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Florinda Cambria

Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud


Pisa, ETS, 2007, pp. 252, € 19,00
ISBN 978-884671739-9

La recente rinascita di interesse per il pensiero di Antonin Artaud (Marsiglia, 1896- Parigi, 1948) - poeta, scrittore, commediografo, attore, regista teatrale, saggista e pensatore fra i pù originali del panorama europeo - si è concentrata in particolare su alcune formule della sua riflessione: il teatro della crudeltà, con la sua ‘violenza’ capace di sconvolgere i princìpi della falsa realtà che ottenebra le percezioni umane, il corpo senza organi, cioè la necessità di “ri fare il corpo" per "ri fare la vita”, l’anatomia dell’uomo come luogo di azione per messaggi rivoluzionari. Il lavoro di Florinda Cambria si concentra sulla nozione di ‘corpo’ che sta alla base della riflessione sul teatro della crudeltà artaudiano alla luce degli ultimi scritti del grande pensatore francese, raccolti postumi dall’amica attrice Paule Thévenin e che aprono una prospettiva nuova sul cammino filosofico di Artaud, pur confermando la  stretta continuità fra la produzione degli anni Venti e Trenta e quella relativa (che qui interessa) ai due anni successivi al rientro a Parigi dall’ospedale psichiatrico di Rodez, prima della morte avvenuta a Parigi nel 1948.

L’approfondimento cui Artaud sottopone il fulcro tematico del ‘corpo’ nella sua ultima e travagliata produzione si spinge al di là dei confini fisiologici e filosofici ai quali era stato ampiamente riferito, poi analizzato nella riflessione giovanile e matura; l’interpretazione definitiva degli ultimi anni tende infatti a scindere drasticamente il corpo nel doppio e articolato “corpo anatomico” e “corpo linguistico”, un retaggio della tradizione occidentale cui Artaud contrappone l’esperienza opposta (mutuata dalla cultura orientale, specie quella balinese) del “corpo simbolico in azione”, che contiene intrinsecamente un dualismo originario. Una “dualità drammatica” finalmente ricostruita che porterà Artaud, proprio negli ultimi due anni di vita, ad elaborare il concetto effiace di “corpo senza organi”, citato un’unica volta in un testo del 1947, Pour en finir avec le jugement de dieu, scritto, montato e registrato per un ciclo organizzato dalla Radio Francese, e che può essere compreso soltanto alla luce della complessa riflessione antecedente, una metodologia che l’autrice persegue per tutto il corso della sua ricostruzione.

Ne deriva un’immagine inedita del pensiero di Artaud, che oltretutto si discosta dalle celebri interpretazioni di Jacques Derrida e Jilles Deleuze. «Ciò che è interessante negli avvenimenti attuali non sono gli avvenimenti veri e propri ma lo stato di ebollizione in cui precipitano gli spiriti; il grado di estrema tensione, lo stato di caos cosciente in cui continuamente ci immergono» (A. Artaud, Il teatro e il suo doppio). Analizzato alla luce dell’ultima riflessione pubblicata postuma, compendio del travaglio fisico, morale e spirituale di una vita, il dettato artaudiano manifesta tutta la sua originalità e modernità. Una ‘rivoluzione’ filosofica di portata etica ma anche politica, che lascia intravedere la possibilità di una riconfigurazione dinamica delle gerarchie del potere, una “disseminazione”  che porterà al tramonto dei corpi attuali (anatomici, geografici, linguistici, giuridici, concettuali) e alla nascita di nuovi, nel confronto necessario e contingente con altre culture e con altri “teatri” e “anatomie” dell’umano. 



Caterina Pagnini


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