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Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini

Tovaglia a quadri. Tutte le storie

A cura di Roberto Greggi

Regione Toscana, Provincia di Arezzo, Comune di Anghiari, 2009, pp. 547
ISBN senza indicazioni

C’e un paese nella alta Val Tiberina, adagiato tra Toscana, Umbria e Marche – Anghiari – il cui nome richiama alla mente un’opera del più grande artista del Rinascimento italiano, Leonardo da Vinci. Egli, con il suo ormai perduto affresco – deteriorato dal tempo ma giunto a noi tramite i disegni di Rubens (conservati al Louvre) e un’opera del 1470 di Biagio di Antonio (oggi alla National Gallery of Ireland di Dublino) – ci ha consegnato la figurazione della famosa e omonima battaglia. Questa avvenne il 29 giugno 1440 proprio nella piana antistante la parte più antica della città, il Poggiolino.

 

Arte effimera quella “alta” di Leonardo, che ha scelto di rappresentare un momento importante della storia di Anghiari, e che è stata miracolosamente “salvata” dal lavoro di coloro che ne riconobbero il valore. La scomparsa definitiva dell’originale leonardesco è un caso, frequente nella storia dell’arte, ma pur sempre un accidente. La caducità, invece, connota ontologicamente il lavoro degli uomini di teatro, che danno vita per un momento a ciò che è destinato a morire dopo l’hic et nunc. Certo, si può intervenire a salvare il salvabile, laddove ci si rende conto che l’impresa vale il gioco. Questo è quello che hanno fatto Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini con la pubblicazione di Tovaglia a quadri. Tutte le storie.

 

Tovaglia a quadri - Tramonto

 

Il titolo del volume è una sineddoche: Tovaglia a quadri è stato lo spettacolo “servito” nel 1996 ai partecipanti della prima edizione della Cena toscana con una storia teatrale in quattro portate. In seguito è stato assunto a nome dell’evento tout court. Da quella felice esperienza, quindi, ogni anno intorno alla metà di Agosto si rinnova l’appuntamento con questa tradizione. Gli ospiti che intervengono vengono fatti sedere a tavola, apparecchiata con le tovaglie della tradizionale manifattura artigianale della zona, e assistono alla riproposizione scenica di quello che accade quotidianamente nel paese – nel privato e nel pubblico. Le dinamiche sociali, le liti, gli arrivi, le partenze… sono fatti rivivere dagli abitanti del luogo. A scandire la performance, gli intermezzi musicali, comunque intradiegetici, che rappresentano una sospensione del racconto e accompagnano le portate servite agli “spettatori” dagli stessi “attori”, deputati al ruolo di camerieri, sia nella finzione che nella realtà. Il piatto forte è quello tradizionale del paese, i brigoli, «dei grossi spaghetti fatti a mano con acqua e farina, conditi di solito con sugo “finto” (vegetali al posto del soffritto di carne)». Le storie che si rappresentano sono condite di una cultura arcaica e folklorica, sopravvissuta nei paesi, che recupera la saggezza antica («La vita è breve, prendila con filosofia, si campa una volta sola», p. 20) ed è infarcita di scaramanzie e credenze popolari («ma lei è viva, e ti dico che tornerà e riporterà la disperazione e il buio», p. 18; «quella che sta in queste finestre è una lupa maledetta, imparentata col diavolo», p. 14).

 

Restaurante, 2006 - Il coro di Tovaglia

 

Ogni paese ha i suoi personaggi topici, e Anghiari, o meglio il Poggiolino, non è da meno. Walter del Sere (1952-2008) è stato l’oste fin dalla prima edizione e ne ha incarnato i tratti salienti, tanto da trasformare il personaggio in una delle “maschere fisse”, insieme a quella dell’ostessa Cecilia (Cecilia Bartolomei) e dello Zi’ Nello (Nello Scimia). La corrispondenza tra il nome anagrafico degli attori e quello scenico dei personaggi, topos di Tovaglia a quadri, è indice della compresenza di realtà e finzione nelle tematiche affrontate, caratteristica quest’ultima del teatro popolare («il rapporto tra gli abitanti di Anghiari e il loro innato senso del “commediare” quotidiano», p. XI). Si esperisce così una forza, che traspare seppur in minima parte anche dalla lettura dei testi: quella della soglia liminare tra chi racconta sulla scena e il vissuto oggetto di quel racconto. Tratto peculiare di questo teatro, ovviamente. Nel caso specifico, però, non ci si propone alcun intento di ricostruzione filologica (come avviene con i Bruscelli di Montepulciano) né di resa artistica (le esperienze del Teatro Povero di Monticchiello). Semplicemente si raccontano le storie del Poggiolino. Nonostante tutto, la carica civile non viene meno, come sottolinea Gianfranco Capitta nella Prefazione al volume: «quella cena teatrale risulta sempre molto “digeribile”, ma solo lo spiritaccio toscano rende “accettabili” le realtà raccontate, per quanto tutte pienamente documentabili» (p. VIII). E quelle realtà comprendono anche le deportazioni naziste, la crisi occupazionale della Buitoni e la crisi causata dall’incendio al calzaturificio Sodini: «temi tutti brucianti, che a tavola sono divenuti tutti patrimonio comune» (p. VIII). Quello portato ad Agosto al Poggiolino è un vero e proprio teatro della memoria collettiva e la piazza del paese diviene «una “zona franca” dove la memoria può essere (o non essere) condivisa da tutti» (p. XII).

 

Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini sono i costruttori delle drammaturgie che essi stessi hanno poi raccolto e pubblicato. È chiaro che il rapporto testo-performance è complesso: il canovaccio di partenza viene influenzato da tutto il processo che inizia con le prove e culmina con la “messinscena”. Il fertile incontro, arricchito da imprevisti, improvvisazioni e rimozioni, dà vita al dialogo così come esso confluisce nella carta stampata. Ma la lettura di per sé non può riproporre la ricchezza della vita, e di questo sono consapevoli gli autori: «purtroppo, leggendo questo libro, si potranno solo immaginare gli stornelli o le ottave che hanno dato leggerezza (ma anche emozioni forti e drammatiche) a Tovaglia a quadri» (p. XII). E nemmeno può far rivivere le particolari e affascinanti voci rauche delle donne, la grazia del canto e della musica, la durezza della lingua locale: «non è infatti facile trasferire in una grafia coerente o anche soltanto ragionevole le cose che avvengono nell’oralità» (p. XV).

 

Il Poggiolino

 

Nonostante tutto il volume riesce a evocare un mondo antico, che continua a sopravvivere in un’epoca che sembra averlo dimenticato. Anzi, e banalmente, noi siamo così perché da quella cultura deriviamo e da essa siamo stati cullati. Dimenticarlo significa rinunciare alla nostra stessa essenza. Mantenere viva questa memoria è dovere civile di ogni individuo. In ciò risiede la forza dell’evento di cui il volume di Merendelli e Pennacchini porta vittoriosamente testimonianza.

 

Purtroppo nel 2008 sono venuti a mancare Walter del Sere e Nello Scimia. Quel lutto ha costretto inevitabilmente tutti i componenti del gruppo a una riflessione e la performance di quell’anno, significativamente intitolata Cant’ieri, è stato uno spartiacque «per elaborare i lutti e per guardarsi in faccia e contarsi le rughe» (p. XIV). C’è ovviamente la necessità di elaborarlo quel lutto, prima di poter andare avanti. Chi scrive non ha ancora avuto la fortuna di partecipare a una cena di ferragosto al Poggiolino, ma si augura che si continui ad apparecchiare nuove tavole con tovaglie a quadri e a far rivivere tutti i personaggi con il loro vissuto. Così si manterrà viva la memoria di una collettività che racconta la propria storia per ricercare nel confronto interattivo con essa la grandezza del suo oggi. Anche se quest’ultima è fatta di piccole ma indispensabili cose, come una cena riuscita bene, il cui vessillo è una tovaglia imbrattata di vino e sugo.

 

 

di Diego Passera


La copertina

cast indice del volume


 



 
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