La definizione che lo stesso Ionesco assegna alla propria opera, lanti-pièce La Cantatrice chauve, costituisce in sé indice significativo della distanza che separa la proposta dellautore rumeno dalla drammaturgia tradizionale. Composta in francese, ma nata dalla sconcertante presa di coscienza del fatto che un manuale di lingua inglese per principianti contenga, in realtà, postulati universali (giacché vi si legge che «la settimana ha sette giorni», che «il pavimento è sotto, il soffitto sopra»), e che le prime, elementari bozze di dialogo ivi riportate rappresentino un degno scambio di verità oggettive e sostanziali, lopera smaschera, invero, la sostanziale caoticità della comunicazione sottraendo al linguaggio e alla costruzione sintattica lapparente, assiomatica assolutezza che, sola, garantisce loro un significato.
Nel primo tra i due saggi bilingue posti a commento del testo, presentato a sua volta in lingua originale e in traduzione, Alessandro Pontremoli individua il nucleo tematico fondamentale dellopera nellincedente dominio del caos sul cosmos, nel progredire inarrestabile e alienante della nevrosi, che è prima di tutto nevrosi linguistica. «I personaggi tradiscono unansia crescente, che proviene da un rimosso ancestrale: una labile coscienza si assottiglia progressivamente lasciando trasparire e venire a parola una aberrante catena di atti mancati, nei quali prevale la logica incoerente e imprevedibile dellinconscio.» (Eugène Ionesco, La Cantatrice chauve, a cura di Alessandro Pontremoli, Pisa, ETS, 2009, p. 13). Pontremoli bene pone in luce come la dissoluzione linguistica cui si assiste nel corso dellanti-pièce (spesso semplicisticamente – ed erroneamente – confusa con una sostanziale mancanza di coerenza) corrisponda, secondo lintento dellautore, allinarginabile dissolvimento dellio originato dagli orrori del secondo conflitto mondiale, alla perdita di senso che coinvolge ogni aspetto della vita, individuale e di relazione, alla sfiducia rispetto a prospettive escatologiche percepite ormai soltanto come ingenue mistificazioni.
La consequenzialità logica è concetto arbitrario, le leggi delluniverso imperscrutabili, il principio di causalità sistematicamente smentito. Anche in campo scientifico, nel secondo Novecento il concetto di certezza cede il passo al più moderno concetto di probabilità, sensibile allingerenza di interventi esterni non prevedibili: così, se il dramma moderno, studiato da Szondi nella sua impermeabile assolutezza, è in certo senso riconducibile alle logiche newtoniane, tali logiche risultano affatto estranee a una drammaturgia che neghi senso allesistenza e che tenda, piuttosto, ad applicare alle dinamiche umane i modelli elaborati dalla teoria del caos. Il caos non si contrappone, tuttavia, allordine, bensì convive con esso in «una sorta di mitigato assurdismo.» (p. 22). La comunicazione risulta compromessa non soltanto dallassenza di ogni deterministica prevedibilità, ma anche, come sottolinea il curatore, dalla mancanza di una memoria comune che renda possibile uno scambio dialettico coerente e dallinadeguatezza del concetto corrente di logica. Non si può comunicare, giacché, allinterno di un anti-sistema in cui anche la dimensione spazio temporale perde i propri requisiti di oggettività, tutti gli eventi sono percepiti come egualmente probabili, né esiste univocità nel rapporto tra significante e significato. Non si può comunicare, dal momento che lo scollamento fra parola, gesto e azione disarticola i rapporti e rende velleitario ogni tentativo di definizione.
Lunica possibilità concessa risiede in una lettura grottesca e irridente di una vita sul cui significato instancabilmente ci si interroga: «Il comico di Ionesco si configura come una forma di irrisione dellordine, a partire dallanti-mondo parallelo del caos, del quale il riso è la dimensione più corrosiva, parodica, crudele.» (p. 42). È catarsi comica e tragedia del linguaggio dagli esiti incerti, è ritorno allessenza e scoperta della sua sostanziale illogicità. Pontremoli, a corollario dellesauriente analisi del testo che precede, come si è detto, la versione bilingue dellopera stessa, propone una rassegna ragionata dei principali allestimenti de La Cantatrice chauve, con particolare attenzione alla prima messinscena del testo per la regia di Nicolas Bataille e alle sue vicende sceniche ormai cinquantennali presso il Théȃtre de la Huchette; un ampio capitolo è riservato, inoltre, alla fortuna scenica dellanti-pièce in Italia.
Lautore non indulge alla tentazione di offrire un elenco meramente compilativo, per quanto completo, degli allestimenti dellopera, scegliendo piuttosto di porre enfasi sulle esperienze che ne hanno determinate la fortuna scenica e laffermazione in contesto europeo. Il vantaggio di tale impostazione risiede nella facilità di consultazione da parte del lettore più esperto, che può trarne spunti critici di ragguardevole interesse, come del lettore meno avvezzo alla tematica in esame, che trova invece nella scelta dellautore una guida in grado di favorirne la valutazione critica, suggerendo un valido orientamento alla lettura.
di Katia Lara Angioletti
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