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Luigi Squarzina

La storia e il teatro

A cura di Elio Testoni

Roma, Carocci, 2012, pp. 331, € 34,00
ISBN 978-88-430-6658-2

 

Per quanti volessero approfondire a trecentosessanta gradi la conoscenza di Luigi Squarzina (Livorno 1922-Roma 2010), osservandolo, oltre che sotto il suo profilo di grande regista, anche come poeta, autore di racconti, saggista e scrittore di teatro, questo libro, ricco e insieme maneggevole (propone infatti un’ottima selezione di molti materiali inediti e di altri difficilmente reperibili), pare fatto apposta.

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Assecondando una periodizzazione molto netta e altrettanto utile, Elio Testoni, curatore del volume nonché responsabile scientifico dell’Archivio Squarzina conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, individua, nella carriera del regista-scrittore-intellettuale-professore, cinque fasi differenti: i primi tentativi letterari e la formazione professionale (1941-1951); il crescente impegno nella ricerca storica e nello studio teorico, e la sempre più intensa ed eclettica produzione registica (1952-1961); le celebri messe in scena delle Baccanti e di Una delle ultime sere di Carnovale, e le coeve riflessioni sull’essenza del teatro e la funzione della regia (1962-1976); l’approfondimento di Brecht e di Pirandello, e l’incarico di redattore della voce Regia per l’Enciclopedia Treccani (1976-1983) e, infine, il ritorno alla scrittura drammaturgica.

 

Fra i testi (finora inediti) presenti nel volume, ricordiamo le poesie d’amore Liturgia al tramonto e A Iuna (composte fra il 1942 e il 1943), il bellissimo racconto lungo Zim (scritto da uno Squarzina ventiduenne traendo spunto da un tragico evento biografico che gli è capitato poco tempo prima e che l’ha gravemente traumatizzato), lo spoglio e illuminante racconto breve La venditrice e alcune graffianti pagine tratte dal diario da lui tenuto nel corso dei quattro mesi (14 novembre 1951-23 marzo 1952) in cui è borsista Fullbright presso la Yale Drama University.

 

Di grande interesse, ad attestare il capillare studio filologico-critico che sta dietro ogni messinscena squarziniana, sono poi, fra le altre cose, il saggio su Ibsen (pubblicato su «Sipario» nel 1949), le note di regia all’Amleto di Shakespeare rappresentato al Valle di Roma il 28 novembre 1952 (protagonista Vittorio Gassman) e il saggio su Una delle ultime sere di Carnovale (1968) di Goldoni: sono tre tappe e tre autori fondamentali nel percorso artistico del regista. Testimone-chiave della società ottocentesca, Ibsen, per Squarzina, è un drammaturgo di straordinaria attualità, e addirittura d’avanguardia, «non in quanto abbia emesso vaticinii che poi si sono avverati, ma in quanto portò in scena uomini e donne d’avanguardia e rappresentò, come nessun altro dopo di lui ha saputo fare, il loro conflitto con le forze retrive della società. Ibsen conclude frequentemente con la vittoria degli antagonisti, e non perché la vita è fatta così, ma perché nei protagonisti non c’è ancora la forza spirituale che permetterebbe loro di praticare e imporre i nuovi concreti ideali, la nuova morale di cui sono portatori e che sentono realizzabile, seppure non da loro».

 

Riguardo all’edizione squarziniana dell’Amleto, è un traguardo decisivo tanto nella carriera del regista (che ha pure tradotto il testo dall’originale) e del suo amico Gassman, quanto (e soprattutto)  nella storia del teatro italiano, poiché è la prima volta che, sulle tavole di un nostro palcoscenico, il capolavoro shakespeariano viene proposto integralmente. Squarzina sceglie di «restituire alla tragedia la sua integrità: rotto a un uso secolare di mutilazioni o di divulgazioni malintese, il testo doveva apparire non soltanto nella sua vastità, ma nel suo linguaggio, nel suo ambiente naturale, nel suo ritmo, nella sua struttura, affinché il personaggio, svincolato dai luoghi comuni romantici e post-romantici, potesse ritrovare la sua coerente funzione di specchio di un’età di crisi». Come ha scritto Laura Caretti con la consueta esaustiva e cristallina concisione, le note di regia «non solo rintracciano per noi il disegno registico, ma visualizzano scena per scena il copione in performance. È come se da tutto lo studio, dalle ipotesi, dalle discussioni e dalle prove fosse stata distillata una narrazione scenica dell’Amleto che è insieme piano di regia e saggio critico».

 

Altra opera molto amata da Squarzina, Una delle ultime sere di Carnovale viene da lui allestita non solo immergendola in un’atmosfera di malinconia talmente tentacolare da sfumare nell’angoscia, ma innestandovi all’interno, con buona pace di Croce, anche dei brani dai Mémoires, per far sì che agli spettatori, posti di fronte alla struggente intensità del rapporto fra Goldoni e la sua Venezia (ovvero fra il Teatro e il Mondo), non sfuggano «la grandezza, la malinconia, la provocazione socio-politica presenti in questo testo che racconta la fuga dei cervelli dall’Italia». Un problema, questo, che in Italia, si vede, è significativamente sempre all’ordine del giorno: dal 1762 di Goldoni al 1968 di Squarzina fino a oggi.

 

Nella parte terza e quarta del volume spiccano, invece, le riflessioni sulla storia della regia in Italia (il saggio, edito nel 1974, Nascita, apogeo e crisi della regia come istanza totalitaria, per esempio, è la prima sistematizzazione delle questioni registiche curata da un regista), sulla produzione di Brecht nelle tre fasi della sua esistenza (fine della Repubblica di Weimar-esilio-DDR) e su Pirandello, difeso a spada tratta dalle accuse di adesione ideologica al fascismo. La prosa saggistica squarziniana, sempre sistematica, penetrante e meditata, è proprio nell’articolo dedicato a Pirandello (Perché dare Pirandello al fascismo?) che raggiunge, per l’avvolgente incisività, una specie di stato di grazia. «Dove il rifiuto di accreditare Pirandello al fascismo – si legge –, l’impossibilità di configurare in lui un autore intrinsecamente fascista, hanno per noi salde basi, è nella sfida all’ottimismo macellaio delle camicie nere che emana dalla sua drammaturgia. Il nero indossato da tante presenze sceniche pirandelliane non è mai minaccia di morte per l’oppositore; quel lutto è invece la divisa di una disperata, autoironica opposizione alle forme artificiali imposte alla vita da chiunque dimentichi la contestazione inevitabile della storia e quella irreparabile della mortalità».

 

A chiudere il libro è Siamo momentaneamente assenti (1992), l’ultimo lavoro drammaturgico (edito) del regista: una commedia surreale e ironica, seppur velata di malinconia, che è un inno all’arte e all’amore, alla forza delle donne e alla gioia di vivere. E così, lo Squarzina settantenne – dopo una vita in prima linea sul fronte della regia critica e dell’impegno politico, dell’instaurazione di un rapporto stretto fra teatro e cultura, e fra teatro e società – fa il suo ingresso nella vecchiaia con sorridente levità anti-intellettuale, tendendo affettuosamente la mano allo Squarzina ventenne, che scriveva dolenti e luminose poesie d’amore.

 

La chiara, nitida, ricca, analitica introduzione al volume è di Elio Testoni, che ha curato questo inappuntabile florilegio di scritti squarziniani con una dedizione e un amore evidenti e ammirevoli.

 

di Giulia Tellini


La copertina

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