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Pietro Chiari

La commediante in fortuna

A cura di Valeria G. A. Tavazzi

Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, pp. 293, euro 44
ISBN 978-88-6372-415-8
                                 

Non si può che dare il benvenuto a questa raffinata edizione critica de La commediante in fortuna di Pietro Chiari pubblicata dalle Edizioni di Storia e Letteratura e pregevolmente curata da Valeria Tavazzi. Edito nel 1755, il quarto romanzo dell’abate bresciano e l’ultimo della cosiddetta “trilogia teatrale” (con La ballerina onorata e La cantatrice per disgrazia, entrambi del 1754) si inscrive nel copioso filone della letteratura a soggetto teatrale, frequentatissimo in area veneziana nel diciottesimo secolo.

 

Protagonista della vicenda è Rosaura, volitiva e proba attrice di commedia che, attraverso una serie di accidenti, fortuiti quanto felici (la “fortuna” del titolo), passerà da una condizione di miseria a una di agiatezza, grazie al matrimonio con il suo protettore. Più che i risvolti avventurosi di cui il testo è zeppo, a interessare è il fertile sottotesto. Perché quello di Chiari è, anzitutto, un romanzo autobiografico: vera e propria miniera di informazioni sulle vicende professionali del drammaturgo, nonché sugli accadimenti teatrali della Venezia di quegli anni.

 

Il valore documentale della Commediante rispetto al teatro è opportunamente messo in risalto da Tavazzi nella brillante Introduzione al testo. Disancorata da una prospettiva sterilmente letteraria, la giovane specialista (si rimanda qui al suo Il romanzo in gara. Echi delle polemiche teatrali nella narrativa di Pietro Chiari e Antonio Piazza, prefazione di Piermario Vescovo, Roma, Bulzoni, 2010) fa luce sui significati reconditi del testo chiariano, mediante il raffronto con la pubblicistica coeva e collocando il romanzo nel giusto contesto, quello dell’accesa guerra teatrale tra Goldoni e Chiari. Non si possono leggere altrimenti le vicende del capocomico Marbele (alter ego di Girolamo Medebach e dello stesso Chiari), del poeta Don Cirillo (lo stesso Chiari) e della protagonista Rosaura (alias Maddalena Raffi Marliani, la celebre Mirandolina della Locandiera).

 

Sottotraccia, l’abate Chiari orienta l’intero romanzo a proprio uso e consumo. Si pensi a quando apologizza sé stesso per difendersi dagli attacchi sferratigli da Goldoni dalle pagine della Paperini (in seguito alla rottura di quest’ultimo con l’editore Bettinelli). Oppure a quando esalta la compagnia Medebach, di cui egli stesso è poeta stipendiato in servizio al sant’Angelo. O, infine, a quando assegna a Marbele-Medebach la palma di riformatore, insignendo sé stesso, a dispetto di Goldoni, della missione di Ğrilevare la Commedia Italiana dal fango vile e plebeoğ (p. 95). Né il drammaturgo bresciano spreca occasione per togliersi sassolini dalla scarpa e perpetrare vendette personali: sono da leggersi in questo senso sia la satira in filigrana contro il critico Stefano Sciugliaga, suo nemico della prima ora; sia la caricatura del Signor Vanesio alias Giacomo Casanova, la cui reciproca inimicizia è testimoniata da alcuni brani della casanoviana Histoire de ma fuite des prisons de Venise.

 

Per restituire questo tessuto teatrale “militante”, Tavazzi ripropone l’editio princeps del romanzo (pubblicata nel 1755 dal veneziano Angelo Pasinelli), preferita alle due edizioni napoletane edite nello stesso anno (l’una per i tipi di Domenico Lanciani, l’altra per quelli di Di Domenico e Manfredi) e a quella seriore parmense (Carmignani, 1763), delle quali d’altronde la curatrice registra puntualmente, con vis filologica, gli aggiornamenti e le varianti rispetto all’originale. Da registrare, infine, nella Nota al testo, il punto sulla fortuna del romanzo. Da segnalare una traduzione in lingua inglese del 1771 (Rosara or the adventures of an actress: a story from real life, Londra, Baldwin and Bladon) che attesta la diffusione della Commediante anche fuori dell’Italia.


di Gianluca Stefani


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