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Il castello di Elsinore


a. XXI, n. 58, 2008, € 18,00

Potranno essere felici i bamboccioni di Padoa Schioppa, sapendo di essere in buona compagnia. Perché alla loro schiera si potrebbe aggiungere un precedente non da poco: l'Ippolito ­– figlio di Teseo – della Fedra di Racine. È una divertente analisi della tragedia a portare Roberto Alonge a concludere, nell'arco di poche pagine, che «Ippolito è un bamboccione, il quale non capisce nulla di politica». Racine, Fedra, i figli (inetti) degli eroi, che apre l'ultimo numero del «Castello di Elsinore», studia l'evoluzione del personaggio dalla prima all'ultima scena del capolavoro del Seicento: ne risulta un uomo non solo di scarse capacità politiche, ma anche ridicolo, ambizioso e «non all'altezza della situazione»: è infatti anche «poco cavalleresco» nel trovare come unica scusa davanti all'ira del padre il riferimento alle origini della matrigna, «Fedra è di tal sangue, Signore, voi lo sapete».

Non vengono trattati con più indulgenza i protagonisti del Chatterton di Alfred de Vigny, che debuttò alla Comdédie Française nel 1835. È ancora Alonge ad analizzare il testo, definendolo, già nel titolo del suo saggio, «malsano». Facendo i conti, nota infatti che i due personaggi al centro della tragedia si sono sposati quando avevano rispettivamente quaranta e quindici anni. «Quasi una storia di pedofilia», commenta lo studioso, che poi continua la sua analisi del capitalismo, del mondo borghese e delle tensioni adulterine nella coppia protagonista del Chatterton.

Elena Randi si sofferma invece con attenzione sul primo allestimento della tragedia di Vigny, ripercorrendo la storia della messinscena. Ricorda che fu l’autore a scegliere il suo cast, e individua nell’attrice protagonista, Marie Dorval, l’amante del Vigny. Il drammaturgo, scrivendo la storia di una relazione adultera, metteva dunque in scena la sua propria vicenda, chiedendo proprio alla sua amante di interpretare sulle scene un ruolo marcatamente autobiografico. Di qui un’attenzione particolare alla recitazione della Dorval: eccellente nella gestualità.  Sarà dunque anche per questo che nello spettacolo si potrà parlare di una Centralità del gesto (così nel titolo): per valorizzare le doti della sua amata, il poeta avrebbe infatti cercato un preciso spartito dei movimenti, che fossero «espressione della dinamica intima individuata».

Un bilancio degli ultimi quindici anni di vita di Jerzy Grotowski è proposto da Franco Perrelli, che ricostruisce il dibattito teorico che accompagnò gli ultimi lavori del maestro polacco. Lo studioso ripercorre la ricerca  condotta dall’artista negli Stati Uniti, a seguito della chiusura del Teatro Laboratorio di Wroclaw (1984). Sono gli anni del Dramma oggettivo, che mirava alla creazione di un’arte sovraindividualistica, capace di svelare le leggi e il fato degli uomini. Perrelli riporta le impressioni e i commenti dei testimoni più noti degli spettacoli di Grotowski: Jan Kott, Ludwik Flaszen, Federico Tiezzi, Ugo Volli, Marco De Marinis e molti altri, soffermandosi con particolare attenzione sugli ultimi anni, trascorsi a Pontedera (dove l’artista si spense nel 1999). Seppure con qualche riserva, lo studioso conclude manifestando la sua ammirazione verso l’impegno «morale forse, nonché artistico» di Grotowski, verso una «Presenza pregnante alternativa all’illusione e alla mera finzione del recitare».

Giulia Vittori mette in parallelo l’opera di Vasilij Kandinskij con quella di Robert Wilson. Dal confronto dei due artisti sembra che il regista americano sia riuscito a portare a compimento il sogno del suo predecessore. Esaminando in questa luce l’opera di Wilson, con particolare attenzione al suo uso dello spazio, si arriva a far coincidere le categorie di “etica” ed “estetica”, e a una ridefinizione del lavoro dell’attore.

La sezione Spettacoli è interamente dedicata a Massimo Castri. Umberto Albini si sofferma sulle sue regie degli euripidei Alcesti ed Ecuba, mentre Alonge e Thea Dellavalle pubblicano due saggi sul suo ultimo Tre sorelle. Che conquista Alonge (che titola il suo intervento Castri bravo Strehler), e spinge la Dellavalle, dopo una lunga e attenta analisi dello spettacolo, a concludere che lo spettacolo è la «constatazione di uno scenario desolante», che rispecchia da vicino la volontà di Cechov, al di là di quelle che furono le soluzioni registiche proposte da Stanivslaskij.  



Gherardo Vitali Rosati

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