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Theatre Research International


Vol. 33 - Numero speciale - Ottobre 2008
ISSN 0307-8833

Il terzo numero della rivista è uno speciale dedicato alla ‘rappresentazione’ in tutte le sue accezioni, così come viene chiaramente esplicitato da Josette Féral nel suo Introduction: Towards a Genetic Study of Performance - Take 2, in cui il punto di partenza è offerto dalla  seguente considerazione: l’osservazione di una rappresentazione dal punto di vista della platea porta ad ignorare tutto il lavoro preparatorio che si trova a monte della messa in scena stessa. Anche l’analisi genera delle problematiche, in quanto difficilmente potrà coprire ogni singolo momento del processo creativo, che si distingue per il continuo bisogno di essere riconvalidato. Il lavoro che si pone a monte dello spettacolo, la sceneggiatura, il lavoro dell’attore sul personaggio, così come le aggiunte, le sottrazioni e le scelte generate dal lavoro di gruppo sono fondamentali per la comprensione di quanto avviene sul palcoscenico. Vengono così portati alla luce i significati ed è possibile osservare la creatività al lavoro. Questa fase non solo permette una migliore comprensione dello spettacolo, ma anche della fase creativa stessa. Il saggio successivo è di Jean-Marie Thomasseau, che con il suo Towards a Genetic Understanding of Non-contemporary Theatre: Traces, Objects, Methods, comincia la sua analisi affermando che adottando, come prima fase, una distinzione fra quello che è possibile classificare come teatro contemporaneo e quello che invece non può rientrare in questa categoria, è possibile delineare i due campi di investigazione per una genetica del teatro. In questo modo, afferma l’autore, siamo in grado di sottolineare con più efficacia le domande dell’analisi genetica del teatro non-contemporaneo, ossia quel teatro che precede l’epoca dello ‘stage director’.

John Golder, Molière and the Circumstances of Late Seventeenth-Century Rehearsal Practice, porta alla luce alcuni preziosi documenti che permettono di avere un punto di vista privilegiato sulle circostanze durante le quali si svolsero le prove dell’ultimo lavoro di Molière, Le Malade imaginaire. Si tratta per lo più di mémoires dei fornitori della compagnia (luci, riscaldamento ed altro) che, insieme al Registro di la Grange, un calendario giornaliero delle performance, ci permettono di farci un’idea della complessità delle operazioni logistiche per la messa in scena di una comédie-ballet. Infine, mettendo a confronto i piani di lavoro di Molière con quelli di Préville, la sua controparte comica una secolo dopo, emerge che, almeno a livello attoriale, il tempo che Molière dedicava sia allo studio che alla preparazione del gruppo era molto meno intenso rispetto a quello degli attori della Comédie-Française cento anni dopo. 

Marie-Madeleine Mervant-Roux propone invece un saggio che evidenzia come la genetica del teatro si sia inizialmente imposta come branchia del ‘genetic criticism’, trovando da principio una applicazione prettamente letteraria, per poi espandere gradatamente le proprie investigazioni. Prendendo come esempio dimostrativo la prima opera di Marguerite Dura, da cui prende il titolo il saggio proposto da Marie-Madeleine, The Fragility of Beginnings: The First Genetic Stratum of Le Square by Marguerite Duras, l’autrice intende dimostrare i principali effetti di tale disciplina nella gestione di quello che potrebbe definirsi ‘approccio francese’ al processo creativo teatrale. Viene posto quindi in risalto che l’uso di procedure metodologiche applicate allo studio dei manoscritti permette sia di riesaminare dinamicamente i lavori drammatici sia di attuare una critica dei miti che spesso gravitano intorno ad essi. Allo stesso tempo, la comprensione dei differenti materiali testuali e di altri testi prodotti creati, come afferma l’autrice, ‘attorno al palco’ secondo una metodologia coerente rivela una costante inderdipendenza fra tecniche ed arti, nonché il bisogno di implementare i modelli costruiti per arrivare a studi differenti.

Gay Mcauley propone un’analisi ancora più ravvicinata con Not Magic but Work: Rehearsal and the Production of Meaning; infatti, l'autore dimostra che l’osservazione delle prove offre uno spaccato nella ‘creazione teatrale del significato’ che porta all’osservazione diretta della natura contingente e mutevole del processo teatrale di costruzione di significati. Basandosi sulla precedente esperienza derivata dall’aver assistito all’allestimento della produzione (2004) prodotta da Brink Production di 4.48 Psychosis, di Sarah Kane, l’autore produce una dettagliata descrizione di una sola sessione di lavoro ed una panoramica del processo costruttivo del set. Sophie Proust sposta l’attenzione sull’assistente del regista, al fine di classificarne i vari documenti prodotti (prima e durante le prove, durante la messa in scena, a partire dalla ‘prima’). Con il saggio Written Documents of the Assistant Director: A Record of Remaking, l’autrice sottolinea come il lavoro teatrale sia soggetto di studio indipendente ed autonomo. Nel suo contributo afferma che molti registi ritengono non solo utile, ma anche indispensabile, quanto prodotto dai loro assistenti. Pur caratterizzati dall’essere ognuno diverso dall’altro, tali scritti conservano però la memoria di quanto deve essere rifatto, la traccia di un lavoro di cui il pubblico non sospetta neppure l’esistenza. Infatti, contrariamente a quanto comunemente creduto, non è l’attore che conserva la miglior memoria del proprio lavoro.

L’ultimo contributo è di Christine Hamon-Siréjols, The Revival of Plays: A Procedure Open to Question in cui prendendo come elemento di partenza il termine francese "reprise", caratterizzato dal suo essere altamente polisemantico, l’autrice ne propone una nuova definizione, al fine di capirne l’evoluzione storica ed analizzare il contesto in cui i registi lo usano attualmente. Indipendentemente dai motivi -economici, estetici o di altra natura - che possono essere alla base di un revival,  il fenomeno diventa importante se considerato nella prospettiva di una globalizzazione delle maggiori produzioni teatrali. Infatti, se vengono considerate le varie produzioni, in diverse lingue, dell’ “Arlercchino servo di due padroni” portate in scena da Giorgio Strehler è possibile affermare che "in different languages of one performance by Robert Wilson or Robert Lepage, what is at stake in a revival has changed considerably: this is what this article will attempt to clarify".


Carlo Lorini


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