Ventuno studiosi (tedeschi,
francesi e un britannico) perseguono unindagine a tutto campo sullevoluzione
del teatro in Germania, dalla sua bipartizione nel secondo dopoguerra ad oggi;
coscienti della vastità del problema e intesi a colmare unimportante lacuna storiografica.
Il punto di vista e la responsabilità francesi delliniziativa sono bene
equilibrati dalla documentazione originale, in massima parte tedesca, su cui si
basa lo studio. Dalla tournée
parigina del Berliner Ensemble negli anni 1950, rivelatrice di unidea e duno
stile tipici della scena tedesca, era iniziato il sondaggio su quella realtà
che, allattenzione di Roland Barthes
(«Théâtre populaire») e di Bernard Dort,
costituiva per la Francia una novità finora ignorata, da evidenziare e
integrare. Il volume presenta ora il risultato di un lavoro pluriennale, nella
linea intrapresa per «Les voies de la création théâtrale» da Denis Bablet e diretta oggi da Béatrice Picon-Vallin. Didier Plassard
riconosce la parzialità dello studio e precisa lambito della ricerca: «Éclairer
depuis différents angles dapproche les aspects plus saillants du travail dun
petit nombre de metteurs en scène, choisis moins en fonction de leur renommée
que pour la singularité (voire pour lexemplarité) de leur démarche [...]. Ils
ont su donner sa plus grande envergure à lidée dun théâtre de mise en scène (Regietheater), telle quelle avait
commencé dapparaître dans la première moitié du 20° siècle» (p. 11). Scelta
del Teatro di Regia, quindi, per distinguere i casi più significativi, validi oltre
il territorio linguistico tedesco, di unArte teatrale riconoscibile in un fenomeno
di portata europea.
La divisione in tre parti consente
di seguire in cronologia e nel confronto critico lopera di alcuni artisti
rappresentativi di diverse generazioni. Créer
en Allemagne riassume le circostanze di fondazione dei grandi Teatri
cittadini e la diffusione di un «servizio» a beneficio della borghesia egemone.
Lorganizzazione delineata, maturata nei secoli precedenti, mostra specificità
e diversità notevoli, rispetto a quella francese, ad esempio, che attestatasi
sulla centralità, manifesta nello stesso periodo lapertura alla décentralisation. Aperçu sur le système théâtral
allemand (di Henning Röper) introduce alle
condizioni produttive, nella tradizione partita dalle sedi municipali con la costruzione
alla metà del XVII secolo dei primi edifici deputati allo spettacolo pubblico: « Dans
lensemble, le paysage théâtral allemand est largement dominé par les théâtres publics
qui sont presque toujours les plus importants et souvents les seuls théâtres de
la ville » (p. 26). Laspirazione ottocentesca a un Teatro
Nazionale vede laffiancamento ai privati di Teatri a sovvenzione pubblica
(Deutsche Theater, 1883), Freie Bühne (1889) e Freie Volks Bühne (1890). Sistema
che ricade, nel periodo nazista, sotto la totale dipendenza dalla Camera
centrale dei Teatri del Reich (p. 32). Del resto, laffermazione del Teatro di
Regia lungo il XX secolo, è tardiva
rispetto alla Francia e alla Gran Bretagna e sono gli anni 1950-60 a mostrare i
frutti del lavoro iniziato da Reinhardt,
Piscator e Brecht, per una messa
in scena come arte autonoma. Ma
proprio contro tale visione agisce la via educativa al teatro, nata con Schiller: «De façon plus marquée encore
quen France, la scène allemande, de par lépoque qui la vue naître, sest
trouvée investie dun röle éducatif dont lessai de Schiller (1784) a su tracer
les contours et désigner lhorizon utopique» (p. 19). La nuova tendenza
- analoga alla regia critica italiana, anchessa debitrice ai decenni
precedenti - consisterà in un «dispositif dinterprétation» sempre più
determinante la pratica, attuata nella fase del «dispositif de création», che
postula intervento drammaturgico e messa in scena integrati nella creazione di
unopera in senso concluso (pp. 21-22).
Lo studio affronta subito la situazione
della Germania divisa e la relativa sostanziale diversità delle parti, accomunate
dallistituzione del teatro stabile, gestito secondo la programmazione di un
repertorio e nellalternanza degli spettacoli. Per cui è insolita la tournée e la relativa ospitalità (p.
40). Spesso i Mehrspartentheater (Teatri polivalenti) riuniscono funzioni
produttive dei diversi generi. Il sistema nella Germania Est è analizzato da Laure De Verdalle. Ne risalta lo shock alla riunificazione del 1990, con lintervento
sulla pesantezza e la complessità burocratiche degli enti statali (p. 45) con
esiti ineguali sui rapporti contrattuali e le pratiche di lavoro. Si riscontra
in genere la riduzione, la fusione e le non rare chiusure dei complessi. Nella continuità della trasformazione, «la
transition a opéré comme déformation de la configuration théâtrale antérieure et
non pas comme substitution dune configuration à une autre» (p. 51). Segue
una breve ma approfondita rassegna di casi di singole imprese, a partire dal
Schauspielhaus di Bochum, in cui si confronta il lavoro dei vari direttori, Hans Schalla, Peter Zadek, e Claus
Peymann. E inoltre i casi del Theater am Turm (TAT), di Francoforte e del
Theater an der Ruhr, di Mülheim. Anche nei leaders
succedutisi al TAT, si registra contrasto fra la linea educativa e quella
artistica. Nel decennio 1953-65, Nurberger, Aufenanger e Welke propendono per la prima, mentre sorienta allaltra Felix Muller, coadiuvato da Claus
Peymann e Wolfgang Wiens. Dallora
lo sviluppo originale del TAT instaura la partecipazione collettiva alle
decisioni (cogestione) e stabilisce collaborazione con Rainer Fassbinder (1974-75). La «grande époque» è situata nel
decennio dal 1985, diretto da Ulrika
Schiedemair e Tom Stromberg, con
aperture internazionali, purtroppo destinate a un declino che neppure la
direzione di William Forsythe seppe
arrestare. Limpresa fondata nel 1980 a Mülheim da Roberto Ciulli viene ripercorsa e commentata da Ulrike Hass. Ponendo al centro il
personaggio (in spettacoli come Il
mercante di Venezia, 2000), il regista immigrato mette in tensione il
racconto del dramma con la sua parte nascosta e latente (p. 95). Il suo talento
clownesco palesa anche loriginalità del drammaturgo nellelaborare testi di Genet, Brecht, Handke e Garcia Lorca.
Un bilancio più recente raccoglie i sintomi di novità nel Freies Theater,
partito dalla «rébellion contre linstitution» e avviato alla fase del «théâtre
hors de soi» (p. 120). Si notano così personalità riconosciute dal Premio
Europa, come il gruppo Rimini Protokol, senza sottolineare che tale Premio è
andata ad artisti quali Heiner Müller,
Thomas Ostermeier, Peter Zadek, Heiner Goebbels, Sacha Waltz, Christoph
Marthaler e Peter Stein.
La Seconda Parte tratta il
Regietheater come aspetto impostosi nel mezzo secolo. Le opere di alcuni
artisti maggiori – ricostruite e interpretate in saggi a volte laboriosi e
complessi – appaiono originali e discutibili, ma significative in assoluto. Si
incontra dapprima il saggio di Didier
Plassard su Peter Stein e il suo storico tragitto a partire dalla
Schaubunhe am Helleschen Ufer nel 1962. E Christine
Hamon-Siréjols recupera gli esiti dei suoi spettacoli čechoviani. Di Klaus Michael Grüber (più noto e apprezzato
per il suo lavoro in Francia) si evidenzia, nelletica della parola, lo spazio
offerto alla voce dellAltro, analizzando Le
baccanti (1974) e Bérenice
allestita alla Comédie-Française (1984). Poi Philippe Ivernel studia il suo Voyage
dhiver dans le stade olympique:l Hyperion
de Hölderlrin, con raffinata metodologia esegetica. Peter Zadek è apprezzato attraverso la «douche écossaise des
émotions» provocata dai suoi spettacoli shakespeariani. Di Claus Peymann si
traccia un profilo riferito alla sensibilità per la drammaturgia contemporanea
(di Thomas Bernhard, Peter Handke e George Tabori) e le regie memorabili di
Torquato Tasso (1980) e Nathan il saggio (1981). Proprio Peymann è preso a paradigma del (nel) Regietheater, con implicazioni più
generali, adattabili a tutta la scena occidentale: «Peymann reste convaincu de
limportance dune mise en scène de type
idéotextuel [secondo Patrice Pavis]
dans laquelle lœuvre est soumise à des questionnements contemporains sur
lhistoire ou sur la société» (p. 241).
La parte conclusiva, Nouveaux regards, nouveaux modes de faire,
riporta lattenzione alla più immediata memoria. Alcuni nomi ed eventi si
collegano in particolare alla svolta seguita alla caduta del Muro: La società di transizione, di Volker
Braun (regia di Thomas Langhoff), Cavalieri della Tavola Rotonda, di Christian Hein (regia di Klaus Dieter Kirst) e Hamlet/Machine, di Heiner Müller diretto
dallautore. Al valico del Secolo, si osservano ancora i tragitti ascendenti di
Thomas Ostermeier, animatore della
Baracke, di Einar Schleef, Frank Castorf
e Christoph Marthaler, che fornisce con lo spettacolo Die Specialisten (Gli specialisti, 1999) un esempio di ambiziosa
formalizzazione drammaturgica, con effetti sorprendenti per il pubblico,
dimpegno straordinario per gli autori. Il saggio dedicatogli da David Roesner rappresenta un esempio
metodologico sofisticato e originale, nellalto livello dei contributi propri a
codesta Collana. Infine, Dissolution ou
permanence?, non pretende di rispondere alla domanda, ma mostra alcuni
autori novissimi, inseriti in un processo creativo che torna a valorizzare la
sostanza drammaturgica testuale. Se una mancanza si avverte, nelle congrue
Appendici, è una Teatrografia aggiornata
dei registi maggiori. di Gianni Poli
|
|