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Hystrio
trimestrale di arte e spettacolo

a. XXVII, n. 3, luglio-settembre 2014, pp. 120, euro 10, 00

 

Sono sicuramente lusinghieri sia per il numero di partecipanti, raddoppiato rispetto all’anno scorso, che per la qualità artistica, i dati emersi dal Premio Hystrio alla Vocazione 2014, come confermano i dati riportati da Maddalena Giovannelli, attenta a fornire preziose informazioni relative anche agli altri premiati che sono stati: Elio De Capitani (Premio Hystrio all’interpretazione), Valerio Binasco (Premio Hystrio alla regia), Michele Santeramo (Premio Hystrio alla drammaturgia), Gigi Saccomandi (Premio Hystrio-Altre Muse), IT Festival e Compagnia Teatrale FavolaFolle (Premio Hystrio Provincia di Milano), Un bès-Antonio Ligabue di e con Mario Perrotta (Premio Hystrio-Twister), Fratelli Dalla Via (Premio Hystrio-Castel dei Mondi), Jo Strømgren  Kompani  (Premio Hystrio-Teatro a Corte). Seguono le motivazioni della giuria relative al Premio Hystrio-Scritture di Scena e brevi profili di vincitori e segnalati del Premio Hystrio alla Vocazione.

 

La consueta “Vetrina” si apre con un’intervista rilasciata a Roberto Canziani da parte di Claudio Tolcachir, autore attore e regista argentino che parla, tra l’altro, del suo percorso artistico e di Emilia, sua ultima fatica recentemente presentata anche in Italia, a Udine e Brindisi. In “Giovani mattatori/9” Fausto Malcovati traccia il profilo di Paolo Pierobon, il quale, completata una faticosa gavetta, è stato scritturato da De Capitani, Nekrošius e Luca Ronconi.

 

Fiore all’occhiello di questo numero estivo della rivista milanese è sicuramente il dossier “Teatro e performance” affidato alla cura di Francesca Serrazanetti e Roberto Rizzente, al quale compete la firma del contributo d’apertura. Si tratta di un’interessante conversazione con William Kentridge, in cui si parla dei rapporti intercorrenti tra teatro e arti visive e delle caratteristiche di fondo dell’opera di questo fondamentale esponente di punta del cosiddetto “teatro della performance”. L’excursus storico tracciato da Oliviero Ponte di Pino si enuclea da Marcel Duchamp, prosegue con Jackson Pollock e l’intreccio di happening e body art secondo John Cage e la ritualità di Hermann Nitsch, fino ad arrivare a Robert Wilson e, tra gli italiani, a Luca Ronconi. Alle origini della performance teatrale mutuata dalle arti visive guarda Giuseppe Liotta con esempi tratti dalla tragedia greca (i racconti finali del servo/messaggero), dalle Laudi medievali per giungere alla poetica di Antonin Artaud, agli esponenti del teatro dell’assurdo e Samuel Beckett. Cristina Valenti approfondisce la pratica dell’happening maturata in seno alla rivoluzione newyorkese degli anni Cinquanta e Sessanta soprattutto grazie al Living Theatre, seguito da Grotowski, Odin Teatret di Eugenio Barba, per poi accennare ai performer italiani, da Carmelo Bene a Giuliano Scabia. Al contributo di Roberto Rizzente, concentrato sull’affermazione della soggettività dell’artista dal movimento dada al new dada e poi body art, segue Paolo Ruffini che approfondisce il periodo compreso tra la caduta del Muro di Berlino e l’11 settembre nell’ambito della scena italiana, eterogenea e creativa con personaggi del calibro di Ascanio Celestini, Societas Raffaello Sanzio, Motus, Kinkaleri. Analisi e riflessioni sulla cosiddetta Generazione T sono avanzate da Renato Palazzi, che rivela la mancata definizione dei suoi principali esponenti (Babilonia Teatri, Anagoor, Teatro Sotterraneo) in un vero e proprio movimento, per non essere riusciti a sovvertire i confini del teatro e avviare un rapporto innovativo con il pubblico. Lo sviluppo di contatti e contaminazioni, conflitti e convergenze tra linguaggi teatrali e performativi, capaci di provocare una diversa tipologia di pubblico, sono i temi delle domande poste da Roberto Rizzente e Francesca Serrazanetti a Umberto Angelini (Uovo), Silvia Bottiroli (Santarcangelo Festival), Fabio Cavallucci (Museo Pecci), Centrale Fies (Drodesera), Massimiliano Gioni (Fondazione Trussardi), Fabrizio Grifasi (Romaeuropa), Andrea Lissoni (Hangar Bicocca), Carlo Mangolini e Rosa Scapin (Operaestate), Eugenio Viola (Museo Madre). Il lavoro degli urban performers contiene in sé un preciso codice drammaturgico al quale si sono ispirati, come dimostra Marco Scotini, diversi artisti e in più parti del mondo, quali Marinella Senatore, i moscoviti Collective Actìons, Regina José Galindo, Grupo de Arte Callejero, e altri ancora. L’annullamento dei confini tra le discipline dello spettacolo ad opera della danza a partire dagli anni Sessanta e le contaminazioni di questa nell’arte, musica e nuovi media, sono gli argomenti trattati nell’ambito di un ciclo di incontri organizzati presso il Maxxi di Roma e di questi si occupa Maddalena Giovannelli. Tramontata la stagione dei “grandi maestri”, le nuove generazioni, spiega Roberta Ferraresi, si formano seguendo piste eterogenee, dall’apprendimento legato ai workshop e ai seminari, all’autoformazione attraverso l’assimilazione di variegate culture pop, arti visive e tecnologie. Questione trasversale, maturata a partire dagli anni Sessanta, è il pubblico e il suo modo di recepire lo spettacolo e di partecipare, come illustrano gli esempi riportati da Renzo Francabandera, al gioco performativo. Francesca Serrazanetti ricostruisce il rapporto tra spazi urbani o il recupero di edifici abbandonati con il teatro performativo, per meglio contestualizzare la poetica dei linguaggi verbali e figurativi. L’intervista curata da Giorgia Asti a Jan Fabre e quella rilasciata da Romeo Castellucci a Michele Pascarella mettono a confronto diversi modi di lavorare con gli attori e di concepire il contatto con il pubblico, cui sottostanno specifiche concezioni e visioni del mondo. Il ricco dossier “Teatro e performance” si conclude con l’intervento di Anna Maria Monteverdi che ripercorre la storia della videoperformance, così come si è affermata negli ultimi cinquant’anni, seguendo una costante e proficua apertura al teatro, musica, cinema, e questo grazie ad un utilizzo creativo degli strumenti tecnologici.

 

Il viaggio della rubrica “Teatromondo” inizia a Parigi, dove Giuseppe Montemagno ha seguito prima lo shakesperiano Macbeth al Théâtre  du Soleil voluto da Ariane Mnouchkine per festeggiare cinquant’anni di attività; poi si è trasferito all’Odéon per assistere alla messinscena di Cyrano di Bergerac curato da Dominique Pitoiset e successivamente alla Colline dove Célie Pauthe ha proposto una bella edizione di Aglavaine et Selysette di Maurice Maeterlinck. Con Davide Carnevali ci si trasferisce a Berlino per offrire al lettore un dettagliato resoconto dell’ultima  edizione di Theatertreffen. Emerge uno spostamento verso l’area meridionale per quanto riguarda i centri maggiori dello spettacolo tedesco che ora sono Monaco, Zurigo, Stoccarda, Vienna. Tra gli spettacoli in programma nell’annuale Festival La Maschera d’oro di Mosca, spiega Roberta Arcelloni, spiccano la messinscena fortemente innovativa del cechoviano Tre sorelle da parte di Dmitrìj Krymov, il movimentato Macbeth firmato da Yuri Butusov e Hamlet Collage, prima regia russa di Robert Lepage carica di immagini virtuali. Trionfa il circo (nouveau cirque) a Helsinki, caratterizzato, secondo quanto scrive Roberto Rizzente, da originalità stilistica e forza organizzativa, considerato il funzionamento di scuole professionali e di compagnie di spessore internazionale. A Montréal è presente Gherardo Vitali Rosati, che racconta il Festival TransAmériques, una delle più importanti manifestazioni di danza e teatro del Nord America. Tra i dieci spettacoli in scaletta emerge il torrenziale Historie réveleé du Canada français 1608-1998 realizzato da parte di Nouveau Théâtre  Experimental, vicino  a Phedre riscritta e diretta da Jeremie Niel e, tra le ospitalità, Germinal dei belgi Antoine Defoort e Halory Goerger. “Teatromondo” prosegue con l’articolo di Mario Cervio Gualersi inviato da Broadway, che si sofferma sul ritorno a teatro di grandi attori del cinema (Daniel Radcliffe, Denzel Washington, Michelle Williams, James Franco) e, in modo particolare, del meraviglioso musical Hedwig and the angry inch con Terrence McNally e Harvey Fierstein protagonisti. L’ultimo contributo è di Marilena Crosato, spettatrice della quattordicesima edizione del Festival Iberoamericano di Bogotà. Nel cartellone figurano 44 compagnie internazionali e 30 colombiane. Punta di diamante della rassegna è risultata la ibseniana Dama del Mar di Bob Wilson con attori brasiliani. 

 

Compete a Mario Bianchi la sezione “Teatro ragazzi”, con una dettagliata sintesi di quanto proposto nell’ambito dei festival di Bologna, Castelfiorentino, Torino, Milano e Bari.

 

La consueta e corposa sezione delle “Critiche” ordina le tante recensioni degli spettacoli secondo criteri regionali.

 

Ha dato pregevoli risultati artistici la presenza della danza all’interno della Biennale di Architettura di Venezia, afferma Roberto Canziani nelle pagine della “Danza”, riferendosi, tra le tante, alle performances di Michele Di Stefano e Virgilio Sieni.


In “Exit” si leggono i ricordi di Domenico Rigotti, storico collaboratore della rivista milanese, e di Mario Missiroli.

 

Il testo pubblicato in questo numero di «Hystrio» è The Walk di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti, che ha recentemente debuttato al Festival delle Colline Torinesi. Segue un’intervista di approfondimento ai due attori da parte di Laura Bevione.

 

Nella “Biblioteca” Albarosa Camaldo raccoglie le schede relative alle novità editoriali italiane legate alla cultura dello spettacolo.

 

Competono a Roberto Rizzente le tante e preziose informazioni raccolte ne “la società teatrale”.

 

di Massimo Bertoldi


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