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Piermario Vescovo

Il tempo a Napoli
Durata spettacolare e racconto

Venezia, Marsilio, 2011, pp. 223
ISBN 978-88-317-0850

"Libro d'occasione", come lo definisce lo stesso autore, Il tempo a Napoli nasce nel giugno 2010, nel corso della terza edizione del Napoli Teatro Festival Italia, e assume la forma di un insieme di riflessioni teoriche (che sono a loro volta la rielaborazione di appunti relativi ad alcuni spettacoli allestiti nell'ambito della manifestazione partenopea) riguardanti la «questione del tempo teatrale» visto sotto il profilo della «durata». Denominazione che indica non solo la «resistenza, anzitutto fisica, dello spettatore» ma anche lo «schiudersi attraverso questa […] dell'esperienza che fa coincidere la "giornata" dello spettatore con quella degli attori e dei personaggi portati in scena».  Nel capitolo Attese e passaggi, per esempio, viene preso in esame il progetto intitolato L'attesa: si tratta della rappresentazione, in vari "luoghi d'attesa" della città (come fermate d'autobus, uffici postali, stazioni, foyer), di scene e dialoghi che, spesso recitati all'insaputa del pubblico, giocano sul rapporto fra realtà e finzione. Partendo da un'approfondita analisi di questo progetto, Vescovo riflette così sulle sue caratteristiche principali, ovvero sulla «dissimulazione della finzione» e sulla «frequenza ripetitiva», e più in generale sulla struttura del cosiddetto Stationendrama ("dramma a tappe" la cui formula è mutuata da quella delle sacre rappresentazioni medievali).

Lo spettacolo Immanuel Kant, invece, allestito al Mercadante per la regia di Alessandro Gassman, offre all'autore l'opportunità di instaurare un confronto fra la scrittura drammaturgica («difficile e sconnessa») di Thomas Bernhard e quella di Jean-Luc Lagarce, la cui estrema complessità, secondo Ronconi, svela «la semplicità assoluta di sentimenti che appartengono a tutti» ma che sono talmente profondi da risultare difficilissimi, per i personaggi, da enunciare: «servono troppe parole – spiega Ronconi – per esprimere concetti lineari». Complice questo confronto, viene inoltre affrontata la questione della trascrizione della "discorsività" nel corso dell'intero Novecento e quindi proposto il Beckett della trilogia romanzesca in qualità di caposcuola, di drammaturgo che (prima di Bernhard, prima di Lagarce) «ha "trovato" se stesso grammaticalizzando lo stream». In proposito, Vescovo si sofferma a esaminare spettacoli come Les adieux, testo narrativo «fatto di puro flusso di coscienza» scritto da Arianna Giorgia Bonazzi e diretto da Benedetto Sicca; Auguri e figli maschi di Antonio Latella, collezione di sei monologhi interpretati da altrettanti attori (per una durata totale di nove ore); e La città di fuori / La città di dentro, tratto dal romanzo La città perfetta di Angelo Petrella (un esempio, quest'ultimo, di adattamento tradizionale di un'opera narrativa, poiché un romanzo «costituito da una fitta collana di "monologhi"» viene trasformato in due pièces teatrali in forma dialogica).   

Dal momento poi che questo volume si sviluppa «per saggi parziali e affioramenti progressivi», la questione della teatralizzazione del romanzo viene subito ripresa e trattata in modo più approfondito nel capitolo Ed era tempo, in cui ad essere oggetto di studio sono due spettacoli, fra loro opposti e complementari, come I demoni di Peter Stein (inevitabile qui il confronto con I demoni di Thierry Salmon e di Lev Dodin) e Delitto e castigo ai Quartieri Spagnoli di Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino

Poiché il Delitto e castigo di Ventriglia e della Garbuggino in parte si svolge in esterni (ai Quartieri Spagnoli, appunto), viene paragonato dall'autore a Toledo 'e notte, in cui Raffaele Viviani riesce a «restituire sul palcoscenico un ambiente del movimento e del flusso», a disegnare un paesaggio urbano particolamente vivo e unico. E poiché, in Toledo 'e notte, lo spettatore si sposta idealmente per Napoli tramite la camminata di un determinato personaggio (il caffettiere ambulante Leopoldo Coletta), il capolavoro di Viviani viene a sua volta paragonato all'Esperpento Luces de Bohemia di Ramón del Valle Inclán (1924), che mostra le peregrinazioni di un poeta cieco e disoccupato per le vie di Madrid, dal tramonto fino all'alba, quando il protagonista si toglie la vita.  

Da un teatro che porta in scena spazi della città in movimento si passa quindi a un teatro che porta gli spettatori in luoghi desueti, appartati, «non funzionali», della città: ecco allora La fabbrica dei sogni di Davide Iodice (ambientato e allestito nel dormitorio pubblico di Napoli, e perciò accostato a El nost Milan di Carlo Bertolazzi) e Ascesa e rovina della città di Mahagonny di Bertolt Brecht, messo in scena al Real Albergo dei Poveri (che, per l'occasione, la regista Lisa Ferlazzo Natoli ha voluto trasformare in un ufficio del Catasto).      

In tal modo, procedendo per «affioramenti progressivi», il libro di Vescovo, collocabile in quella «dimensione intermedia» che sta fra il diario e il saggio, va avanti fino alla fine, sorprendente e raffinato, pagina dopo pagina. Un parallelismo tira l'altro: il Frankenstein di Gustavo Tambascio giustapposto al Pasticciaccio di Ronconi, la "teatronovela" Bizarra di Rafael Spregelburd affiancata all'Eptalogia di Hieronymus Bosch sempre di Spregelburd, Lipsynch di Robert Lepage equiparato a un'altra "opera mondo" come Les éphémères di Ariane Mnouchkine. Le questioni da approfondire si rincorrono fra di loro: in cosa consiste il «teatro epico»? E il «teatro romanzesco»? In quanti e quali modi un romanzo può essere adattato per le scene? Cosa si intende per «teatro sommario»? E per «frequenza iterativa»? Che cos'è un'«opera mondo?».

A fare da gran finale pirotecnico al volume è il capitolo Forse c’è di più (a mo' di postilla teorica), in cui, in una vertiginosa “strenta” di citazioni (Aristotele, Platone, Genette, Aubignac, Szondi) e collegamenti fra teorie opposte (diegesi vs mimesi oppure mimesi = diegesi?), vengono tirate, con sintetica maestrìa, le conclusioni di questo "diaristico saggio d'occasione".

di Giulia Tellini


copertina

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