È una Venezia tradizionale e insieme inconsueta, quella presentata da Massimo Favilla e Ruggero Rugolo in questo volume dedicato allarte e alla società della Serenissima nel Settecento. Merito anzitutto delleditore e fotografo Luca Sassi, autore delloriginale apparato fotografico, di altissima qualità, realizzato appositamente per questa pregiata pubblicazione. Un valore aggiunto di indubbio appeal per un volume che si colloca di diritto nellaffollato arcipelago bibliografico sulla città lagunare nellultimo secolo della sua Repubblica.
Brillantemente introdotto da uno specialista quale Lionello Puppi, il lavoro di Favilla e Rugolo si concentra in primo luogo sulle architetture e sugli spazi urbani (e in parte extraurbani) di Venezia, dedicando almeno due dei suoi quattro macro-capitoli allillustrazione critica e storiografica degli esterni e degli interni dei palazzi, delle chiese, delle ville veneziane e dellentroterra veneto che vedono la luce o riacquistano un nuovo volto proprio nel secolo XVIII. Edifici in cui si riflette la gloria di una Repubblica sul viale del tramonto, pervasa dal presentimento della propria fine eppure vivacissima dal punto di vista delle arti.
Del resto, il Settecento è per la città lagunare un secolo di grande fermento cantieristico. Si pensi ai grandi lavori per le chiese di Santa Maria Assunta dei Gesuiti (sotto il coordinamento di Domenico Rossi, 1716-1736) e di San Barnaba (su progetto di Lorenzo Boschetti, 1749-1796); al rifacimento della facciata della chiesa dei padri Filippini di Santa Maria della Consolazione (completata da Giorgio Massari nel 1730); o, ancora, al nuovo prospetto classico della parrocchiale di Santa Fosca (nel 1744) e alla completa ricostruzione di San Tomà (dal 1741 al 1793), su progetto iniziale di Francesco Bognolo.
Veduta del Canal grande a San Stae
Dal pubblico al privato, i cantieri si moltiplicano. Se il già citato Rossi si afferma come «il più attivo ricostruttore di case dominicali nei primi trentanni del Settecento» (p. 38), apponendo la propria firma su palazzi come Maffetti Tiepolo a San Polo e Cavagnis a Santa Maria Formosa, il pittore prospettico Antonio Visentini può misurarsi, alla metà del secolo, con lesemplare progetto per il palazzo del console britannico a Venezia Joseph Smith, sorto nella contrada dei Santi Apostoli. Tanto Domenico Rossi quanto Visentini sono fautori, insieme a personalità artistiche quali Andrea Tirali prima, Giovanni Scalfarotto poi, di un palladianesimo diffuso, che reagisce al barocco di ascendenza romana di un Antonio Gaspari, e che è a sua volta destinato a languire sul finire del secolo al cospetto del purismo neoclassico.
Canaletto, Capriccio con il progetto di Andrea Palladio per il ponte di Rialto e altre fabbriche palladiane. Parma, Galleria Nazionale
Sarà dunque il revival palladiano la dominante di quella «sfilata di architetture meravigliose» (così William Thomas Beckford, 1780) tramandata, nella prima metà del secolo e oltre, dalle vedute di Luca Carlevarijs e Canaletto. Dietro le facciate di quegli edifici si nascondono altri tesori, altri segreti: i soffitti sfondati dai cieli di Giambattista Tiepolo o di Giambattista Crosato; i connubi di stucchi e pittura nelle mitologie di un Amigoni o di un Sebastiano Ricci, rischiarati dal “raggio luminoso” delle teorie newtoniane (a partire dagli anni Venti); i preziosi mobili, le suppellettili, le porcellane, le cineserie e tutti gli oggetti aderenti alla nuova moda del lusso miniaturizzato.
Manifattura di Francesco Vezzi, Teiera a cineseria. Collezione privata
Le fotografie di Sassi hanno il merito di dare spazio anche a questultimo variopinto mondo figurativo scarsamente frequentato dagli studiosi, abitato da ventagli e cassettoni laccati, cioccolatiere e teiere, sovrapporte elaborate e specchiere, vivificando il ritratto di una società compressa nel chiasso del carnevale o seduta nei caffè alla moda, dedita alla conversazione nei salotti o sorpresa ad ascoltar musica nei teatri e nelle chiese. Si sa che Venezia nel Settecento è una delle capitali europee del teatro e della musica, come confermano nei rispettivi “diari” viaggiatori illustri quali Charles De Brosses (1739) e Charles Burney (1770). Gli spettacoli si consumano al chiuso, nei teatri pubblici del melodramma e della prosa, ma anche allaperto: con il Carnevale e la fiera della Sensa; in occasione delle spettacolari regate, date in onore di principi e re stranieri in visita in Laguna, dove si allestiscono apparati effimeri e sontuose macchinerie con il coinvolgimento di architetti, pittori, scenografi di fama. Simili allestimenti si ripetono fino al 1797, quando si conclude la gloriosa storia della Repubblica, sotto lincalzare delle truppe napoleoniche.
Giandomenico Tiepolo, Il "Mondo Novo", particolare. Venezia, Museo del Settecento veneziano di Ca' Rezzonico
Al presagio della fine della Serenissima che avvolge lintero secolo, avvertibile distintamente nella meditazione sulla bellezza e sulla caducità nellopera di Canova o nei malinconici mondi abitati dai pulcinelli di Giandomenico Tiepolo, è dedicato lultimo capitolo di un volume che vuol essere sì illustrativo-divulgativo, ma che non disdegna (data la caratura scientifica dei due autori) approfondimenti e tagli originali. Si pensi allAppendice, a cura di Serena Tagliapietra, dedicata al Dizionario delle arti e de mestieri di Francesco Griselini e Marco Fassadoni (1768). Si pensi, infine – giova ribadirlo – al ricchissimo apparato iconografico, a corredo del quale non sarebbe spiaciuto, nondimeno, un indice delle illustrazioni, utile per il lettore anche più avvertito, incline a perdersi tra le tante “meraviglie” artistiche di cui il volume è prodigo.
di Gianluca Stefani
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