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Antoine Vitez. Le théâtre des idées

A cura di Danièle Sallenave e Georges Banu

Paris, Gallimiard, 2015, pp. VI + 608, euro 26,50
ISBN 978-2-07-014858-5

Dopo la morte improvvisa e inaspettata di Antoine Vitez nel 1990, venne preparato in fretta un volume di suoi Écrits, pubblicato nel 1991, col titolo Le théâtre des idées. Il libro viene ora riproposto, integro e immutato (Collection Pratique du théâtre), arricchito da una Préface di Georges Banu, che ne estende il senso, motivandolo alla sensibilità odierna. I curatori dell’edizione del 1991 reagirono d’impulso amichevole: «C’est le sentiment d’une urgence, né de sa disparition prématurée, qui nous a incités à rassembler et faire connaître, sans attendre une publication complète de ses écrits, l’essentiel des thèses d’Antoine Vitez sur l’art du théâtre» (p. 9).

La ripubblicazione vive oggi nel senso di un recupero, nel rafforzamento di ragioni oggettive a misurare il valore assunto dall’opera di Vitez, pubblicata nel frattempo intera (5 voll., 1994-1998) presso P.O.L. «Ses amis que nous étions, Danièle Sallenave et moi-même, savions l’importance qu’accordait au livre l’homme de théâtre qu’il était et, en procedant au recueil de ses textes essentiels, il s’agissait pour nous, sans attendre, de condenser sa pensée, de la préserver dans son intensité» (p. I).

Allora, nel segnalare l’uscita del libro (in «Micromégas», 1992), rimarcavo nell’autore il carattere di «moderno umanista del teatro» (pp. 223-225). A distanza, vedo riaffermarsi l’impegno incessante a partecipare e a esprimere di un intellettuale poeta e traduttore, attore e formatore di attori, oltre che regista, approdato alla direzione della Comédie-Française. Quanto alle realizzazioni sceniche, appaiono attuali tanti risultati memorabili, partiti da Électre di Sofocle (Caen, 1966) e passati per Partage de midi di Claudel (1975), la tetralogia molièresque del 1978 (L'École des femmes, Le Tartuffe, Don Juan, Le Misanthrope), Bérenice di Racine (1980), Faust di Goethe (1981), Le prince travesti di Marivaux e Hamlet di Shakespeare (1983), Le Soulier de satin di Claudel (1987) e La Vie de Galilée di Brecht (1990). Per Banu, l’opera di Vitez «s’inscrit dans cette lignée de la pensée française à laquelle Vitez aimait s’associer: Copeau-Jouvet-Vilar» (p. I).

Nella struttura frammentaria, il libro dà un’impressione di unità, sia per la coerenza, seppure contrastata, dei concetti confrontati, sia per lo stile di scrittura di riconoscibile nobiltà formale. Le sue espressioni e immagini, i sentimenti (poiché l’autobiografia si manifesta senza censure, come al momento di riflettere sull’adesione al Partito Comunista) illuminano le ricorrenti aporie costitutive della sua concezione del Teatro d’Arte (perseguita anche, per breve periodo, pubblicando la rivista «L’Art du Théâtre»). I criteri di suddivisione del materiale distinguono i testi scritti da quelli nati da interventi orali, presentati in successione cronologica, in cinque Sezioni: Portraits, Positions, Entretiens, Notes et journaux de travail, Programmes.

Sorge legittima la domanda sull’origine della definizione «théâtre des idées» (titolo posto in apertura), che l’autore elabora al liceo, leggendo e traducendo Sofocle. «Je découvrais», confessa nell’edizione di Électre, per il terzo allestimento del 1986, «le théâtre des idées. L’auteur ne dit point son avis, tout au contraire du théâtre à thèse; non, il fait parler les Idées comme des êtres humains, comme si elles avaient un corps» (p. 13).

È quindi paradossale che quel bisogno originale di «donner idée», impulso intellettuale, tenda all’incarnazione e consista, per il metteur en scène, nella fiducia assoluta nel corpo dell’attore. I Portraits riguardano le figure scelte come tutelari dell’arte e del pensiero dell’autore. All’inizio, Jean Vilar: «Nous ne savions pas lire un plateau nu, c’est à dire un espace où les acteurs sont seuls porteurs des signes du spectacle» (p. 20).

Seguono Louis Aragon, a cui si sente grato perché «il m’encourageait. Agir, travailler, répondre»; Yannis Kokkos, che con la collaborazione scenografica lo coinvolgeva nell’ottenere il tipico effetto del «réalisme enchanté». Patrice Chéreau gli rivela, con La dispute del 1973, «une enfance imaginaire du monde». Giorgio Strehler è ricordato per gli allestimenti di La Villégiature e Roi Lear, ove «Le théâtre se tourne vers lui et se montre nu» (p. 42). E ancora, Julien Beck e René Kalisky. Infine, omaggi ai suoi attori, Madeleine Marion, Richard Fontana, Évelyne Istria.

Nelle Positions, seguono riflessioni e affermazioni di larga prospettiva ipotetica, a partire dall’esperienza decentrata di Ivry, fondata sull’esempio «popolare» di Vilar e alla ricerca di un pubblico nuovo mediante un’arte nuova (p. 66), mentre si precisa quell’esigenza di un’arte elitaria per tutti, d’un «théâtre élitaire pour tous» (p. 102 e p. 184) che gli venne talvolta imputata come astorica illusione.

Fra le interviste, Ne pas montrer ce qui est dit (1974) sulla modalità di rendere significativa la scissione fra battuta e gestualità dell’interprete. Faire théâtre de tout (1976) postula la peculiare via drammaturgica per cui ogni testo, anche non teatrale, può essere messo in scena. Le devoir de traduire (1982), preso a spunto per la postfazione. Un drogue dure (1988) discute del rapporto del regista con gli autori contemporanei, analizzati sotto il profilo della loro qualità poetica. Comment je fais une distribution, mostra l’importanza della formazione della Compagnia ideale: «Je ne fais pas une distribution. Je cherche à constituer, pour chaque pièce, une sorte de famille» (p. 397).

Le Notes et journaux de travail rivelano il laboratorio intimo e pratico dell’artista. I Programmi offrono sintesi di interpretazione e di intenti, a complemento prezioso di quanto lo spettatore avrebbe potuto godere dallo spettacolo. Mentre per la ricostruzione storica restano documenti essenziali alla comprensione di un’estetica e alla sua più viva individuazione nell’opera. Rispetto ai testi sulla Scuola, impegno tanto caro a Vitez, la raccolta appare carente, per i limiti imposti dalla scelta. In fondo al libro, si registra una nota bibliografica compilata dall’autore, essenzialmente una Teatrografia e un indice tematico.


di Gianni Poli


La copertina

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