Dopo la morte improvvisa e inaspettata di Antoine Vitez nel 1990, venne preparato
in fretta un volume di suoi Écrits,
pubblicato nel 1991, col titolo Le
théâtre des idées. Il libro viene ora riproposto, integro e immutato
(Collection Pratique du
théâtre), arricchito da una Préface di Georges Banu, che ne estende il
senso, motivandolo alla sensibilità odierna. I curatori delledizione del 1991
reagirono dimpulso amichevole: «Cest le sentiment dune urgence, né de sa
disparition prématurée, qui nous a incités à rassembler et faire connaître,
sans attendre une publication complète de ses écrits, lessentiel des thèses
dAntoine Vitez sur lart du théâtre» (p. 9).
La ripubblicazione vive oggi nel senso
di un recupero, nel rafforzamento di ragioni oggettive a misurare il valore
assunto dallopera di
Vitez, pubblicata nel frattempo intera (5 voll., 1994-1998) presso
P.O.L. «Ses amis que nous étions, Danièle Sallenave et moi-même, savions limportance quaccordait au livre lhomme
de théâtre quil était et, en procedant au recueil de ses textes essentiels, il
sagissait pour nous, sans attendre, de condenser sa pensée, de la préserver
dans son intensité» (p. I).
Allora, nel segnalare luscita del libro (in «Micromégas», 1992),
rimarcavo nellautore il carattere di «moderno umanista del teatro» (pp. 223-225). A distanza,
vedo riaffermarsi limpegno incessante a partecipare e a esprimere di un intellettuale
poeta e traduttore, attore e formatore di attori, oltre che regista, approdato
alla direzione della Comédie-Française. Quanto alle realizzazioni sceniche,
appaiono attuali tanti risultati memorabili, partiti da Électre di Sofocle (Caen, 1966) e passati per Partage de midi di Claudel (1975), la
tetralogia molièresque del 1978 (L'École des femmes, Le Tartuffe, Don Juan, Le Misanthrope), Bérenice di Racine (1980), Faust di Goethe (1981), Le prince travesti di Marivaux e Hamlet di Shakespeare (1983), Le Soulier de satin di
Claudel (1987) e La Vie de Galilée di Brecht (1990). Per Banu, lopera di Vitez «sinscrit
dans cette lignée de la pensée française à laquelle Vitez aimait sassocier: Copeau-Jouvet-Vilar» (p. I).
Nella struttura frammentaria, il libro dà unimpressione di
unità, sia per la coerenza, seppure contrastata, dei concetti confrontati, sia
per lo stile di scrittura di riconoscibile nobiltà formale. Le sue espressioni
e immagini, i sentimenti (poiché lautobiografia si manifesta senza censure,
come al momento di riflettere sulladesione al Partito Comunista) illuminano le
ricorrenti aporie costitutive della sua concezione del Teatro dArte
(perseguita anche, per breve periodo, pubblicando la rivista «LArt du
Théâtre»). I criteri di suddivisione del materiale distinguono i testi scritti
da quelli nati da interventi orali, presentati in successione cronologica, in
cinque Sezioni: Portraits, Positions, Entretiens, Notes et journaux de travail, Programmes.
Sorge legittima la domanda sullorigine della definizione
«théâtre des idées» (titolo posto in apertura), che lautore elabora al liceo, leggendo e
traducendo Sofocle. «Je découvrais»,
confessa nelledizione di Électre,
per il terzo allestimento del 1986, «le théâtre des idées.
Lauteur ne dit point son avis, tout au contraire du théâtre à thèse; non, il fait parler les Idées comme des êtres
humains, comme si elles avaient un corps» (p. 13).
È quindi paradossale che quel bisogno originale di «donner
idée», impulso intellettuale, tenda allincarnazione e consista, per il metteur en scène, nella fiducia assoluta
nel corpo dellattore. I Portraits riguardano le figure scelte come tutelari dellarte e del pensiero dellautore.
Allinizio,
Jean Vilar: «Nous ne savions pas lire un plateau nu, cest à dire un espace où
les acteurs sont seuls porteurs des signes du spectacle» (p. 20).
Seguono Louis Aragon,
a cui si sente grato perché «il mencourageait. Agir, travailler, répondre»; Yannis Kokkos, che con la
collaborazione scenografica lo coinvolgeva nellottenere il tipico effetto del
«réalisme enchanté». Patrice Chéreau gli rivela,
con La dispute del 1973, «une enfance
imaginaire du monde». Giorgio Strehler
è ricordato per gli allestimenti di La
Villégiature e Roi Lear, ove «Le
théâtre se tourne vers lui et se montre nu» (p. 42). E ancora, Julien Beck e René Kalisky. Infine, omaggi ai suoi attori, Madeleine Marion, Richard
Fontana, Évelyne Istria.
Nelle Positions,
seguono riflessioni e affermazioni di larga prospettiva ipotetica, a partire
dallesperienza decentrata di Ivry,
fondata sullesempio «popolare» di Vilar e alla ricerca di un pubblico nuovo
mediante unarte nuova (p. 66), mentre si precisa quellesigenza di unarte
elitaria per tutti, dun «théâtre élitaire pour tous» (p. 102 e p. 184) che gli
venne talvolta imputata come astorica illusione.
Fra le interviste,
Ne pas montrer ce qui est dit (1974)
sulla modalità di rendere significativa la scissione fra battuta e gestualità
dellinterprete. Faire théâtre de tout
(1976) postula la peculiare via drammaturgica per cui ogni testo, anche non
teatrale, può essere messo in scena. Le
devoir de traduire (1982), preso a spunto per la postfazione. Un drogue dure (1988) discute del rapporto del regista con gli
autori contemporanei, analizzati sotto il profilo della loro qualità poetica. Comment je fais une distribution, mostra limportanza della formazione
della Compagnia ideale: «Je ne fais pas
une distribution. Je cherche à constituer, pour chaque pièce, une sorte de famille» (p. 397).
Le Notes et journaux de travail rivelano il laboratorio intimo e pratico dellartista. I Programmi offrono sintesi di
interpretazione e di intenti, a complemento prezioso di quanto lo spettatore
avrebbe potuto godere dallo spettacolo. Mentre per la ricostruzione storica
restano documenti essenziali alla comprensione di unestetica e alla sua più
viva individuazione nellopera. Rispetto ai testi sulla Scuola, impegno tanto
caro a Vitez, la raccolta appare carente, per i limiti imposti dalla scelta. In
fondo al libro, si
registra una nota
bibliografica compilata dallautore,
essenzialmente una Teatrografia e un indice tematico.
di Gianni Poli
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