Questo libro, innanzi tutto, riempie un vuoto: sullopera romantica tedesca o meglio, su quel coacervo di tendenze musicali ed espressive che, a posteriori, è stato così etichettato mancava il contributo sistematico e ordinatore di uno studioso italiano. Elisabetta Fava colma la lacuna con penna insieme rigorosa e leggera, documentatissima ma colloquiale, quasi a voler seguire quel connubio tra tono “alto” e tono “basso”, sublime e triviale (nel senso non dispregiativo, ma etimologico della parola) che della romantische Oper fu componente estetica statutaria.
Il volume circumnaviga dunque un arcipelago dalle tendenze eterogenee, ma delimitandone subito con chiarezza gli elementi comuni, accompagnando per mano il lettore in un “racconto saggistico” dove Weber, Spohr, Marschner e Lortzing diventano familiari come i personaggi di un romanzo; e, al contempo, chiarendo una volta per tutte il contributo decisivo dato al teatro dopera da compositori fondamentalmente antioperistici come Schubert, Schumann, Loewe e perfino Mendelssohn, la cui men che incompiuta Loreley (tre frammenti in tutto) viene vista dallautrice come il grande appuntamento mancato dellopera romantica tedesca. Al primo Wagner da un lato punto terminale del percorso, dallaltro sua totale rimessa in discussione vengono dedicate le ultime pagine: e anche qui il libro, pur limitandosi a poco più di unistantanea, offre spunti preziosi per ampliare ulteriormente il quadro.
Costretto a seguire un inesausto intrecciarsi di romantische Oper, grosse Oper e grosse romantische Oper, Zauberoper e phantastische Oper, komische Oper e Spieloper, il tutto filtrato dal principio ordinatore della Durchkomposition, il lettore non si perde, grazie alla chiarezza espositiva che permea ogni pagina. Semmai si avverte qualche ripetizione di concetti, un tornare qua e là sugli stessi passi: probabilmente per chiarire in via definitiva nomenclature che non rientrano nel lessico familiare del musicofilo italiano e, forse, anche perché il volume raccoglie materiali elaborati dallautrice nel corso degli anni (Elisabetta Fava ha redatto per il Dizionario dellopera Baldini & Castoldi molte schede relative a opere tedesche della prima metà dellOttocento). Infine ma questi sono criteri puramente editoriali si potrebbe lamentare la mancanza di un indice analitico per titoli (cè solo quello per nomi) e lassenza, in nota ai racconti delle singole opere, dei dramatis personae con relativi ruoli vocali.
A fare di Ondine, vampiri e cavalieri un testo che dovrebbe figurare nella biblioteca non solo dei musicologi, ma di ogni germanista, ci sono poi i continui riferimenti alla letteratura di quei decenni, al di là delle fonti librettistiche: un procedimento ineccepibile, se si pensa allo sforzo congiunto che fecero compositori e letterati per approdare a una definizione tedesca di romanticismo, e se si tiene presente che dobbiamo a un “irregolare” come Hoffmann mezzo narratore e mezzo musicista la prima vera romantische oper (Undine, 1816). Anzi, il libro offre curiosità inedite anche al mero appassionato di letteratura tedesca, aprendo una finestra su lavori ignoti ai lettori italiani: è il caso, per esempio, di Olura, testo postumo di Wilhelm Waiblinger qui citato per i suoi riferimenti al Freischütz di Weber che affrontava in chiave satirica lannoso dibattito su mesmerismo e sonni magnetici.
Tra tante ondine poste in rassegna dal libro, manca allappello un piccolo manipolo: quelle daltronde giunte cronologicamente fuori tempo massimo in rapporto ai parametri romantici di Die Rheinnixen di Offenbach: unopera che solo in questi ultimissimi tempi è riemersa dalle polveri che ne avevano rimosso lesistenza. Il ripescaggio è però sintomatico di un risveglio dinteresse verso questo repertorio, e la timida “Marschner renaissance” che sta soffiando sullItalia (qualche tempo fa Hans Heiling a Cagliari, nei prossimi mesi sembra Der Vampyr a Bologna) parrebbe confermarlo. Chissà che questo volume non faccia ulteriormente da sprone, invogliando qualche direttore artistico a cercare fra tante altre piccole e grandi gemme sepolte dalla Storia: accade di rado che le ricognizioni musicologiche portino un contributo alla programmazione teatrale, ma Ondine, vampiri e cavalieri, così felicemente leggibile, potrebbe rappresentare uneccezione.
di Paolo Patrizi
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