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Alessandro Pontremoli

Danza e Rinascimento
Cultura coreica e "buone maniere" nella società di corte del XV secolo

Macerata, Ephemeria, 2011, pp. 174, euro 20
ISBN 978-88-87852-12-7

 

Il volume di Alessandro Pontremoli si propone come una riflessione consuntiva e aggiornata sulle varie problematiche della danza quattrocentesca in Europa e in Italia fra teoria e prassi, partendo dalla ricostruzione della sua trasmissione e scandagliandone le molteplici trasformazioni all’interno della mutevole e complessa società umanistica, in relazione ai processi di memorizzazione, alle reti di produzione e alla ricostruzione delle relazioni dei soggetti interessati, creatori e fruitori del fenomeno coreutico nell’ambito delle corti del periodo.

 

Una prima sezione del lavoro è dedicata all’analisi della teorica coreutica quattrocentesca. I tre trattati italiani di danza di Domenico da Piacenza (De arte saltandi et choreas ducendi), Guglielmo Ebreo da Pesaro (De pratica seu arte tripudii) e Antonio Cornazano (Libro dell’arte del danzare) vengono qui ampiamente presentati nella loro struttura e nel loro contenuto, attraverso un’indagine comparativa tesa a metterne in luce similitudini e differenze; il raffronto dei tre manoscritti si sposta poi sull’individuazione delle finalità immediate, in direzione della legittimazione della danza come arte “etica” degna di essere insegnata sia a livello teorico che pratico, e sulle più complesse ricadute culturali e sociali, all’interno dell’articolato sistema teorico-filosofico-pedagogico umanistico che tende alla creazione di un modello italiano di comportamento sociale, in cui la definizione “identitaria” del gentiluomo e della gentildonna della corte rinascimentale risulta centralizzante. La discrepanza tra trattatistica di danza e materialità coreica viene poi affrontata come elemento effettivo della frattura tra teoria e prassi rappresentativa, tipica del passaggio dal Trecento al Quattrocento, che porta di fatto a individuare la danza quattrocentesca come un elemento costitutivo e significativo del microcosmo della corte e che trova il suo spazio d’azione all’interno di una prassi spettacolare ancora tipicamente tardo-medievale, rappresentata dal torneo, dal banchetto, dai rituali cittadini e dall’uso dello spazio urbano esterno e interno.

 

A completamento del quadro sulla teorica coreutica quattrocentesca, l’autore si sofferma sull’approfondimento delle connotazioni scientifiche ed esoteriche che gli autori stessi dei trattati attribuiscono alla danza, in particolare Guglielmo Ebreo da Pesaro: una disciplina che si presenta come arte e scienza, summa delle riflessioni neoplatoniche e dell’ermetismo numerologico, in cui si mescolano in maniera equilibrata elementi naturali e fattori accidentali e che comincia a vedere nell’artificio l’elemento essenziale per la sua resa compiuta e la sua valenza “dilettevole”. Una radicale trasformazione che porta al superamento dell’arte coreica definita “naturale”, come voleva Domenico da Piacenza, per approdare ad una connotazione più “artificiosa”, propugnata da Guglielmo Ebreo, in cui le doti virtuosistiche del ballerino e la sua abilità nel danzare contribuiscono a creare «grazia e armonia» e a suscitare la lode degli osservatori, sempre a patto che non si ecceda in movimenti e posture considerate “innaturali”.

 

Una seconda sezione dei saggi proposti nel volume indaga più da vicino la prassi coreica, considerata come elemento fondamentale di comunicazione e di appartenenza sociale, e l’inserimento di essa all’interno della codificazione spettacolare umanistica. Si parte dalla considerazione del rapporto inscindibile tra danza e cultura vestimentaria, elementi che nel Quattrocento fanno riferimento a un medesimo sistema cognitivo teso a influenzare e codificare i comportamenti sia del singolo sia del suo gruppo sociale di appartenenza; tanto le leggi suntuarie che i trattati di danza del periodo, infatti, mirano a istituzionalizzare gli strumenti per la comunicazione dello stato e della condizione del soggetto o dei gruppi sociali coinvolti, nella necessità di rendere esteticamente percepibile l’ordine gerarchico della società. Dopo tali premesse,  l’autore analizza la danza di corte «alla prova della prassi», focalizzando la sua trattazione sui principi teorici dell’espressione del corpo del danzatore in relazione all’utenza cui si riferisce e sviscerando le varie componenti espressive e drammatiche concesse al ballerino aristocratico dilettante, con particolare riferimento alla figura femminile; l’opposizione è con potenzialità ammesse per il professionista e per l’esecutore appartenente alle classi sociali inferiori, secondo la dialettica classicista che vede contrapposti l’otium e il negotium e che concede al nobile la frequentazione di passatempi, come la danza, che rientrano nell’ordine naturale della vita dell’uomo se non esercitati come mestieri ma come sollievo e diletto dell’animo e del corpo. Si passa poi all’esposizione delle diverse accezioni di danza sociale e ballo spettacolare, sempre in riferimento alla trattazione offerta dai tre maestri di danza nei loro manoscritti i quali, seguendo una precisa struttura, presentano una seconda parte volta alla codificazione di un repertorio di coreografie e di musiche tradizionalmente assegnato alla sfera del divertimento della classe nobile ma, in realtà, chiaramente riferito a situazioni di ambito rappresentativo o spettacolare, come le danze cosiddette espressive (Sobria, Mercanzia, Gelosia) e quelle pantomimiche (moresche, momarie, intermedi, etc). Il volume si conclude con due interessanti riflessioni, la prima sull’onomastica coreografica all’interno del trattato di Domenico da Piacenza, in particolare l’esempio emblematico del Ballo Verēepe, la seconda sulle componenti pastorali e mitologiche all’interno della danza quattrocentesca, a dimostrazione di come l’arte coreutica, nell’ambito della cultura rappresentativa quattrocentesca, non si esima dai paradigmi canonici della produzione drammatica coeva relativi al mito dell’amore e al ritorno dell’età dell’oro, chiavi interpretative metaforiche delle vicende storiche contemporanee.


di Caterina Pagnini


La copertina

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