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Vladimiro Bertazzoni

Ismaele Voltolini. 1887-1938
Il tenore mantovano di Roverbella già salutato come il “novello Caruso”

Mantova, Editore Sometti, 2007, pp. 224, € 15,00
ISBN 978-88-7495-239-7

«Se si vuol conoscere un paese occorre frequentare gli scrittori minori, i soli che ne riflettano la natura. I maggiori non vogliono né possono mettersi sullo stesso piano dei loro compatrioti: sono testimoni sospetti». Frutto della penna paradossale di Émile Cioran, l’affermazione si può estendere dal mondo della letteratura a quello della musica e, anche, dagli autori agli interpreti: Del Monaco e Di Stefano, Pavarotti e Domingo sono le punte di un circuito ben altrimenti ramificato, e per capire l’evoluzione, o involuzione, del gusto interpretativo un “minore” è più illuminante di tanti “maggiori” che – in quanto tali – non fanno “tendenza”, ma storia a sé.

Il mantovano Vladimiro Bertazzoni, puntiglioso cultore di storia locale oltre che ex sindaco della propria città, ha già dato alle stampe vari volumi su musicisti e cantanti della patria di Virgilio rimasti inghiottiti dalla Storia, dal compositore Achille Graffigna (1816-1896) al basso Ormondo Maini (1835-1906). Tra tanti carneadi ottocenteschi c’è stato spazio pure per un grande dei giorni nostri (sei anni fa Bertazzoni ha curato la monografia del basso buffo Enzo Dara, anch’egli di Mantova), ma erano i “minori” del diciannovesimo secolo, finora, il terreno principale delle ricognizioni dell’autore.

Ora tocca invece a Ismaele Voltolini da Roverbella (una manciata di chilometri a nord del capoluogo), meteora tenorile dei primi anni Venti del Novecento, di cui restano pochissime, e oggi pressoché introvabili, testimonianze discografiche. Un artista che nel breve periodo della sua notorietà – parlare di fama sarebbe eccessivo – non fece a tempo a venire storicizzato: l’unico a farne un microritratto fu, in Voci parallele (1955), Giacomo Lauri Volpi, che lo accoppiò, all’interno della rassegna di “binomi vocali” che costituiva il volume, a un tenore ben più popolare come Galliano Masini.

Appassionato cronista senza velleità musicologiche, Bertazzoni non tenta una ricognizione critica dell’arte di Voltolini (il repertorio affrontato e il parallelo con Masini sembrerebbero comunque fare di lui un tenore di gusto spiccatamente verista e, dunque, un tipico figlio del proprio tempo). L’autore, piuttosto, preferisce ricostruirne la vita e la carriera: le umili origini di figlio d’un «mercante di ova»; il suo sbarcare il lunario come pollivendolo; i lutti strazianti che lo colpirono nel giro di pochi mesi (nel 1914 muoiono la moglie ventottenne e i figli di sette e due anni); il tardivo debutto (nel 1919, trentaduenne); i rapidissimi successi iniziali e l’altrettanto repentino declinare, restando malinconicamente a galla solo nei teatri minori e minimi, fino a una morte prematura che lo coglie, cinquantunenne, ancora in carriera, per quanto ormai “fuori del giro”.

Bertazzoni prende di rado la parola in prima persona, lasciando che a parlare siano i ritagli di giornali e le interviste a qualche testimone diretto. Ne sortisce un quadro interessante (c’è spazio anche per un paragrafo dedicato alla sorella Irene, mezzosoprano, e al nipote Arnaldo, tenore) sebbene incompleto, data la scarsità delle fonti cui attingere. Soprattutto, resta il “buco nero” del periodo 1926-27: una misteriosa tournée americana che, per motivi mai chiariti, sembra si risolvesse in una clamorosa disfatta professionale di Voltolini e da cui probabilmente partì, forse per contraccolpi psicologico-vocali, il suo declino. Le testimonianze raccolte, comunque, parrebbero avvalorare l’ipotesi di un tenore poco avveduto, e forse mal consigliato, nell’amministrare la propria arte canora.

Lo scrupolo della ricerca non mette la dettagliata cronologia al riparo da qualche lacuna (nell’elenco delle opere interpretate manca all’appello Cristoforo Colombo di Franchetti) e, andando a scavare, è possibile cogliere qualche piccolo strafalcione: ad esempio, si legge che Voltolini, quando fu stroncato da un infarto nel 1938, era impegnato in quei giorni nelle prove di una Gioconda al Teatro Dal Verme di Milano. Ma il Dal Verme aveva cessato ogni attività operistica nel ’33.

Sono peccati veniali d’un volume che apre una finestra su un personaggio non trascurabile o, se si vuole, importante. Di quella particolare importanza, appunto, che hanno i cosiddetti minori.

di Paolo Patrizi


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