A più di trentanni dalla prima edizione esce per le edizioni
Pedragon la riedizione di Alla ricerca
del proprio clown, raccolta di scritti di Alessandra Galante Garrone (Ivrea, 1945- Bologna, 2004), attrice
allieva di Jacques Lecoq, pedagoga e
fondatrice negli anni Settanta della Scuola di Teatro di Bologna che ora porta
il suo nome.
Il libro illustra le tecniche di
base per il lavoro dattore ed è
testimonianza di dedizione al teatro coerente, rigorosa, senza retorica. Anche
nella continuità delle voci degli allievi, ora affermati professionisti, si
evocano esperienze ed incontri sofferti ma illuminanti per la scoperta di sé e
la messa a punto di un metodo di lavoro originale.
Attraverso la costruzione del proprio clown, la Garrone propone di osservare imparare cambiare senza
cadere nei luoghi comuni dellespressione. Il comico si origina da una distonia
tra discorso e atteggiamento, sovverte levidenza, trasgredisce alle
convenzioni. Generalmente lattore in palcoscenico è abituato ad avere reazioni
motivate; lavorando sul clown
reagisce in modo inaspettato, passando dal riso al pianto senza ricorso a
giustificazioni psicologiche.
Secondo Galante Garrone centrale importanza assume il momento
formativo che permette la crescita di una generazione di artisti al passo con
lEuropa; sviluppa interazioni necessarie e non strumentali fra discipline
diverse; ricerca forme nuove con le quali rivelare in modo chiaro e alto il
mondo che ci circonda.
In polemica con lo spontaneismo e lautopedagogia che hanno
contraddistinto buona parte del movimento teatrale degli ultimi decenni, la
Garrone punta il dito contro la molta confusione ingenerata ed il conseguente
processo di dequalificazione professionale. Avanguardia, sperimentazione,
ricerca sono diventati generi teatrali che recano implicita la messa in
discussione di un teatro darte che da sempre tutto ciò comprende e di ciò si
nutre. Ma larte ricerca e sperimenta sempre, i veri artisti sono sempre
allavanguardia. E bene mandare in soffitta le parrucche impolverate;
sbagliato invece stare in scena senza preparazione, magari ricorrendo agli
effetti per épater les bourgeois.
Le scuole di teatro non sono esenti da responsabilità; spesso
non hanno avvicinato alle tradizioni nobili del teatro, allo studio del
repertorio, dei caratteri e delle maschere. Riappropriarsi di Arlecchino per
tenere saldo il rapporto con la nostra storia? Sembra una provocazione da parte
dellautrice, ma questi personaggi surreali hanno molto di vitale da suggerire,
non solo agli storici dello spettacolo.
Tuttavia ancora molti pensano che i giovani attori possano
fare a meno delle scuole; teorizzano che il talento innato sia sufficiente per
esprimersi. Nel belpaese del genio isolato e del gregge incolto ci si rifugia dietro
leccezione che conferma la regola. Eppure –la Garrone ce lo ricorda- senza
formazione non cè espressione, senza cultura non cè arte.
di Michela Zaccaria
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