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Theatre Research International
in association with the International Federation for Theatre Research

vol. 37, n. 2, July 2012, p. 102, £53
ISSN 0307-8833

I saggi del 37° numero (parte II) di «Theater Research International» riflettono sulle reciproche influenze tra il teatro e il più ampio ambito socio-politico, soffermandosi in particolare sulle questioni inerenti l’immigrazione, le estetiche artistiche e le conseguenti implicazioni sociologiche.

Emine Fisek indaga le capacità ‘curative’ della pratica teatrale nelle zone colpite dalla guerra, facendo riferimento al documentario Arna’s children (2004), testimonianza delle significative attività teatrali promosse dall’israeliano Arna Mer Khamis nel campo profughi di Jenin (Palestina) dal 1989. Pur riconoscendo pienamente le capacità terapeutiche dell’attività di Mer Khamis, Fisek elabora una riflessione critica sulle effettive potenzialità e i limiti del teatro nei luoghi di guerra. La vera forza di queste attività, conclude l’autrice, risiede nella comunicazione che si instaura tra gli artisti e i bambini del luogo, nelle motivazioni e nello straordinario coraggio di queste persone che rischiano la propria vita per rimarginare le ferite inflitte dalla violenza o, semplicemente, per donare un sorriso e una speranza. Fisek dedica il suo lavoro alla memoria dell’attivista politico Juliano Mer Khamis, autore del documentario, ucciso in Jenin nel 2011.

Il contributo di Emma Cox si sofferma sullo spettacolo dei Magnet Theatre Every Year, Every Day, I Am Walking (2006), ispirato a storie di rifugiati. La messa in scena di Mark Fleishman induce l’autrice a riflettere sul rapporto tra il profondo trauma dello sradicamento forzato e le speranze di un futuro migliore. Il saggio esamina il processo di costruzione dell’opera, dai racconti degli immigrati sudafricani di Cape Town al copione e alla performance finale, sulla base della «dialettica dell’auto-sacrificio e della speranza», i poli tra i quali oscilla la vita di un rifugiato secondo Cox. Il saggio analizza poi le reazioni del pubblico dell’Oval House Theatre che ha ospitato lo spettacolo nel 2010. La studiosa intende verificare quanto l’urgenza di speranza delle storie dei rifugiati possa coinvolgere, per induzione, gli ‘estranei’ pubblici metropolitani. Lo studio mette inoltre in luce le cause e le modalità attraverso le quali esperienze di valore estetico derivano da condizioni di miseria e indigenza.

Nel saggio Transience and Connection in Robert’s Lepage «The Blue Dragon»: China in the Space of Flows, Chris Hudson e Denise Varley analizzano la rappresentazione dell’amore in epoca post-moderna tramite la lente concettuale di Zygmunt Bauman sulla «liquid modernity and liquid love». La messa in scena di The Blue Dragon sorprese soprattutto per la rappresentazione della storia d’amore, collocata nella Shanghai odierna, tra un canadese francese (Robert Lepage) e una cinese. Se gran parte della critica descrivono le vicende amorose dei protagonisti come una «banale e prevedibile soap opera», Michael Billington definisce questo legame sentimentale come «metafora critica tra le due culture». Hudson e Varley propongono, sulla scia dalla tesi di Billington, una lettura trans-culturale, trans-nazionale e trans-generazionale dello spettacolo di Lepage, metafora lampante del rapporto tra la nuova Cina e l’Occidente.

Il contributo di Meike Wagner studia le complesse interazioni tra teatro e politica nella Germania del primo Ottocento. L’autrice analizza la rappresentazione di Der alte Student (Il vecchio studente) di Gotthilf August von Maltiz al Konigstadtische Theater di Berlino nel 1828, spettacolo censurato per aver osato portare sulla scena idee politiche progressiste. Lo studio del milieu socio-economico dell’epoca permette a Wagner di dimostrare la poderosa incidenza della pratica scenica nella sfera pubblica e politica già nella seconda decade dell’Ottocento, ancora prima quindi delle turbolenze rivoluzionarie del 1848.

Il dossier History, Memory, Event: a Working Archive è un primo bilancio consuntivo del progetto di «working archive» elaborato della School of Art and Aesthetics del Jawaharlal Nehru University (Delhi, India) in collaborazione con School of Theatre, Performance and Cultural Policy Studies dell’Università di Warwick (Coventry, UK) negli anni 2008-2010. Il progetto ha sperimentato un’inchiesta metodologica trans-culturale con l’obiettivo di instaurare un «dialogo capace di indirizzare il teatro verso un metodo di ricerca multinazionale». I ricercatori hanno costituito, sulla base delle proprie competenze, un archivio comune di materiali provenienti da sei nazioni diverse, successivamente analizzati dal gruppo di ricerca. Il dossier curato da Nobuko Anan, Bishnupriya Dutt, Janelle Reinelt e Shrinkhla Sahai presenta metodi, processi ed esiti di alcune ricerche generate dall’«working archive». L’approccio metodologico delle studiose consiste nell’individuazione di alcune chiavi di lettura che riguardano le complesse interazioni tra le pratiche teatrali, il clima socio-culturale e l’apporto dei media. L’Editoriale di Elaine Aston pone l’accento sull’importanza innovativa del «working archive» per le discipline umanistiche, ovvero l’uso del web come spazio di pubblicazione complementare, pratica peraltro molto comune nel contesto delle ricerche scientifiche. Aston considera la costituzione di questo archivio informatico un evento di assoluta importanza per lo sviluppo di metodi e strategie di ricerca che possano superare le specializzazioni individuali, nell’interesse di un più vasto dialogo internazionale nell’ambito della ricerca teatrale.



di Adela Gjata

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