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Il patalogo 30
Annuario del Teatro 2007. Speciale “Quale futuro per il teatro?”
A cura di Franco Quadri

Milano, Ubulibri, 2007, pp. 400, € 59,00
ISBN 88-7748-277-X

Anche questo numero del “Patalogo” conferma la sua funzione di strumento di conoscenza per lo studioso e il lettore appassionato. Il volume si apre con il “Repertorio di un anno” a cura di Barbara Panzeri con Damiano Pignedoli e Antonella Cagali, che raccolgono l’elenco degli spettacoli prodotti in Italia nella precedente stagione, ordinati in modo alfabetico in base al nome dell’ente o dell’artista o del gruppo, accompagnati dalla citazione di brevi recensioni, dichiarazioni di poetica o note di regia, e arricchiti da fotografie.

Il “Referendum dei Premi Ubu 2007” raccoglie i risultati delle preferenze espresse da studiosi e critici teatrali in merito allo spettacolo dell’anno (Studio su Medea di Antonio Latella), regia (Marco Martinelli in Sterminio di Werner Schwab), scenografia (Marco Rossi per Inventato di sana pianta), attore (Saverio La Ruina in Dissonorata), attrice (Ermanna Montanari (Sterminio), attore non protagonista (Elio De Capitani in Angels in America), attrice non protagonista (Monica Piseddu in Le cinque rose di Jennifer), nuovo teatro italiano (Dissonorata), nuovo testo straniero (Sterminio), premi speciali (Festival delle Colline Torinesi). Le foto pubblicate in “Premi Ubu 2007 del Trentennale” sono dedicate agli allestimenti e agli attori vincitori.

Nella “Vetrina di una stagione” Giuseppe Tota Ballardini cura le schede relative ai convegni, a Roberto Agostini compete la sezione libri, le mostre sono affidate a Gennaro Fittipaldi, i premi sono esposti da quest’ultimo con Tota Ballardini. I materiali raccolti da Leonardo Mello per illustrare “I festival in Italia” e da Massimo Marino relativi a “I festival nel mondo”, ricostruiscono una stagione ricca e varia nelle tendenze drammaturgiche e negli orientamenti artistici.

Lo “Speciale 2007”, realizzato da Renata Molinari e Oliviero Ponte di Pino, comprende un intervento di Franco Quadri (Trent’anni dopo), in cui il fondatore e direttore della rivista ripercorre le evoluzioni del teatro dagli anni Ottanta ad oggi a livello nazionale e internazionale, con particolare attenzione alla scrittura e alla regia.

La sezione “Quale futuro per il teatro?” raccoglie interventi firmati da autorevoli personaggi dello spettacolo, o ad esso legati. La risposta di Alberto Arbasino si risolve in un elenco di grandi attori del passato, mentre Georges Banu ricorre alla dialettica riforma/controriforma per legittimare l’importanza del testo e dell’oralità dopo la stagione dominata dalle immagini. La favola di Eugenio Barba racconta la rinascita fantastica del teatro tra 70 anni, dopo la sua soppressione per cause politiche ed economiche. La creazione di tanti luoghi per l’esercizio delle arti sceniche, intesi come spazi creativi della collettività, è il pensiero di Giorgio Barberio Corsetti. Un sogno amaro è riferito da Gianfranco Berardi: un sindaco illustra ai compaesani l’intenzione di costruire un nuovo teatro, si infiammano le discussioni che convincono l’amministrazione a restaurare un edificio malandato, il quale con un gesto di ribellione e dopo una notte di pioggia scompare nel nulla. Alla poesia di Mimmo Borrelli, …Pe’ parta mia…, seguono la cupa visione di Romeo Castellucci, la speranza di Massimo Castri di una legge adeguata ai problemi dello spettacolo, lo sviluppo di un teatro civile che coniughi i valori della pace secondo Roberto Cavosi, mentre Ugo Chiti immagina un “luogo di resistenza”, uno spazio del pensiero emancipato dall’omologazione. Si continua con l’idea cullata da Arturo Cirillo di rafforzare i legami tra gli attori magari facendo nascere delle “famiglie teatrali”. Vincenzo Consolo traccia un breve excursus storico del teatro siciliano e affida ai nuovi drammaturghi (Scaldati, Scimone, Dante, Perrotta) il compito di perpetuare la tradizione.  Un teatro di impeto e follia emerge dalle parole di Luigi de Angelis. Il discorso di Elio De Capitani è un tuffo nel passato segnato da pungenti riflessioni sulla sua esperienza di attore, e un appello affinché il teatro diventi reale alternativa alla televisione e alla logica dello scontro e della violenza; discorso questo in parte ripreso da Pippo Delbuono che alla crisi del teatro contrappone, come antidoto, la forza della resistenza alle troppe ipocrisie della nostra società. Se Emmanuel Demarcy Mota prospetta per l’avvenire “la libera circolazione delle opere teatrali, degli uomini e di diversi approcci”, Gillo Dorfles prevede un futuro imperniato sulla realizzazione di allestimenti prevalentemente visivi e si auspica un recupero della “maestria recitativa” attraverso il corpo e la parola, mentre Edoardo Erba propone il confronto serrato con i generi del passato, e Sergio Escobar parla dell’importanza della memoria storica. Nanni Garella avverte il bisogno di un dialogo più ravvicinato del teatro con la società, per confrontasi con la violenza e le ingiustizie, e per ritrovare la centralità dell’uomo e le forme drammatiche antiche. Provocatoria si presenta la proposta di Aldo Grasso: vietare per cinque anni il teatro alla televisione, così si smetterebbe di dire che “la tv ignora il teatro”, e questo guadagnerebbe la dimensione di sana esclusività. Si colorano di amarezza le parole di Maria Grazia Gregori quando osserva il fallimento della politica, esprime tiepida speranza quando si riferisce alla necessità di conservazione dell’esperienza, per progettare il futuro coordinandosi con il sociale, l’uomo, la sfera delle emozioni. Anche per Saverio La Ruina il futuro è onirico e si definisce in un ricambio sostanziale di amministratori e operatori culturali capaci di progetti ad alto livello e fondati sui valori di libertà, uguaglianza e fratellanza. Virginio Liberti e Annalisa Bianco (Egumteatro) usano la formula dell’aggettivo abbinato all’allestimento, tra i tanti “sognante”, “africano”, “polemico”, “rivoluzionario”, “innamorato”. “Fare […] solo le cose che mi piacciono, senza condizionamenti di sorta”, è l’augurio artistico di Sandro Lombardi. Con Lorenzo Loris ritorna il tema del teatro del futuro come luogo di aggregazione ed incontro di culture diverse, libero da consorterie, e di elemento propulsivo per migliorare il mondo, aggiunge Fausto Malcovati che sottolinea l’importanza di sviluppare il linguaggio delle emozioni. Il discorso di Massimo Marino è diretto ai soggetti coinvolti nella promozione e realizzazione dello spettacolo, e al teatro rivolge un invito particolare: “essere un po’ meno sempre uguale a se stesso, […] e progettare altri luoghi, altre occasioni, altri formati, altri luoghi di lavoro, di pensiero, altre istituzioni”. Secondo Marco Martinelli e Ermanna Montanari il teatro del futuro sta nella sua re-invenzione, nel recupero delle radici sociali, comunicative e umane. Stefano Massini lancia 30 domande, di amara provocazione, una delle quali recita: “Tra 30 anni la ricerca investigherà la pars destruens o la pars costruens?”. Claudio Meldolesi si richiama ai gruppi di ricerca del Nuovo Teatro, emarginati dal sistema, perché si sviluppino accordandosi alle lezioni degli “attori globali” (Carmelo Bene, Marisa Fabbri, Leo de Berardinis). Il modello del teatro antico, contenitore di inquietudini e paure, gioie e aspettative, diventa per Leonardo Mello necessità primaria per il futuro. E' la riabilitazione del valore drammaturgico e letterario del testo, sacrificato e adombrato dalla sperimentazione, il nucleo centrale dell’intervento di Roberto Menin. L’augurio di Renata Molinari si sintetizza in una limpida dichiarazione: “Continuare a fare, continuare a cercare, non stancarsi di scoprire teatro anche dove non lo abbiamo cercato.” Tra ironia e saggezza, Enzo Moscato profila per il teatro né passato né futuro, solo il presente. L’avvenire del teatro, secondo Andrea Nanni, è nelle mani degli artisti giovani e di talento, che, emarginati dai circuiti e per superare lo stallo, devono “riuscire a formare un fronte comune capace di padroneggiare la lingua delle istituzioni”, le quali, così scrive Renato Nicolini, dovrebbero produrre un “sostegno diverso dall’erogazione di denaro pubblico”. Dalla raccolta di materiali e testimonianze dello spettacolo in un archivio centrale per essere oggetto di studio e di confronto con le nuove produzioni, sostenuta da Renato Palazzi, si passa ad Armando Punzo il quale, forte dell’esperienza di regia vissuta per vent’anni con la Compagnia della Fortezza, sogna la Galera Ideale, “luogo di omaggio all’intelligenza e sensibilità umana.” La saggezza di Luca Ronconi si esprime in poche e misurate parole, che non si espongono al futuro (“è capzioso”) se non nella misura che “qualunque futuro mi piace purché risponda alla mia voglia di conoscerlo”. Il lungo discorso di Fausto Russo Alesi mira sull’apertura alla nuova drammaturgia e a un’idea di spettacolo forte, che lasci il segno. Condividono la proiezione di un teatro dell’anima, che illumini le oscurità, le poesie di Giuliano Scabia e di Franco Scaldati. Nella contaminazione delle arti visive e nella confusione dei linguaggi si profila il futuro, secondo Maurizio Scaparro. Trasmettere il fervore creativo e la passione dei grandi maestri della regia, costituisce per Mario Sciaccaluga il percorso per vivere il futuro come “un continente sconosciuto ma conoscibile”.  Dopo la maternità di idee desiderata da Antonio Tarantino e il quadro desolante tracciato da Paolo Terni, che comunque crede al riscatto culturale ed etico del teatro, il lungo Dossier si avvia alla fine, con Federico Tiezzi, il cui pensiero è così sintetizzabile: “Se il teatro ha un futuro, si ricordi di avere un passato”, e con Cristina Ventrucci che riconosce nel teatro di ricerca la via d’uscita.


Massimo Bertoldi


Copertina

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