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Schiller-Fest a Perugia. Convegno internazionale. Convegni

 

Resoconto di Uta Treder.

 

Inaugurato nella prestigiosa Sala dei Notari del Palazzo dei Priori si è tenuto, nei giorni 25 e 26 novembre, a Perugia il Convegno internazionale su Friedrich Schiller, “Schiller-Fest”,  in occasione del 250° anniversario della sua nascita. La manifestazione che è proseguita presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia, è stata organizzata dal Dipartimento di Lingue e Letterature Antiche, Moderne e Comparate nelle persone di Hermann Dorowin, Alessandro Tinterri, Leonardo Tofi, della sottoscritta e di Biancamaria Brumana che ha curato la parte musicale e il concerto della sera del 25 nell’Oratorio di S. Cecilia. La germanistica italiana è piuttosto attenta a queste ricorrenze, ma quest’anno le manifestazioni per i vent’anni dalla caduta del muro hanno rubato la scena a Schiller: l’iniziativa perugina è stata l’unica che in Italia ha festeggiato il grande drammaturgo tedesco. Anche in Germania il suo compleanno, che cade il 10 novembre, è stato oscurato dalle solenni celebrazioni, trasmesse in mondovisione, che il giorno prima si erano tenute a Berlino. In questo clima di indifferenza generale, il convegno perugino è passato un po’ in sordina, ma ciò nonostante, o proprio per questo, ha sortito risultati di rilievo, tanto che Wolfgang Riedel (Würzburg), uno dei massimi studiosi di Schiller, riferendosi al nome “Schiller-Fest”, dato alla manifestazione, ha giudicato il simposio perugino una vera festa per la critica schilleriana.

 

Lo studioso tedesco si è stupito subito dell’inizio piuttosto insolito del convegno che, dopo le parole di saluto del Vice Sindaco e di Uta Treder, ha visto protagonista il coro dell’Università di Perugia a esibirsi, per prima cosa, nell’Inno alla gioia, una poesia del 1785, musicata da Beethoven nella Nona Sinfonia e oggi inno europeo, una poesia che il giovane Schiller scrisse in un contesto di straordinaria convivialità e di amicizia tali da indurlo a voler baciare il mondo intero nel segno di quella fratellanza universale che di lì a poco sarebbe stata proclamata dalla Rivoluzione francese.

 

Una delle peculiarità del convegno è stata la presenza di quasi tutta la produzione drammatica da Die Räuber (I  Masnadieri) (1781) all’incompiuto Demetrius, dalla Verschwörung des Fiesko zu Genua (La congiura di Fiesco a Genova) (1784) a Kabale und Liebe (Intrigo e Amore) (1784), al Wallenstein (1799) al Wilhelm Tell (Gugliemo Tell) (1804). Una parte considerevole – ben tre interventi – è toccata a Maria Stuart, sia nella versione schilleriana, che nella messa in musica da parte di Donizetti (Riccardo Morello, Torino), che nei rifacimenti assai interessanti e anche divergenti dall’originale che le donne – in primo luogo le austriache  Marie von Ebner-Eschenbach (Susanne Kord, Londra) e Elfriede Jelinek in Ulrike Maria Stuart (Rita Svandrlik, Firenze) - hanno riservato alla tragedia schilleriana.

 

Nella prolusione Michele Cometa (Palermo) ha analizzato la memorabile lezione inaugurale dal titolo  Was heißt und zu welchem Ende studiert man Universalgeschichte? (Che cos’è e a quale fine si studia la storia universale?)  che  Schiller tenne all’Università di Jena nella primavera 1789, dove era stato chiamato come professore straordinario di storia per i suoi scritti sulla Guerra dei Trent’Anni e sulla Secessione dei Paesi Bassi dalla Spagna. La distinzione di due diverse e contrapposte tipologie di storici – il Brotgelehrter, lo studioso che lavora per guadagnare il pane, e il  Philosophischer Kopf, la testa filosofica – ancora oggi dovrebbe dare da pensare non solo agli storici, ma a tutto il mondo accademico. Alla stessa stregua il concetto di storia universale, così come elaborato da Schiller, nel mondo contemporaneo continua a essere di un’attualità quasi sconcertante e proficuamente potrebbe sostituirsi alla teoria banalizzante e spesso becera della  globalizzazione.

 

Nel secondo intervento La tragedia mancata della principessa Eboli, Maria Carolina Foi  (Trieste) non solo ha rivalutato questo personaggio femminile liberandolo dalla ricorrente e restrittiva definizione di ‘intrigante vendicativa’, ma ha anche messo in risalto come nel corso della lunga genesi del Don Carlos, iniziato nel 1782 e uscito finalmente nel 1787, la figura della principessa spagnola abbia assunto  via via  tratti sempre  più negativi e la sua parte si sia progressivamente assottigliata a tutto vantaggio del carismatico, politicamente corretto e moralmente immacolato, marchese Posa. Se questa lettura rivede l’ormai tradizionale e un po’ fossilizzata interpretazione del quarto dramma di Schiller, l’analisi che Riccardo Concetti (Perugia) compie dei suoi personaggi maschili alla luce dei gender studies la mina alle fondamenta. Partendo dall’eroe del romanzo  Il visionario (Der Geisterseher) (1786)[1],  e allargando il tiro al trio Don Carlo, Marchese Posa, Filippo II, il giovane germanista mostra come alla base delle azioni dei protagonisti sia il tentativo di smarcarsi da una onnipresente, oppressiva figura paterna, al tempo stesso agognata e imitata. Questa dinamica edipica investe anche la figura dell’amico co-protagonista e getta un’ombra di dubbio sui progetti politici di cui l’amicizia, codice sociale centrale nel Settecento, si fa portatrice.

 

Schiller sul palcoscenico è stato un tema trattato due volte, la prima da Lesley Sharpe (Exeter) che ha presentato il duro impatto del giovane autore svevo con la realtà del teatro contemporaneo. Scrivendo tragedie, Schiller era perdente nei  confronti del gusto del pubblico che preferiva il teatro musicale, le commedie e i Familiendramen, i drammi familiari, soprattutto quelli del suo rivale Iffland, il quale, capocomico e commediografo di successo in uno, ha contribuito non poco al mancato rinnovo del contratto di Schiller come drammaturgo al Teatro Nazionale di Mannheim. Così  nel 1784, dopo appena un anno, il venticinquenne si ritrovò sulla strada senza un soldo e con un sacco di debiti, debiti che lo perseguiteranno per una buona parte della sua vita. Solo con l’esperienza del teatro di corte di Weimar, diretto da Goethe e da lui codiretto, e quindi a partire dalla messa in scena del Wallenstein (1799), Schiller ha vissuto un positivo fare teatrale nel senso di un’unità d’intenti fra drammaturgo e regista.

 

La seconda volta il tema di Schiller e il palcoscenico è stato trattato da Alessandro Tinterri (Perugia) che ha incentrato il suo intervento sull’interpretazione, sulla fortuna e anche sulla fama che ad Adelaide Ristori ha fruttato il ruolo di Maria Stuarda (Maria Stuart) (1801). Non è un caso che proprio la Maria Stuarda sia ricca di episodi vivaci della vita teatrale italiana: sovente il contrasto fra le due regine Elisabetta I e Maria Stuarda continuava anche dietro quinte fra le due attrici che recitavano la loro parte. Nella storia del melodramma, poi, è rimasta famosa la  rissa scoppiata fra le due cantanti ingaggiate da Donizetti che durante le prove se le sono date di santa ragione.

Leonardo Tofi (Perugia) si è occupato invece della tragedia precedente a Maria Stuart, la trilogia del Wallenstein (Wallensteins Lager, Die Piccolomini, Wallensteins Tod), (1799). In una puntuale disamina ha letto la trasformazione che Schiller fa compiere al ritratto di Wallenstein che lui stesso in veste di storico aveva tracciato nella Storia della Guerra dei Trent’Anni (Geschichte des Dreißigjährigen Krieges) (1790)[2], come “messa in scena di un  tradimento”. Le ragioni per cui il drammaturgo Schiller si è sentito in dovere di ‘tradire’ lo storico Schiller ci offrono uno sguardo ravvicinato sui segreti del laboratorio teatrale in cui avviene la metamorfosi del personaggio storico in dramatis persona e ci fanno toccare con mano le differenze fra storiografia e letteratura. Un’altra trasformazione sta al centro delle considerazioni linguistiche di Emmanuela Meiwes (Perugia), quella cioè che è intervenuta fra l’opera teatrale Don Carlos e il libretto d’opera francese e italiano del Don Carlo di Verdi. Oltre a tracciare il percorso di erranze e di misreading che il testo schilleriano ha subito nel passaggio dal tedesco al francese  e poi all’italiano, Meiwes punta l’attenzione sulle viandanze linguistiche di alcuni lemmi, nonché sul travaso culturale di alcuni concetti, particolarmente importanti, quale l’amicizia fra il marchese Posa e Carlos che nel libretto italiano viene sostituito da un rapporto di fedeltà.

La parte analitica della prima giornata di studi si è conclusa con la relazione di Biancamaria Brumana (Perugia), sulla messa in musica di testi schilleriani da Verdi a Liszt, relazione che ha preparato il terreno al concerto della sera nel quale la mezzosoprano Milena  Josipovic, accompagnata al pianoforte da Alessandro Roselletti, che si è esibito anche come virtuoso, ha cantato Lieder di Schubert e di Lizst su testi di Schiller, oltre a mostrare le sue doti canore nell’aria Ah quando nell’ara scorgemi della Maria Stuarda di Donizetti e la Canzone del velo dal  Don Carlo  di Verdi.

Anche la comparazione ha giocato un ruolo in questo convegno. Da un lato c’è stata la relazione di Hermann Dorowin (Perugia),  che ha messo a confronto la fiaba teatrale tragicomica Turandot di Carlo Gozzi, andata in scena a Venezia nel 1782, con il rifacimento schilleriano portato sul palcoscenico del teatro di corte di Weimar nel 1802, nel quale diventa centrale il conflitto tragico della protagonista fra amore e orgoglio femminile. Dall’altro Claudia Vitale (Firenze) ha  confrontato due ‘donne guerriere’: la Pulzella d’Oreans (Die Jungfrau von Orleans) (1801) di Schiller e la  Penthesilea (1807) di Kleist la cui affinità sta nell’essere tutte e due estranee al mondo in cui vivono, gebrochene Menschen, esseri umani spezzati, mentre la loro profonda divergenza non è solo di natura estetica, ma si evidenzia anche e soprattutto nel ruolo profetico affidato alla Johanna schilleriana e nella missione storica di pace che deve compiere, laddove Kleist in Penthesilea rappresenta il dolore esistenziale profondo  dal quale non c’è altra via d’uscita che la follia.

Wolfgang Riedel ha portato alla luce “la tragedia nascosta” di Gugliemo Tell che nella generale gioia del popolo svizzero per la liberazione dal tiranno e la realizzazione dell’indipendenza nazionale rimane emarginato perché lui ha pur sempre compiuto l’omicidio che la  rende possibile. Chi scrive ha esaminato il ‘dispotismo politico’ nel Fiesco, il ‘dispotismo del cuore’ in Intrigo e amore, e il ‘dispotismo di donna’ nel personaggio di Marina dell’ultima tragedia incompiuta di Schiller, Demetrius[3]. Infine  Claudia Schlicht (Perugia) ha convincentemente mostrato come l’immagine idealizzata che l’Ottocento ci ha tramandato di Schiller sia uscita dalla penna di Caroline von Wolzogen[4], sua cognata e sua prima biografa. Per conferire al suo ritratto la levigata perfezione di un busto marmoreo, Caroline von Wolzogen, nata von Lengefeld, non solo ha sottaciuto difetti e debolezze del carattere di Schiller, quali l’abuso di tabacco, alcool e altri stimolanti – ma ha anche cancellato se stessa e la propria storia d’amore con Schiller. Prima di sposare la più giovane Charlotte, Schiller fu a lungo indeciso quali delle due sorelle von Lengefeld preferire, e, anzi, sembrava legato da maggiore passione proprio per Caroline, la futura cognata. Ma di questa passione non sono rimaste che poche tracce nelle lettere che Schiller, con molta assiduità, ha scritto alle due sorelle insieme, perché Caroline ha sistematicamente espunto e cancellato i passi compromettenti sia delle lettere, sia di altri documenti di vita, passi che avrebbero potuto intaccare l’immagine di perfezione umana e morale con la  quale lei ha voluto ingessare Schiller per le generazioni a venire e tramandarlo così mummificato fino a noi, tant’è vero, che quest’immagine idealizzata faceva capolino ancora nelle celebrazioni di questo novembre 2009.

Del nutrito programma del convegno non rimane che menzionare il contributo di Jelena Reinhardt esposto di seguito. Wolfgang Riedel che, come eminente studioso di Schiller, è stato presente a quasi tutte le celebrazioni per il  250° anniversario della nascita del poeta svevo,  ha notato  che il denominatore comune a tutte, a partire da quelle degli Stati Uniti, è  stato un incontro tra più generazioni con un passaggio del testimone a quella più giovane, che, nel caso del convegno perugino, si chiama Riccardo Concetti, Jelena Reinhardt, Claudia Schlicht e Claudia Vitale.



[1] Il romanzo, l’unico di Schiller, ambientato a Venezia e rimasto incompiuto perché considerato ‘Brotarbeit’, lavoro per guadagnarsi il pane,, è stato pubblicato a puntate nella rivista, fondata da Schiller, “Rheinische Thalia” nel 1785 e nel 1786 e  con la sua trama  quasi da giallo, ha contribuito molto alla diffusione della rivista.

[2]La storia della Guerra dei Trent’Anni costituisce, insieme alla  Geschichte des Abfalls der Vereinigten Niederlande  von der Spanischen Regierung (Storia della secessione dei Paesi Bassi dal governo spagnolo) (1786), il corpus storico  di Schiller che nel  1789, nell’anno della Rivoluzione francese, gli valse la cattedra di professore straordinario di storia all’università di Jena.

[3] Demetrius è “der betrogene Betrüger”, l’ingannatore ingannato, perché  a un certo punto viene a   sapere  di non essere il figlio dell’ultimo zar legittimo Ivan il Terribile, ma ciò nonostante persiste nell’inganno di presentarsi come zarevic legittimo alla popolazione russa. Alla fine viene ucciso dalla folla furente   per la falsità delle sue rivendicazioni.  .

[4] Caroline von Wolzogen,  Schillers Leben verfaßt aus Erinnerungen der Familie, seinen eigenen Briefen und den Nachrichten seines Freundes Körner (La vita di Schiller, concepita con lìaiutom dei ricordi della sua famiglia e delle sue lettere e le  notizie del suo amico Körner), Stuttgart e Tübingen 1830.

 


 
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Programma del Convegno

 

Vedi saggio di
Jelena Reinhardt

 
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