“È lestrema sensibilità che fa gli attori mediocri; è la sensibilità mediocre che fa linfinita schiera dei cattivi attori; ed è lassoluta mancanza di sensibilità che prepara gli attori sublimi”. Se non fosse che dietro questa citazione si nasconde il respiro, ampio ed eterogeneo, di unintera epoca, basterebbero queste poche e icastiche parole per restituire limmagine finale del dibattito settecentesco sullattore.
Lapparentemente radicale presa di posizione di Diderot, espressa nel suo celebre Paradoxe sur le comédien, riesce infatti a sintetizzare la tensione che attraversa tutto il secolo dei Lumi e che conduce, pur con accenti diversi, ad allontanare gradualmente lattore dallimprovvisazione, dalla mancanza di mestiere e di misura, a cui i secoli precedenti sembravano averlo condannato. Non nelleccesso di una sensibilità smodatamente partecipe del destino del personaggio sta la grandezza dellinterprete, ma nellattento studio della sua natura che si trasforma, sulla scena, in recitazione sublime.
Il paradosso diderottiano, la trasformazione dellattore freddo in veicolo di commozione e comprensione per il pubblico, si fa allora emblema di una riflessione teorica che valica i confini del teatro e che affonda le sue radici nel più vasto dibattito filosofico. I termini in questione rimandano allo studio delle passioni umane, alla necessità di sottometterle alla ragione o di armonizzarle con essa, al rapporto con la natura e la naturalezza e, non ultimo, al ruolo sociale e politico della parola (scritta e rappresentata). Il secolo della simpatia, passione pacificata e socialmente utile, capace di unire gli esseri umani, di renderli simili e vicini, di generare un enorme dispositivo di pulizia dellessenza delluomo, cerca e trova nel teatro un mezzo potente di messa in scena di sé e di educazione, emozionale e razionale insieme, del pubblico. Ma, per farlo, occorre prendere le distanze dalla decadenza di uno spettacolo ridotto a declamazione pomposa o a stereotipo grossolano racchiuso nella maschera.
È questo percorso di affrancamento da una concezione dellarte attoriale ormai statica e sospetta che Paradossi settecenteschi invita a scoprire. Perché di molti paradossi si tratta. Se il panorama francese offre la trattazione più ricca e sistematica sulle possibilità di ridefinizione dello statuto dellattore e del suo patto con il fruitore, il volume, attraverso un attento apparato critico accompagnato da una selezione di brani antologici, permette di avvicinarsi ai tentativi di riforma teatrale teorizzati anche in Italia, Germania e Inghilterra.
La via nuova alla sensibilità e al rapporto tra passione e ragione, che per lattore ha il sapore di una chiamata alla responsabilità, di unuscita dallingenuità e dalla marginalità sociale per farsi carico di unidentità ancora da costruire, prende forma, solo per ricordare alcuni degli snodi messi in luce dai curatori, nella reazione al Barocco degli Arcadi, nel cambiamento cercato da Goldoni, nelle teorie sul sentimento e sulla sua comunicabilità di Du Bos e Sainte-Albine, nella ricerca delle qualità e delle potenzialità intellettuali dellattore di François Riccoboni o, ancora, nel confronto tedesco tra Lessing, Nicolai e Mendelssohn e nel concreto esempio, tanto importante per lo stesso Diderot, di David Garrick.
Pur nelle non celate differenze tra i presupposti e gli approdi teorici di questi letterati, filosofi, poeti e attori, ciò che risulta evidente è la comune volontà di conciliare il teatro con quella medietas positiva, anche o soprattutto da un punto di vista sociale, rappresentata dal concetto di gusto, e con un naturalismo che non è abbandono alla natura ma consapevole conoscenza della natura stessa.
Lassoluta mancanza di sensibilità che rende gli attori sublimi, allora, non rappresenta certo una negazione dellemozione nellattore e attraverso lattore ma, semplicemente, il rifiuto di unaffettazione maturata dal riso scontato o dalle lacrime provocate dalleccesso. Lattore nuovo che lIlluminismo plasma conosce la sola costante della natura umana. E Paradossi settecenteschi ricostruisce il quadro, non privo di contraddizioni, di questo grande tentativo (grande perché al suo interno confluiscono motivi estetici, filosofici e politici), di studio e rappresentazione delluomo nuovo che, parallelamente, si va formando nella società. Senza dimenticare chi, come Rousseau, vedrà nellattore, manifestazione fisica del male che il teatro non soltanto rappresenta ma è, un essere condannato allinganno, tanto più colpevole quanto più la sua arte, raffinandosi, lo renderà capace di simulare la realtà e di far vivere, attraverso il suo personaggio, il pubblico stesso, distraendolo così dalla vita e da un rapporto, non mediato, con la vera Natura.
di Raffaella Colombo
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