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Fortuna Europea della Commedia dell'Arte
XXXII Convegno Internazionale. Roma, 2-5 ottobre 2008
A cura di Myriam Chiabò e Federico Doglio

Roma, Torre d'Orfeo, 2008, pp. 506

Il volume, a cura di Federico Doglio e Myriam Chiabò, raccoglie gli interventi del XXXII Convegno Internazionale, organizzato dal Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale e tenutosi a Roma dal 2 al 5 ottobre 2008. Il convegno ha visto la partecipazione dei massimi studiosi ed esperti dell’Improvvisa e per questo è stato un’occasione importante di incontro (e a volte di istruttivo scontro). Ogni giornata si è conclusa con uno spettacolo messo in scena al Teatro S. Genesio: in piena concordanza con l’argomento degli interventi, la compagnia del Teatro Scientifico di Verona, diretta da Luca Caserta, ha riportato in vita Il convitato di Pietra di Domenico Biancolelli. Gli organizzatori, come da tradizione, hanno dato la possibilità a un gruppo di giovani studiosi di partecipare, offendo loro vitto, alloggio e una borsa di studio (gesto importante in un momento come quello attuale) nonché la possibilità di lavorare, secondo le varie competenze, alla redazione della sezione bibliografica, pubblicata a corredo del volume.

 

Il periodo in cui ci troviamo a vivere è particolarmente difficile ed incerto ed è fonte di sofferenza e di dolore apprendere dalle parole di Doglio come l’azione di promozione artistica e culturale svolta dal Centro Studi «in una città come Roma oggi appaia a molti come superflua e anacronistica». Riprova sia la defezione dal convegno «di un numeroso pubblico qualificato», oltre a quella «degli insegnanti (anche nei giorni liberi), degli studenti universitari, di molti colleghi, della gente di teatro». Ancora più disperante l’apprendere che, a causa di questa tempesta che si è abbattuta sulla nostra cultura, probabilmente il XXXIII convegno rappresenterà l’ultimo della serie. Ci auguriamo che ciò non avvenga e auspichiamo tempi più felici e fecondi, sottolineando l’importanza degli appuntamenti organizzati dal Centro Studi, di cui il volume oggetto di questo spoglio è evidenza.

 

Gianna Petrone (Euscheme. La gestualità nel teatro latino) propone alcuni spunti per una ‘archeologia’ «delle modalità di recitazione e della concreta prassi della messa in scena, […] che fondi nel mondo antico lo scenario identificante della commedia dell’arte». Anche se in prima istanza l’impresa appare impossibile, in realtà, con le dovute cautele, lo studio della drammaturgia e dei trattati di retorica latina, «interessati, in un modo per noi impensabile, alla gestualità degli attori», giustifica la validità di tale indagine. Petrone, attraverso uno studio comparato dei documenti citati, evidenzia, in modo approfondito e sostanziato, come nei moduli recitativi dell’imitazione e della caricatura, si possa «individuare qualcosa che è passato nella prassi della commedia dell’arte e ne ha forse anche costituito un pezzo di patrimonio professionale».

 

Il mito del don Giovanni è al centro dello studio di Anna Maria Testaverde (I tanti convitati di pietra all’ombra di Molière), che indaga i rapporti problematici tra il Burlador de Sevilla di Tirso de Molina, il Convitato di Pietra di Giacinto Andrea Cicognini (Firenze, 1632), Le festin de Pierre di Biancolelli e il Dom Juan di Molière (1665). Nella migrazione dalla Spagna verso i palchi francesi, il Burlador de Sevilla è passato attraverso il lavoro dei comici italiani. Resta da comprovare quanta parte abbia avuto in questo processo il rimaneggiamento compiuto sul testo dagli accademici fiorentini, in primis proprio il Cicognini. Riferendosi agli spettacoli dei diversi Convitati tenutisi a Firenze e di cui ci sia testimonianza comprovata (1642, 1644, 1657, 1673) Testaverde si appoggia ai percorsi di ricerca sviluppati in quest’ultimo decennio: la «ricostruzione dei canali di trasmissione drammaturgica ‘europea’ attraverso la storia degli attori, delle compagnie dei professionisti, dei repertori accademici ma anche del sistema di ‘protezionismo’ impresariale delle corti». Ci si avvia, così, allo studio dell’ambiente fiorentino, anche, e soprattutto, per quanto riguarda «la ricomposizione del calendario delle stagioni teatrali e degli ambiti di produzione all’interno dei quali furono proposte ignote versioni del Convitato di Pietra». In questo modo si può iniziare ad indagare il ruolo di Firenze quale “filtro” del passaggio dei testi dalla Spagna alla Francia.

 

Tutte le opere di Thomas Corneille, fratello minore del grande tragediografo, hanno tratto ispirazione da altre dei suoi connazionali. Non è rimasta immune da questo processo di ‘rifacimento’ quella che può essere definita la sua commedia più famosa: Le Festin de Pierre (1677), «che sostenne la fama del cadetto Corneille più a lungo fino alla metà dell’Ottocento». Françoise DecroisetteTracce degli Italiani nel “Festin de Pierre” di Thomas Corneille (1677) – prescinde da qualsiasi paragone con il Dom Juan, per concentrarsi sull’analisi delle quattro nuove scene del testo corneilliano (III.2; III.3; III.4 e V.3), in cui è dato particolare rilievo a tre nuovi personaggi femminili, assenti dall’opera di Molìere: Léonor, sua zia Thérèse e la sua nutrice Pascale. Decroisette evidenzia che Léonor deriva dal modello femminile presente nei canovacci della commedia dell’arte, riguardanti il mito del don Giovanni, e serve a Corneille «a spiegare il non detto che resta poco chiaro nella Elvire sincretica di Molière».

 

Anche la prima parte del saggio di Siro Ferrone, Sulla tradizione europea della Commedia dell’Arte, relaziona sul Don Giovanni (o Convitato di pietra), mentre la seconda si concentra sul Tartuffe. La finalità delle riflessioni ferroniane è evidenziare come, nell’analisi delle fonti pervenuteci (non solo quelle drammaturgiche intese in senso stretto, evidentemente), sia necessario procedere con la costante consapevolezza della complessità del “gioco delle contaminazioni”, che non sempre è ricostruibile in modo certo ed univoco. Ecco che allora i due miti, cui ci si riferisce, divengono emblematicamente problematici e, proprio per questo, esplicativi. In entrambe le letture proposte, Ferrone cerca di evidenziare i casi «di interferenza (o di imitazione) italiana nell’opera di Molière». Nel caso del Don Giovanni «è innegabile l’importanza della trasmissione fiorentina», scoperta da Annamaria Testaverde, qui per l’appunto ricordata. Ferrone prosegue in questa direzione e mette in luce innumerevoli altri aspetti cronachistici e documentari, che confermano la direttrice Spagna-Napoli-Firenze-Parigi. Per quello che riguarda il Tartuffe, si possono rintracciare interessanti coincidenze, qualora ci si soffermi a riflettere sulla rete di rapporti tra il testo molièriano e la Commedia dell’Arte, alla luce di lavori quali Il Dragone di Moscovia o il Basilisco di Bernagasso e Scaramouche ermite. Anche se la questione non può essere risolta in modo univoco, il punto di forza del saggio è quello di rilevare un ambiente culturale europeo in fermento in un epoca di «meticciato interlinguistico e interculturale, anteriore cioè alla regressione nazionalistica»: necessario dogma interpretativo per qualunque storico del teatro (ma non solo), che voglia avventurarsi nello studio dei fenomeni storico-culturali dell’Ancien Régime.

 

Una corretta metodologia di indagine è l'elemento imprescindibile per una obiettiva valorizzazione delle personalità artistiche e, di conseguenza, per una non falsata comprensione dei fenomeni ad esse correlati, ognuno inserito nel suo proprio contesto di sviluppo. Partendo dalle teorie esposte da Luigi Riccoboni, indubbia figura di riferimento nel panorama della presenza degli Italiani a Parigi, Renzo Guardenti (Varietà di forme spettacolari: l'esempio della seconda Comédie Italienne) evidenzia che la monumentalità attribuita a quegli scritti rischia di mettere in secondo piano il paritario valore della pratica attoriale dello stesso Riccoboni, nonché «di gettare un cono d'ombra proprio su quel contesto spettacolare d'oltralpe che egli stesso contribuì a creare». Il nodo concettuale che si intende qui affrontare è quello che riguarda l'eliminazione di un vizio di fondo, che può inficiare il lavoro dello storico: lo statuto di «grandezza immortale» conferito ad alcuni “giganti” del passato può comportare la minimizzazione o addirittura la rimozione «sia dei contesti che hanno consentito a certi personaggi di emergere e di affermarsi, sia dei fenomeni che a loro si sono succeduti nel corso della storia». L'analisi che Guardenti conduce, in relazione alla Nouvelle Comédie Italienne, prende le mosse dall’astrazione dalle teorie di Riccoboni e dall'applicazione di una metodologia di indagine del fenomeno «secondo un'ottica complessiva» volta a individuare le linee di tendenza e le strategie artistiche e gestionali dell’operato di Riccoboni, collocandolo nel particolare contesto della spettacolarità parigina del Settecento.

 

La Commedia dell’Arte ha influenzato in modo sostanziale, a partire da Craig, il lavoro degli artisti del Novecento impegnati in un profondo rinnovamento dell’Arte del Teatro, in senso artistico più che produttivo. Maria Ines Aliverti (Jacques Copeau e la Commedia dell’Arte) espone il ricco e complesso rapporto che ha legato il lavoro di Jacques Copeau a quello del mondo dell’Improvvisa, emblematico in questo senso. L’artista francese sapeva «che qualcosa manca alla drammaturgia d’autore contemporanea» ed era consapevole che la Commedia dell’Arte rappresentava la possibilità concreta per far evolvere il Teatro verso la sua rinascita, oltre che un imprescindibile strumento pedagogico per gli attori. Indicativo il fatto che alla fine delle due stagioni americane (1917-1919), nell’elenco delle rappresentazioni più riuscite, Copeau indicasse quasi esclusivamente le “farse italo-fancesi” di Molière: con questo termine, infatti, Copeau intendeva «quella contaminazione tra la farsa francese e la commedia all’improvviso dei comici italiani, che si realizzò in Francia a partire dalla fine del XVI secolo». Infine, Aliverti evidenzia che non solo Copeau fu influenzato dall’arte dei comici italiani, ma che egli, dopo la dissoluzione della sua scuola, ha lavorato con i Copiaus (1924-1929) nella direzione di una vera e propria renovatio della Commedia dell’Arte.

 

Giulio Ferroni, indagando le Forme del comico in età barocca, enuncia il postulato secondo il quale il tema presentato è indissolubilmente legato alla dicotomia realtà-finzione, tanto che anche laddove ci si muova in un ‘ambiente’ da tragedia, la presenza di questo incontro-scontro rinvia subito a un clima ‘leggero’. Per contro, e a conferma, qualora il confine si perda e la finzione venga confusa con la realtà si raggiungono toni altamente tragici: emblematica in questo senso la “teatralità” intrinseca alla vicenda di San Genesio, che la genialità di Lope de Vega ha còlto e condensato in Lo fingido verdadero. Questo testo è il punto di partenza delle esemplificazioni di Ferroni, che continuano con: Orlando Furioso di Ludovico Ariosto; Il marito, La gelosa Isabella, Li duo vecchi gemelli, Li duo capitani simili, Lo specchio e La commedia in commedia dagli scenari di Flaminio Scala; Le due comedie in comedia di Giovan Battista Andreini; L'illusion comique di Pierre Corneille.

 

Ulteriore approfondimento il saggio di Quinto Marini, Ambiguità e polivalenza del comico nella letteratura dell’età barocca. Partendo da una riflessione intorno alla natura di Bertoldo e Bertoldino di Giulio Cesare Croce, Marini ribadisce, confermandole, le tesi di Ferroni. Egli, in più, amplia gli orizzonti dell’indagine: il comico è analizzato non solo come meccanismo connaturato alla commedia, ma come una «categoria ideologica», qualificante tutta la letteratura barocca, «la cui caratteristica è proprio l’ambiguità e la polivalenza, la sua presenza surrettizia in generi e spazi non propriamente suoi».

 

Si segnala, infine, il saggio di Daniele Vianello, Maschere, commedie all’italiana e teatro dei Gesuiti in area tedesca del XVI secolo che approfondisce ulteriormente il lavoro da lui stesso già esposto in L’arte del buffone. Maschere e spettacolo tra Italia e Baviera nel XVI secolo (2005).

 

Il volume è concluso e arricchito dalla ampia sezione delle bibliografie (pp. 297-503), ciascuna delle quali è preceduta da una introduzione, a cura del compilatore della stessa (tranne nel caso di quella italiana, il cui saggio introduttivo è di Aliverti): Maurizio Massimo Bianco, Sulle tracce del gesto: breve excursus bibliografico; Maria Ines Aliverti e Giulia Filacanapa, Gli studi italiani sulla Commedia dell’Arte dal 1996 a oggi; Emanuele de Luca, La commedia dell’Arte in Francia. Bibliografia; Diego Passera, Bibliografia degli studi anglo-americani sulla Commedia dell’Arte; Riccardo Lestini, Bibliografia spagnola e tedesca sulla Commedia dell’Arte; Irina Kurneva, Fortuna della Commedia dell’Arte in Russia (materiali della Biblioteca Nazionale Russa a San Pietroburgo).

 

di Diego Passera


La copertina

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