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Gramsci a Turi e altri testi

A cura di Leonardo Mello

Milano, ubulibri, 2009, pp. 252, € 21,00
ISBN 9788877483157

Sulla scia della riuscita elaborazione di Materiali per una tragedia greca, testo ispirato al terrorismo attivo in Germania negli anni Settanta, Antonio Tarantino attinge nuovamente al serbatoio della contemporaneità per proporre tre pièce ricavate dalla storia italiana, recentemente raccolte da Ubulibri nel volume Gramsci a Turi e altri testi.

L’autore torinese mantiene il collaudato montaggio delle scene secondo una sequenza di brevi e incisivi quadri di generica ispirazione brechtiana.  In Gramsci a Turi, centro del Barese dove fu confinato e processato nel 1928, l’intellettuale sardo vive il calvario della sua esistenza e l’isolamento politico circondato da un esercito di persone, esattamente ventinove, divise tra carcerieri, militanti del Partito Comunista Italiano e rappresentanti del regime fascista. Si colora di farsa la rappresentazione delle gerarchie di regime, con il loro linguaggio vuoto e retorico, imbevuto di luoghi comuni propri della sintassi della dittatura e che si trasmette, con i dovuti filtri legati alla professione, via via all’accademico e al criminologo, al cappellano e al direttore dell’istituto penitenziario. Se la Destra è avvolta di comicità che alimenta di sé una visione squallida e ridicola, anche la rappresentazione della Sinistra si caratterizza per la sua negatività. Tarantino incornicia situazioni di reali divisioni interne, in cui il comune uso terminologico traccia solchi profondi tra la debolezza del linguaggio e la realtà sociale. Ad eccezione di Pietro Sraffa, l’economista che svolge la funzione di raccordo tra Gramsci e il partito, gli altri compagni, tra i quali il segretario Amedeo Bordiga, vivono catturati da tensioni, invidie e malignità, smarriti in analisi e progetti deboli e di poca sostanza. Gramsci parla pochissimo: una prima volta con Sraffa e una seconda con la cognata Tatiana Schucht. Sono gli ultimi momenti di vita di un uomo che poco prima ha scritto una lettera alla moglie carica di sentimento, malinconica e irta di pessimismo rabbioso (“È destino umano che debbano trionfare la banalità, l’occasione priva di senso, il si dice e il si fa?”). Gramsci a Turi termina con il laconico funerale nel cimitero acattolico della piramide di Caio Cestio. Ci sono pochi amici. Non manca il fedele Sraffa. Ancora una volta si afferma la solitudine del leader comunista, in una cornice ambientale avvolta nella pioggia, che diventa metaforica sepoltura delle idee rivoluzionarie sostenute dall’autore dei Quaderni del carcere.

Complotti, raggiri, inganni e ipocrisie animano il testo successivo, Trattato di pace. La commedia, piuttosto corposa tanto da coprire 147 pagine delle 252 complessive del volume, mantiene l’impianto drammaturgico del precedente lavoro Il contesto storico è cambiato. Siamo nel 1943. Il nodo centrale dell’impianto narrativo è il viaggio compiuto dal ministro degli Esteri Alcide De Gasperi a Londra, alla Lancaster House, per negoziare le condizioni di resa italiana in vista del trattato di pace. È accompagnato da un fedele sottosegretario, calco dell’italiano di umile origine anche Zanni moderno sempre alle prese con la fame e dotato di abilità negli intrighi, e da una bellissima e affascinante nobildonna con il ruolo di interprete, poi di fatto donna capace di incantare i diplomatici e non da ultimo lo stesso De Gasperi. Rapidamente l’integrità morale e i suoi principi cattolici sono devastati dalla passione amorosa, repressa e sofferta, animando, nella seconda parte del testo ambientata nei palazzi della capitale, una catena di divertenti colpi di scena, situazioni grottesche, momenti pietosi. La rappresentazione della vita politica vira verso lo spettacolo, assimila gag della rivista e numeri di varietà. Il ruolo pubblico del protagonista rapidamente declina, in parallelo al sopravvento della malinconia sentimentale, alla quale reagisce Donna Franca che orchestra una difficile sfida con la rivale usando gli stessi modi della seduzione. Alla fine il povero e stralunato ministro viene ricoverato in un ospedale per matti, accompagnato da due divertiti infermieri.

Il testo successivo della raccolta ubulibri, Esequie solenni, costituisce il completamento di Trattato di pace. Si tratta di un dialogo ambientato negli anni Sessanta, che “mette in scena una grande vicenda politica entro un grande amore. E viceversa”, come puntualizza Tarantino. Protagoniste sono Franca, vedova De Gasperi, e Leona, ossia Leonilde Jotti. Si sviluppa un dialogo assai animato, a tratti ironico e polemico, dal quale emerge il contrasto tra la dimensione intima e privata della donna e la dimensione pubblica e rappresentativa.

Chiude la raccolta Cara Medea, fulminante e coinvolgente monologo che trasferisce la maga della Colchide nella contemporaneità, per indossarle gli abiti della deportata nel campo di sterminio di Sobibor. Guadagnata la libertà, diventa vittima delle violenze sessuali dei soldati. Giasone paga il fallimento della carriera militare lavorando in un silurificio di Pola. Medea mantiene la sua feroce brutalità. A proposito dell’uccisione dei figli dichiara al marito che “è nata dalla tua stupidità, dalla tua vanità, dalla tua immoralità, che allora mi passavi davanti con la tua bella quando eravamo sfollati a Kirowograd.” Continua l’infanticida: “Che poi io sai ai miei bambini volevo bene, che per una madre prendere un’accetta e spaccarci il cranio ai suoi figli è mica una roba da ridere.”  La donna si pente, cerca di riunirsi all’uomo che l’ha distrutta: “Su, vieni, appoggiati a me, … se sono sopravvissuta a Sobibor e tu al siluruficio di Pola, vuol dire che stasera un posto qualsiasi per dormire lo troviamo. Anche se dio non c’è per nessuno.” Il linguaggio contorno, volutamente sgrammaticato, rispecchia l’anima lacerata da una donna aggredita dalla storia dei nostri giorni.




di Massimo Bertoldi


Gramsci a Turi e altri testi

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