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Comunicazioni Sociali
Rivista di media, spettacolo e studi culturali

A cura di Maria Francesca Murru, Nico Carpentier


ISSN 0392-8667

 

Il presente numero di «Comunicazioni Sociali» illustra l'attività svolta da una rete di ricercatori europea chiamata TATS (Transforming Audiencies Transforming Societies) in particolare del Working group 2 sulla cosiddetta Participatory Theory nel campo della comunicazione. I contributi sono suddivisi in due sezioni: nella prima sezione il soggetto principale è il lavoro del suddetto Working group 2; la seconda riporta invece articoli riguardanti il tema dell'analisi dei valori della critica e della rilevanza sociale della comunicazione e della cultura.

 

Nel primo articolo di Peter Dalhgren e Nico Carpentier, The social relevance of participatory theory, si afferma che la teoria può avere una rilevanza sociale ed è definita una «struttura sulla quale basare la ricerca». A supporto di ciò, gli autori formulano quattro presupposti principali: 1) la teoria come organizzatrice di idee; 2) la teoria come lente di ingrandimento che permette di avvicinarsi all'oggetto indagato senza perdere una prospettiva complessiva di esso; 3) la teoria come detonatore di contraddizioni che, attraverso la critica, consente di creare punti di ancoraggio normativi dai quali possono generarsi cambiamenti sociali; 4) la teoria come attivatrice di un processo di decostruzione della realtà, schivando così il rischio dell'uso analitico dei pregiudizi e luoghi comuni. Ciò che può essere impiegato nella teoria in generale, può essere applicato, secondo gli autori, anche alla teoria partecipatoria.

 

Nel secondo articolo, intitolato Media, democracy and civil society, Peter Lunt afferma che lo sviluppo dei nuovi media e dei sistemi democratici richiede un ripensamento del ruolo politico dei mezzi di comunicazione e una riformulazione dei concetti interpretativi sinora vigenti. Apprese queste innovazioni, gli accademici dovrebbero sentire l'esigenza di comprendere il nuovo panorama mediatico e politico e quindi rinnovare la teoria. Per fare ciò, è necessario attivare una serie di pratiche (la ricerca empirica, il coinvolgimento del pubblico, la diffusione dei risultati ecc.), tutte richiedenti una competenza multidisciplinare.

 

La partecipazione è il focus centrale anche dell’articolo di Francesca Pasquali, Josè-Manuel Noguera Vivo e Mélanie Bourdaa, Emerging topics in the research on digital audiences and partecipation. Per gli autori, la ricerca accademica dovrebbe accorgersi della crescente influenza del pubblico all'interno del mercato, della politica e dei media, evitando una rigida divisione dell'economia tra produzione e consumo. Le tensioni presenti non dovrebbero essere rivelate soltanto nella loro complessità e stratificazione, ma anche essere alleviate con risposte precise alle problematiche che l’industria dei media e altre istituzioni non riescono a risolvere.

 

Manuel José Damásio e Paula Cordeiro, nel loro articolo Stakeholders and academia: different modes of interaction, abbozzano una teoria degli stakeholder in rapporto ai media. Nel far questo essi osservano in particolare i gruppi di pressione che agiscono sull’università, quali relazioni si instaurano tra le due parti e le conseguenze del loro rapporto. Gli autori elencano quattro modi basilari di interazione: scrutinio, dipendenza, conflitto e networking. I primi tre sono incentrati sul concetto di valorizzazione che implica il ruolo centrale dell’accademia nella società. Il quarto è il risultato dell’avvento dei nuovi media digitali ed ha un'importanza cruciale visto che, annullando le distanze tra persone, rende più influenti gli stakeholder interni all'ente.

 

Nick Mahony, con The work of public engagement, inaugura la seconda sezione della rivista, Critique and social relevance. Il testo descrive un progetto della Open University di Londra, chiamato Participation Now, che ha lo scopo di raggruppare, supportare e aiutare la partecipazione del pubblico all'attività svolta nella ricerca. Secondo l’autore si può ottenere questo risultato affrontando la questione da tre punti di vista: fenomenico, normativo e calcolativo. Le tre prospettive possono essere combinate tra loro così da sciogliere le situazioni più aggrovigliate.

 

Elisabetta Locatelli, in Analizzare la comunicazione nei social network tra ricerca accademica e amministrativa, propone di trasformare il duopolio del titolo in una relazione virtuosa usando  come “ponte” l'etica. Se vista come una pratica genuinamente auto-riflessiva, l’etica della ricerca può avvicinare i due filoni, rendendosi capace di migliorare l’affidabilità della conoscenza e di aiutare lo sviluppo della società. I social network vengono giudicati un banco di prova ideale per la messa in atto di questa nuova metodologia di ricerca.

 

Cristiana Ottaviano, in Dal logos all’eros: viaggio di (sola) andata. Quando la ricerca sociale sui legami “si fa” generativa, descrive un interessante approccio alla divulgazione che prevede, a seguito di un indagine scientifica sul rapporto tra nonni/e e nipoti, una comunicazione performativa dei risultati. Attraverso l'uso del corpo, dell'emozione viva, l’autrice cerca di rendere con maggiore partecipazione le emozioni percepite durante il processo di raccolta dati, superando così l’«egoismo epistemico» che caratterizza la comunicazione accademica, eliminandone la freddezza e facendola tornare a essere una parte viva della società. Sento però la necessità di fare un appunto: la modalità di comunicazione «generativa», ricorda l'uso fatto da numerosi drammaturghi dell'artificio del metateatro, attraverso il quale l'opera può rappresentare un'interpretazione personale del teatro stesso o della realtà circostante, data in forma performativa. Un accenno a ciò avrebbe forse reso l'articolo più completo e avrebbe dato delle basi storiche alla metodologia impiegata.

 

Rob Leurs, in Cambodian memories: images from within the Tuol Sleng Genocide Museum, si muove su una linea simile, interpretando giustamente il medium come uno strumento non trasparente di comunicazione. L'autore impiega molti media diversi durante la ricerca: interviste, foto, esperienze dirette sul campo. L'immagine ha una spiccata capacità analitica perché riesce a catalizzare l’attenzione su punti di vista particolari. «Incorniciare vuol dire escludere» afferma Leurs, e nell’articolo dimostra efficacemente come questa caratteristica condizioni la comunicazione. «Il medium è il messaggio», avrebbe annuito McLuhan.

 

L’articolo di Giulia Bertone, Domenico Morreale e Gabriella Taddeo, Cronaca di un modello culturale: la “Participatory culture” al vaglio degli stakeholders, presenta un progetto di valorizzazione territoriale costruito attraverso la partecipazione di operatori del territorio. Durante lo svolgimento del lavoro sono state impiegate delle tecniche di ricerca accademica volte a mostrare la validità innovativa, in ambito di pianificazione territoriale, della comunicazione partecipatoria fatta attraverso la Rete. La ricerca è risultata utile anche alla comprensione dell'atteggiamento di persone differenti per cultura, età e ruoli sociali nei confronti dei mezzi di comunicazione.

 

Similmente, l’articolo di Gaia Peruzzi, La comunicazione del non profit: un campo da esplorare. Evidenze da tre studi di caso, concentra la propria attenzione sulle strategie comunicative e sul bisogno di competenze specifiche nelle associazioni non profit che operano nel sociale e nella solidarietà. Nel testo si cerca di comprendere i bisogni di comunicazione degli enti e le imprese del Terzo settore e quali strategie vengono da loro attivate per dialogare con l’ambiente circostante.

 

Nel complesso, gli articoli contenuti nella rivista riflettono su alcuni argomenti che potrebbero interessare, per analogia, anche la ricerca sull'arte, in particolare l'analisi di forme in cui pubblico e artisti collaborano alla creazione dell'opera. Inoltre, le tesi contenute nei testi che indagano l'uso partecipatorio dei media da parte degli stakeholder, sono applicabili anche all'approfondimento del comportamento dell'audience in risposta a determinati stimoli artistici di natura visiva e/o acustica. In conclusione, questo numero di «Comunicazioni Sociali» è sicuramente una lettura stimolante anche per chi si occupa di quel mezzo di comunicazione identificato come Arte, sia performativa che non.

 

 

di Giovanni Mori


La copertina

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