Giulia Tellini dà al suo libro sulle Storie di Medea un taglio certamente originale, che può risultare stimolante
tanto per gli studiosi del teatro quanto per quelli di letteratura. Il lavoro, strutturato
in due parti, distingue tra il processo di elaborazione della tragedia di Medea da parte di tre grandi attrici, e
i rimaneggiamenti del mitema nelle diverse epoche storiche ad opera della produzione
letteraria, non solo drammatica.
Le tre attrici in questione sono Giacinta Pezzana, Maria Melato e Sarah Ferrati:
prima di tutto tre donne, che guardano al personaggio in questione come a una
vera e propria antenata di sangue. Quanto alla prima, lautrice ne ripercorre
le interpretazioni della Medea in
continuo confronto con la monumentale Adelaide
Ristori, prima attrice ad incarnare la protagonista del testo-adattamento
di Legouvé (nellaprile 1856, mentre
del 1884 è il debutto della Pezzana in tale parte). Dallo studio, condotto prevalentemente
sulla base di recensioni apparse su riviste o quotidiani del tempo, esce un
ritratto che attraversa i decenni centrali dellattività artistica della
Pezzana, e che ben ci restituisce limmagine di quella che Laura Mariani ha chiamato efficacemente «artista del cuore». Il suo
nome, meno noto di quelli altisonanti della Marchesa del Grillo o di Eleonora Duse, si pone a pieno titolo
nello spazio sottile tra le due, a cui la accomunano da un lato le sfumature
neoclassiche degli esordi, dallaltro unempatia piena e viva col personaggio.
Maria Melato, attrice altrettanto
sanguigna della Pezzana, sceglie, per portare in scena la sua eroina tragica,
il testo di Henri-René Lenormand, ispirato
alle vicende di Medea, Asie, che lei
stessa traduce e adatta alle scene col più popolare titolo euripideo (prima
rappresentazione nella primavera del 1931). In questo caso la possibilità di
consultare il copione dello spettacolo permette a Giulia Tellini di considerare
il lavoro dellattrice da un punto di vista non solamente interpretativo, e di
certo con maggior vigore filologico. Loperazione che la Melato fa sul testo
francese risulta un vero e proprio tradimento: un gusto del tutto personale la
induce ad assecondare allestremo il motivo, minore nelloriginale, della
gelosia, a discapito delle più evidenti componenti politico-sociali che animano
lopera lenormandiana. Dal punto di vista della recitazione lattrice ricalca
in scena lazione fatta sul testo, gettandosi anima e corpo negli esclamativi
di una passione vorace e mortifera che la allontanano da Euripide più di quanto la scelta del titolo non voglia far credere;
laddove lo spirito originario della tragedia non sta nella perdita dellamante,
ma prima ancora nello smarrimento di un qualche sé, che in Lenormand si sdoppia
e si riflette di volta in volta nella patria, nel sangue del proprio sangue, o
nella divinità.
La terza diva, anche in ordine
cronologico, su cui lautrice di questo libro misura il personaggio della
famosa “maga”, è Sarah Ferrati. Di lei sono ripensate qui tre interpretazioni:
la prima è quella dellestate 1949, il testo è loriginale euripideo su
traduzione di Ettore Romagnoli, la
regia di Guido Salvini; la seconda è
diretta da Luchino Visconti nel
1953, su traduzione di Manara Valgimigli;
la terza, pensata per la televisione, porta la firma della stessa attrice. Lesame
di questa edizione (1957) chiarisce bene quale fosse lideale Medea della Ferrati: ciò che più
sorprende è scoprire quanto, sebbene Euripide rappresenti certamente per lei il
faro cui far affidamento, la prima donna avversa ai registi fosse grata al
lavoro di “taglia e cuci” di Visconti.
Se le cronache contemporanee
rappresentano la fonte primaria per la ricostruzione delle relazioni tra le
attrici e leroina tragica, la seconda metà del libro contiene una ricca
ricognizione sui testi, le riprese, gli adattamenti che hanno in Medea la
propria protagonista o che ella ispira per le sue qualità di figura
paradigmatica. Attraversando coraggiosamente duemilaquattrocento anni di storia
della letteratura mondiale, lautrice non si risparmia nel ricercare le tracce
della sua femme mortelle, indugiando
con vivace spirito comparativo sul modo in cui le differenti epoche storiche,
talvolta prima ancora degli autori, la ri-generano.
Medea, fotografata in momenti
diversi della sua lunga, tortuosa e multiforme vita (dallarrivo di Giasone ad
Argo fino alla fuga verso Atene), è così «unintellettuale extracomunitaria»
malvista dalla società» per Euripide, una donna «sconquassata dallira» per Seneca o il simbolo dei «catastrofici
effetti delle passioni» per Blossio
Emilio Draconzio. Curiose le riprese, soprattutto dai riscoperti Euripide e
Seneca, alla metà del Cinquecento, quando le immagini di una Medea sempre più
succube della furia si rincorrono fino a prevedere, nellomonima tragedia di Maffeo Galladei, il suicidio della
protagonista. Similmente si passano in rassegna i classici spagnoli e francesi
dellepoca moderna, si attraversano lItalia e lAustria – con la trilogia del Vello doro di Franz Grillparzer – per giungere fino allInghilterra di James Robinson Planché e Robert Brough (solo per citare due
nomi). Qui, a partire dalla metà del secolo XIX, il personaggio di Medea viene
caricato di un ruolo politico e sociale senza precedenti, divenendo in breve
tempo lemblema della battaglia per la legge sul divorzio, e ispirando tutta
londa letteraria che fino agli anni Venti del Novecento sosterrà la lotta per
il suffragio femminile. È questa la prospettiva da cui la letteratura del XX
secolo guarderà a tutta la tragedia antica: negli anni che portano le guerre
nelle città e che vedono il popolo impossessarsi davvero della politica, una
tragedia concepita già da Euripide come strumento di denuncia sociale si presta
a continue rivitalizzazioni. Tra i nomi non ancora citati, si ricordano almeno
quello di Catulle Mendès, di Hans Henny Jahnn, di Anouilh, di Corrado Alvaro (alla cui Lunga
notte di Medea lautrice dedica uno spazio privilegiato), di Pier Paolo Pasolini, di Heiner Müller, di Christa Wolf.
Anche oggi Medea sopravvive,
forse anche in virtù delle trasformazioni subite nei secoli. Sopravvive
soprattutto intatta alle mutilazioni che il teatro e il cinema degli ultimi
venti, trentanni hanno apportato alla sua storia di donna emigrata,
abbandonata, vendicativa, infanticida. Rimane una donna che ha il volto della Liberté guidant le peuple, imbraccia un
fucile e ha sulla bandiera lo stemma di nonno Elio.
di Lorenzo Galletti
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