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Teatro e Storia a. XXIV, vol.31, Annale 2010
Meldolesi, Torgeir e altri attori

a. XXIV, vol. 31, Annale 2010, pp. 414, euro 30
ISSN 0394-6932

Il poderoso Annale 2010 di «Teatro e Storia» è dedicato all’arte dell’attore, occidentale ed orientale, e alla sua relazione con lo spettatore. È dedicato in particolare a tre punti di riferimento per la riflessione e la pratica d’attore: Claudio Meldolesi, Torgeir Wethal e Alessandro d’Amico, scomparsi recentemente. Nella lettera scritta in memoria di quest’ultimo, Stefano Geraci rileva come il teatro fosse diventato «lessico familiare» per il figlio d’arte. Il dossier Per Torgeir Wethal, attore è un omaggio al fondatore, insieme ad Eugenio Barba, della storica ensemble dell’Odin Teatret. Lettere, immagini e interventi di amici attori e studiosi ricordano con stima, sorriso e un pizzico di malinconia l’arte di questo «attore politico», per dirla con le parole di Ferdinando Taviani. In appendice è riportato la trascrizione integrale della conferenza Istantanee di Wethal al Teatro La Madrugada di Milano, l’11 ottobre 2002.

 

Lo spazio dedicato agli studi di Claudio Meldolesi include una riflessione critica di Raimondo Guarino su La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più (1984) e un dossier di sette scritti rari dello storico, testimonianze folgoranti del suo impegno nel rinnovamento degli studi teatrali. Nel saggio sulla «microsocietà» Meldolesi ricostruisce le tracce lasciate dagli attori professionisti in un’unica durata temporale dal Seicento al primo Novecento, quando la nascita della regia portò a un ridimensionamento del loro primato. La riflessione di Meldolesi mette a confronto attori e tempi della storia, esaminando il contrasto tra vicende personali e condizioni del mestiere teatrale. L’attore, ereditario delle tradizioni spettacolari e abitante «di un mondo separato e di un tempo spostato», è sempre orientato verso le emozioni e la sensibilità collettiva. Guarino sottolinea come il concetto della microsocietà degli attori, proiezione in scala minore delle dinamiche della società civile, abbia contribuito (sulla scia della nuova storiografia di Braudel, Febvre, ma anche di Macchia e Foucault) alla collocazione del teatro nel tempo e negli spazi della storia generale. Gli altri scritti di Meldolesi dimostrano l’impegno dello studioso nel salvaguardare i valori della ricerca dei teatri marginali, polemizzano sul tanto discusso fenomeno della nascita della regia teatrale e sulla risonanza di questa nell’opera dei grandi attori.

 

Ferdinando Taviani porta avanti le riflessioni di Meldolesi, annottando una serie di appunti sul futuro dell’arte dell’attore di teatro. Un’arte in progressiva, seppure non definitiva, estinzione. L’autore analizza quel tipo particolare d’attore le cui tecniche sceniche consistono nella relazione che questo intreccia con lo spettatore, ogni volta ex novo.

 

Luciano Mariti esamina l’incidenza del corso temporale nella costruzione, rappresentazione e ricezione dell’evento scenico, riflettendo sulla disattenzione storiografica a riguardo. Gli studi teatrali valutano il fattore tempo in quanto correlativo della variabile spazio, senza approfondire quella qualità temporale, non misurabile e specifica della dimensione performativa, scaturita dalla relazione attore-spettatore. Il saggio, sulla scia degli stimoli provenienti dalla neuroscienza, la musica e il cinema, si sofferma sul concetto teorico-pragmatico di sospensione – il cui potenziamento porta alla suspance – unico modo che permette di cogliere il tempo soggettivo della finzione, la sua durata e dinamicità.

 

Lettera sulle emozioni. L’offerta di un krapfen, questo il titolo dell’intervento di Mirella Schino che esamina una questione annosa e poco sondata dagli studi teatrali: il rapporto spettacolo-emozioni. La studiosa esplora le dinamiche che permettono l’affollarsi e l’interazione delle emozioni tra attore e spettatore; osserva la loro natura composita, dove elementi personali si intrecciano ad altri condivisi collettivamente; riflette infine sull’unicità di questi stimoli psico-fisici. L’immagine del krapfen evoca la relazione tra l’«involucro» e il «ripieno» del teatro, le condizioni date da un lato e quella materia nebulosa e inafferrabile che è il gioco delle emozioni.

 

Lo sguardo analitico dei saggi di Matteo Casari e Pierangelo Pompa si sposta rispettivamente in Giappone e Cina dove si riscontrano alcuni fenomeni di carattere interdisciplinare e transculturale. Casari esamina l’interrelazione cinema-teatro nella figura del benshi, il commentatore dei film dal vivo nelle sale nipponiche del primo Novecento. L’artista narratore offriva una fruizione marcatamente teatrale dell’esperienza cinematografica, diventando il primo motivo di interesse del pubblico che frequentava le sale. La progressiva preminenza del benshi, annota l’autore, influenzò persino gli aspetti produttivi ed estetico-narrativi della settima arte. L’occhio eurasiano di Mei Lanfang è incentrato invece su alcune recensioni di spettacoli stranieri di Lanfang, il massimo rappresentante della scena cinese negli anni Cinquanta durante la riforma realista del teatro tradizionale. Analizzando il linguaggio tecnico degli scritti, Pompa scopre dei principi comuni tra la tecnica recitativa del jingju (Opera di Pechino) e altri generi formalizzati come il Kabuki e il balletto classico indiano.

 

Fausto Malcovati ricostruisce il periodo italiano nei primi anni Trenta di Nemirovič-Dančenko, il grande critico letterario russo, artefice del Teatro d’Arte di Mosca insieme a Stanislavskij. Ricostruendo una rete di relazioni tra gli incontri, i progetti e le reazioni della stampa nei confronti dell’attività di Dančenko, si disegna un profilo nuovo del panorama teatrale italiano in rapporto anche ai modelli della regia europea e ai condizionamenti culturali del Fascismo. Valeria Freiberg e Marina de Luca riflettono sul teatro sovietico del primo Novecento tramite la straordinaria figura di L. A. Sulerzickij (1872-1916), fondatore del Primo Studio del Teatro d’Arte. Le autrici decifrano un ritratto artistico di Suler, sottolineando il valore etico che sta alla base del suo pensiero teatrale anche in relazione alla stesura ed esegesi del futuro Sistema di Stanislavskij,

 

L’intervento di Francesca Ponzetti contribuisce alla costruzione dell’ignota vicenda del mecenate torinese Riccardo Gualini che aprì nel 1923 uno spazio culturale dedicato ai balletti e al Varietà: il Teatro Odeon. L’avventura dell’Odeon, di breve ma intensa durata, fu un caso isolato di esperienze innovative e anticonvenzionali che accostava la prassi italiana alle più rilevanti manifestazioni teatrali europee.

 

I saggi di Giovanni Isgrò e Valentina Venturini esaminano l’artigianale tradizione teatrale palermitana. Isgrò analizza due forme importanti del teatro siciliano: la farsa della «vastasata» e l’«Opra dei pupi» in rapporto anche al contesto socio-politico e culturale dell’isola tra il Settecento e l’Ottocento. Lo scritto Sull’origine (palermitana) dell’Opera dei pupi ricostruisce, attraverso fonti inedite, l’opera di Gaetano Greco e dei suoi discendenti pupari. La ricerca della Venturini si propone di sradicare l’idea preconcetta dell’Opra nelle accezioni di teatro minore, dialettale e popolare, considerandola un’espressione di pura teatralità, da esplorare e rivalutare.

 

Concludono l’Annale alcune note su Guido Salvini, uno delle più eclettiche personalità della scena italiana del primo Novecento. Allestitore e scenografo di importanti messinscene, Salvini fu tra i primi ad incarnare concretamente il nascente mestiere del regista, partecipando attivamente alla sua definizione anche sul piano critico-teorico.

 

di Adela Gjata


La copertina

cast indice del volume


 
Torgeir Wethal durante le prove di Talabot, Chicxulub, 1988. 
Foto di Iben Nagel Rasmussen  

 
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