprio al termine del secolo dei Lumi che si assiste, secondo l’autore, a una svolta radicale. L’Ottocento, infatti, ha introdotto nel mercato dei consumi due rilevanti novità: la riproducibilità tecnica e la forte industrializzazione. Entrambi i fattori hanno portato, oltreché alla nascita delle metropoli, alla creazione di nuovi modelli di consumo: la fotografia, la pubblicità, la diffusione di immagini private, il turismo, la simultaneità, la stampa, i luoghi del commercio, l’evoluzione e standardizzazione dei trasporti, la nascita di tournées organizzate, etc. Questi e altri fattori hanno aperto la strada a quello che viene definito il reale secolo dell’entertainment, il Novecento, con le televisioni, le autostrade, la radio e, soprattutto, il cinema.

L’entertainment cinematografico «diffonde stili di vita e modelli di consumo, legittimando piacevolmente il desiderio di migliorare la propria condizione, insegnando nuove regole della convivenza sociale e spiegando come consumare beni prima riservati alle élite» (p. 49). Il consumo e l’accumulo di prodotti divengono azioni che confermano la relativa praticabilità dei propri desideri e delle proprie aspirazioni, e il ruolo delle immagini tende a cambiare di conseguenza. Sempre più crude ed esplicite, esse vengono investite di «un’autorizzazione sociale implicita a frugare nell’intimità» (p. 102). L’immagine tecnicamente riprodotta, nel secolo dell’entertainment, «si vede attribuita una funzione testimoniale, emotiva, affettiva molto larga, che si applica sia alle notizie e ai commenti che allo spettacolo di finzione» (p. 102).

Internet, in questo senso, rappresenta la naturale evoluzione di tali dinamiche, unendo in modo accessibile la comunicazione in pubblico (i siti web) e la comunicazione privata (la posta elettronica). Se già il Novecento aveva registrato un prepotente ingresso dei mass media nella dimensione domestica, la comunicazione nella società contemporanea avviene all’insegna del «pendolarismo» e di un «intreccio continuo tra sfera pubblica e sfera privata» (pp. 110-111). È soprattutto la diffusione dei social network – in quello che Menduni chiama web 2.5 – ad aver contaminato tutti i settori classici dell’entertainment, comprese la politica e la religione. Grazie a tali piattaforme, «l’operazione di rivestimento emotivo ed esperienziale di ogni artefatto postmoderno, e la sua immersione nell’intrattenimento e nel gioco, raggiungono livelli finora mai toccati» (p. 127).

Il volume presenta, tuttavia, una contraddizione di fondo. Da un lato Menduni opera una distinzione tra “cultura alta” e “cultura bassa”; dall’altro tenta di negarla. A più riprese l’autore sottolinea la sua distanza dal proprio oggetto di studio, e in questo approccio rigorosamente sovrastrutturale trova poco spazio l’analisi dell’audience, spesso liquidata come una massa passiva e inerte, sempre oggetto dei mutamenti in atto e mai soggetto di tali mutamenti. Nell’ottica giudicante e verticistica del volume, i desideri dei consumatori non sono mai formulati consapevolmente dagli stessi, ma sempre eterodiretti, come una materia informe da plasmare a piacimento. Questo distacco inquina l’analisi, pur lucida, di Menduni, la cui posizione è d’altronde esplicitata da lui stesso, quando afferma che «la critica delle forme deteriori deve accompagnare, e non precedere, la conoscenza» (p.  23).

L’idea di sviluppare un saggio a partire da un concetto vago come quello di entertainment è seducente e coraggiosa. Azzeccata, in tal senso, la scelta della copertina, che riprendendo l’immagine della slot machine rimanda alla logica “combinatoria” del libro, che procede per associazioni e sintesi di elementi spesso molto distanti nel tempo e nello spazio. Il rischio di dispersione, tuttavia, non sempre viene scongiurato, e spesso l’entertainment diventa mero pretesto per spaziare tra i consumi della società contemporanea: film, tv, centri commerciali, social network, parchi tematici, villaggi turistici, aerei, casinò, autogrill, capi di abbigliamento, etc.

Brillante è la riflessione sui videogiochi, che in quanto «mimesi di comportamenti sociali e di coinvolgimenti personali» (p. 19) diventano i primi destinatari del transito di emozioni di cui la società post-industriale ha bisogno, mettendo in discussione «i confini e l’accettabilità sociale di pratiche altrimenti discusse» (p. 20). Da segnalare, inoltre, l’analisi dei mutamenti dell’entertainment in reazione alla crisi economica attuale, la quale, sovrapponendosi al processo di frammentazione della massa, già in atto da qualche decennio, ha portato alla messa in discussione del concetto stesso di tempo libero.

È in ambiti come questi che l’esplorazione del concetto di entertainment trova un senso, e che l’analisi delle forme dello spettacolo di un determinato contesto socio-politico diventa cartina di tornasole delle strutture organizzative e delle spinte riformatrici che animano e caratterizzano tale contesto. 


di Raffaele Pavoni


La copertina

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