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Frédéric Strauss

Pedro Almodóvar. Tutto su di me


Torino, Lindau, 2007, ill., pp. 247, € 44.00
ISBN 978-88-7180-63-9
Il momento giusto per riflettere su una strenna natalizia è evidentemente quando l’occasione consumistica è trascorsa. Dopo di allora i libri tornano a dividersi non più in quelli che vendono e tutti gli altri, ma in quelli che passano e quelli che restano. Qui ci troviamo in presenza di un volume ricchissimo, di pregio, di prezzo (notevole anche se non esagerato), ma anche di indubbio valore editoriale. Una edizione Cahiers du Cinéma che in Italia pubblica la casa editrice torinese Lindau inserendovi tutto ciò che rende un libro di cinema un oggetto da sfogliare avidamente: centinaia di foto in grande formato e moltissimi documenti forniti dallo stesso Almodóvar (pagine di sceneggiatura, collage, foto rubate dall’album di famiglia e scattate dallo stesso regista ma anche disegni e oggetti di design firmati dai numerosi amici artisti). Inoltre le lunghe e dettagliate didascalie, poste a corredo delle immagini, innescano percorsi paralleli di visione e lettura (anche critica) in grado di appagare perfino un lettore esigente. Ma siamo ancora al primo livello. Si chiude il libro, sembra di averlo già letto guardandolo così, ma è un’illusione.

Perché poi il volume invita a una seconda lettura. I testi non sono – come spesso purtroppo accade nelle pubblicazioni di grande formato – pretesti per la stampa del materiale iconografico di corredo, al contrario, risultano la sua ragione intima.

Frédéric Strauss, critico cinematografico, è stato per anni vice caporedattore dei «Cahiers du Cinéma» ed oggi è approdato a «Télérama». A partire dai primi anni novanta, come usano fare i critici della rivista francese, Strauss ha incontrato ripetutamente Almodóvar, in occasione dell’uscita di ogni nuovo film, e la lunga frequentazione ha reso infine le conversazioni reversibili nel tempo. La carriera del regista inizia nel 1980, anno di distribuzione del primo lungometraggio, Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, e da quella data inizia l’incalzante assedio delle domande che costituisce l’ossatura di un volume di duecentocinquanta pagine. Lo stile dell’intervistatore rievoca quello che ogni cinefilo e studioso conosce a memoria, la famosa intervista di Truffaut a Hitchcock. Non sembri un paragone fuori luogo: Strauss ha realizzato un cortometraggio e scritto un libro su come si fa un film e Almodóvar sta al cinema postmoderno come Hitchcock sta agli ultimi luminosi bagliori del classico hollywoodiano.

In ogni caso la lunga serie di interviste mette al centro della conversazione la poetica dell’autore quanto la pratica di set e di postproduzione, il problema della scelta e della direzione degli attori fino al design, alla scenografia e alle fertili collaborazioni strette nel tempo con tanti professionisti e artisti della contemporaneità che rendono unici (quantunque molto imitati) i film del regista. È il cinema l’oggetto della conversazione, nella precisa declinazione che assume quando dietro alla macchina da presa, ma anche dietro alla pagina scritta (soggetto, trattamento, sceneggiatura) c’è Pedro Almodóvar.

Mentre si leggono le interviste si scopre che le domande sono accurate, fini, perspicaci, ma le risposte, come lo stile del regista impone, non smettono di sorprendere: sono sempre un po’ spiazzanti. Ad esempio, se Strauss chiede conferma del fatto che le scenografie dei suoi film hanno colori molto "spagnoli", Almodóvar risponde: «La cultura spagnola è molto barocca, ma quella della Mancia è invece di una severità terribile. La vivacità dei miei colori è un modo di lottare contro l’austerità delle mie origini».

Così, al termine della lettura del volume, il cinema del regista sembra più familiare ma anche più profondo di quanto appaia alla prima visione ed è la sua stessa statura artistica a risultare accresciuta grazie a tante, estroverse ed esaustive dichiarazioni. È un cinema solo apparentemente "facile" quello di Almodóvar: in realtà la tessitura di stili e temi che si rincorrono all’interno dell’ormai considerevole filmografia è complessa, stratificata, ramificata. Si finisce per voler rivedere ogni pellicola citata, che è poi il fine ultimo a cui dovrebbero tendere tutti i discorsi critici. Lascio per ultima la sorpresa: mentre si sta leggendo, con il testo dell’intervista "a correre", appaiono alcune pagine isolate: sono testi firmati da Pedro Almodóvar quasi in forma di diario, che apparentemente non hanno relazione con il film di cui si sta parlando. Solo apparentemente.
di Cristina Jandelli


copertina

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