Noto in Italia quale protagonista della scena francese fra le due Guerre, Louis Jouvet (1887-1951) ha subìto col tempo un oblio forse irreversibile. Lultimo intervento importante sulla sua figura e la sua opera risale al libro di Stefano De Matteis, Elogio del disordine (Firenze, 1989). In patria, il regista e lattore sono oggetto di studio in costante aggiornamento, fino al recente saggio di Paul-Louis Mignon, Louis Jouvet, un homme de science du théâtre, 2009. La silloge di suoi Écrits appena pubblicata, contribuisce a ravvivare un interesse non superficiale per una personalità di teatro completa, che affidava al lavoro assiduo e severo gli esiti dellintuizione dun istante: «Créer est laffaire dun moment, non dune durée. Seul compte linstant de lexécution de cette création immediate quest la cérémonie dramatique» (p. 40). E che concludeva la sua parabola illuminando i classici (LÉcole des femmes, 1951) e affrontando i nuovi autori, con Les Bonnes di Genet (1947) e Le Diable et le bon Dieu di Sartre (1951).
Louis Jouvet fu sempre fiero delle origini di régisseur («le valet de chambre du théâtre»), sorte nellapprendistato accanto a Copeau, pronto a verificare nellapplicazione pratica, architettonica e scenografica, i principi ispiratori della propria arte: «À dix-huit ans jétais régisseur […]. Mais tout ce que je sais, tout ce que je pourrais formuler, nest que le résultat dune pratique. Ce nest pas tellement des explications que japporte, mais des témoignages» (exergo, p. 6). Un spola dialettica informa, secondo la curatrice, questi scritti, frutto di annotazioni estemporanee, di conferenze e di articoli occasionali, fra cui molti inediti. «Lhumble connaissance de la pratique est le chemin le plus sûr pour aller à la vérité» (p. 8). Ma il suo processo concettuale e costruttivo è preceduto e accompagnato da una tecnica accurata di progettazione, dai grafici al rilevamento statistico delle ricorrenze testuali (p. 13) e alle durate di singole sequenze nella rappresentazione, per «identifier le sentiment contenu dans le texte, de manière à le communiquer au public» (p. 13). Lartista si dimostra inoltre sensibile alla problematica più ardua e profonda dellattore, diventandone uno dei maggiori interpreti nel suo Secolo. Lo fa in antitesi col naturalismo di Antoine, posizione che riafferma lungo la carriera e nella collaborazione con Jean Giraudoux, in particolare. Come regista esordisce con Monsieur Le Trouadec saisi par la débauche, di Jules Romains, al Théâtre des Champs-Élysées, seguito da Knoch, nel 1923. Sarà fra i promotori del Cartel des Quatre nel 1927 e direttore del Théâtre de lAthénée dal 1934 alla morte.
Anche a complemento dei testi suoi più celebri, quali Le comédien désincarné (1954), ricorrono ancora, spesso in forma aforistica e con stile dossimoro, i dilemmi e le formule inerenti allarte dellattore, impegnato in un misterioso processo di possessione e uscita da sé, da dominare nella costruzione del personaggio, per una relazione anche affettiva col pubblico. Esigenza che sinseriva in una ricerca quasi religiosa di adesione alla propria vocazione profonda. Difatti, lincontro con Copeau equivale a una chiamata a cui rispondere con slancio «religioso» e la riconoscenza personale sapplica anche alle mansioni, più o meno umili o importanti, dellattività presso il Vieux-Colombier (pp. 9-10). Tappe dun confronto originale e rivelatore con Molière, sono gli allestimenti di LÉcole des femmes (1936) e Dom Juan (1947). Linsofferenza alla sistemazione teorica della sua estetica, è bilanciata dalla dedizione al clima dintima partecipazione alla preparazione della messa in scena, per cui le prove diventano centrali: «Une troupe qui répète cest une famille dans la plus stricte intimité – il ny a pas plus parfaite famille – dans toutes les familles du monde» (p. 62). Nella collaborazione instaurata col grande scenografo dellepoca, Christian Bérard, dimostra unumiltà straordinaria fatta di ammirazione per loriginale interpretazione delle soluzioni tecniche volte ai problemi estetici. Intervengono allora momenti di valorizzazione della profondità della scena, delluso dellilluminazione (inventore Jouvet stesso dun tipo di proiettore) e della diffusione sonora, così da interrogarsi sulla funzione dei macchinari (al tempo in cui è crescente lapporto tecnologico), in Mise en scène et espace scénique, del 1942 (p. 72). Sulla loro collaborazione e a testimonianza sulle virtù dellartista, Jouvet afferma: «Lélégance est énigme, repossession des êtres et des choses. Elle est, dans lart théâtral, une recherche constante du dramatique. Lélégance est un sens intime» (p. 79). Profetici allarmi vengono raccolti e riflessi negli ultimi anni, a confronto con larte dello schermo. In Le théâtre interpellé par le cinéma (1946), Jouvet nota i poteri della riproduzione e della meccanizzazione, che separano la star dal comédien e sminuiscono larte di questultimo, facendola passare «dune sincérité passionnée à une feinte, à une sorte damorçage des sentiments» (p. 91). Tratti dal Fondo darchivio della Bnf, questi documenti integrano informazioni precedenti, confermano peculiarità innovative nella scenografia e nella scenotecnica. I dati biografici, la filmografia e la bibliografia chiudono il libro.
di Gianni Poli
|
|