Spiro Scimone è autore e interprete affermato in Italia e allestero, dove vanta traduzioni e messinscene in francese, tedesco e portoghese, in coppia con linseparabile Francesco Sfarmeli. Al suo repertorio, pubblicato da Ubulibri in Teatro (che comprende Nunzio, Bar, La Festa) e il volume con Il cortile, ora si aggiunge lultima fatica del drammaturgo messinese, La busta.
La commedia, scritta in lingua, tratta il comune tema della violenza, ma la rappresentazione si articola in maniera esplicita ed esplosiva. Nelle opere anteriori i personaggi la subivano, nascosta nelle pieghe della loro squallida esistenza di emarginati, mentre i protagonisti di La busta diventano anche esecutori materiali di questa violenza, verbale e fisica. Il linguaggio si mantiene asciutto ed essenziale, la parola, memore delle lezioni di Beckett e Pinter, costruisce una sintassi drammaturgia di vuoti, impermeabili silenzi, tensioni, atmosfere assurde e inquietanti.
La folle vicenda si cala in un contesto che richiama il misterioso Castello kafkiano, soprattutto in apertura di La busta, quando Un Signore entra in una stanza squallida, con una sedia vuota, un armadio e gradini di una lunga scala. Chiede un colloquio con il Presidente, dal quale dice di aver ricevuto una strana “busta” di convocazione. Non sa che potrebbe costituire un atto di accusa oppure essere un indizio di colpa. Il Signore si presenta al Segretario, losca figura che si guarda allo specchio (“qui dentro ci guardiamo molto allo specchio!…”) e che lo tratta come un pericoloso indagato animando martellanti e assurde domande ripetitive per mettere in dubbio la fedeltà delle risposte e produrre uno svuotamento della persona fino allappiattimento, allannullamento.
In alternanza a questa sottile violenza, si consuma lo spietato rito della violenza fisica: cè un Signor X che vive imprigionato nellarmadio e mangia in una ciotola per cani; si sentono urla strazianti; i tocchi di un orologio segnano linizio della prima lezione “a qualcuno per insegnargli la democrazia”. La gratuità della morte selvaggia annovera tra le vittime anche Il Signore, che in un demenziale e drammatico finale viene accusato senza prove di omicidio (“Non lo scriverò mai!! Questo non lo scriverò mai!”), poi preso a pugni e manganellate in testa, finalmente ucciso, quindi appeso ad un gancio come una bestia macellata e trasformato in pasto consumato tra bicchieri di whisky e foto di circostanza.
Scimone rappresenta con efficacia la metafora della società cannibale e lassurdità di un potere che trae forza dallingenuità di chi lo subisce. Il ritmo della danza di morte è dettato dalla violenza gratuita che si incarna in chi esercita soprusi e discriminazioni. E indovinare la schiera dei personaggi, del presente e del passato, cui allude La busta, non è operazione così difficile. Cè limbarazzo della scelta, si potrebbe dire.
Massimo Bertoldi
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