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Cineforum
Rivista mensile di cultura cinematografica

Cineforum n. 464, anno 47, maggio 2007, 7.20 euro
«Cineforum 464» si apre con uno speciale dedicato a Centochiodi di Ermanno Olmi, un film molto discusso, sia perché presentato come opera di congedo del regista sia perché mostra una parabola evangelica, dove dietro l’apparente naïveté di un racconto allegorico facilmente decifrabile si scopre una profonda provocazione etica.

L’immagine della crocifissione dei libri per mano del giovane professore di filosofia con cui si apre il film appare quasi una raffinata rappresentazione di arte concettuale, un’inquadratura la cui composizione risulta persino estetizzante e che ripropone per ridondanza, come sottolinea Angelo Signorelli nel suo articolo Teologia delle apparenze, un desiderio di spettacolarizzazione, "una messa in scena che denota un eccesso di intellettualismo". Ed è dall’intellettualismo che il professore, protagonista del film, si vuole allontanare, da quell’apparato sovrastrutturale di saperi che oramai sono puro esercizio teorico, separato dagli altri esseri umani e sospeso dalla vita. Il progressivo avvicinarsi del professore a una nuova realtà con l’incontro di una piccola società arcaica e contadina di un borgo sulle rive del Po, assume stilisticamente i tratti lirici del documentario. È proprio nel tono elegiaco di queste immagini che, come nota Nuccio Lodato, si trova tutta la carica poetica del film di Olmi, in una rappresentazione della natura con il dettaglio dei volti, dell’acqua, delle nuvole.

Dietro la lievità del racconto di Centochiodi, la cui verità appare così evidente da risultar banale, c’è la forza della semplicità e la consapevolezza di una coscienza artistica (quella di Olmi), che veste con gli abiti della parabola una provocazione profonda e un atto di denuncia. Il film infatti non si chiude bene, stemperando i toni di letizia propri della buona novella: il professore viene preso e condannato per il suo gesto sacrilego, contemporaneamente le ruspe arrivano sulle sponde del Po e con esse arriva la speculazione edilizia con la costruzione di un porto fluviale. Oggi (17 luglio 2007) leggiamo sulle pagine di «Repubblica» gli allarmanti rischi dell’emergenza climatica: "Il Po si accorcerà di cento chilometri". All’articolo è allegata una breve intervista a Ermanno Olmi, che citiamo: "Il fiume Po è il ritratto del nostro paese. Il suo degrado, il suo impoverimento, la sua morte, sono il simbolo del generale impoverimento morale, civile, religioso degli italiani. Un degrado del paesaggio fisico a cui corrisponde un degrado umano".

L’utopia sconfitta di Rossellini è lo speciale che Roberto Chiesi dedica al "Manifesto" di Roberto Rossellini, ideato e scritto dal regista nel 1965, letto e presentato alla Sala della Stampa Estera di Roma il 13 luglio dello stesso anno e firmato, oltre che da Rossellini, anche da Gianni Amico, Adriano Aprà, Gian Vittorio Baldi, Bernardo Bertolucci, Tinto Brass e Vittorio Cottafavi.

Nel "Manifesto" Rossellini condensa la sua ambiziosa idea di televisione quale strumento di didattica per la divulgazione della memoria civile e culturale, che diede vita a una decina di opere dedicate alla religione, alla storia e alla filosofia. Il "manifesto" è riportato in questo numero nella sua integrità e mostra un vero e proprio metodo di lavoro e un profondo obiettivo civile della funzione che il "cinema" doveva assumere nel mondo. Rossellini capì che la televisione era un mezzo molto potente di cui non si sarebbe più potuto fare a meno e pensava di utilizzarla non per l’indottrinamento passivo dell’opinione pubblica, ma per la costruzione consapevole dell’identità civile attraverso la memoria storica."Noi operiamo nel campo del cinema e della televisione: vogliamo elaborare degli spettacoli, dei programmi che possano aiutare l’uomo a distinguere gli orizzonti reali del suo mondo. Vogliamo informarlo esaurientemente illustrandogli, in modo divertente, ma scientificamente esatto, tutto ciò che l’arte e i prodotti culturali diffusi con i mezzi audio-visivi gli hanno taciuto o, peggio, hanno ridicolizzato e vilipeso": oggi queste parole appaiono ingenue.

Certo se pensiamo alle fiction attuali resta un imbarazzo neppur vago: cultura e memoria sono diventati nel prodotto medio televisivo spunti narrati per banali ricostruzioni, pretesti per la confezione di spettacoli di intrattenimento. Pensando alla televisione di ora il "manifesto" appare come dice Chiesi "un tragico referto dell’indifesa e vinta utopia di Rossellini come della sconfitta dell’Italia. Il relitto di un’idea in cui un artista aveva creduto e che oggi nessuno potrebbe nemmeno fingere di condividere".

L’ultimo speciale che segnaliamo è Book Robert Aldrich, che, oltre ai saggi di Franco La Polla e Alberto Morsiani, include schede approfondite dei suoi trenta film.

La Polla nel suo articolo L’esercizio innovativo di accostare l’inaccostabile ravvisa nei film di Robert Aldrich il segno di una rivoluzione del regista all’interno del genere, che si pone rispetto al "canone" e alla norma come autore che apre nuove strade. Tra gli altri film che apportano novità radicali alle regole del genere segnaliamo: Un bacio e una pistola, un noir con scene girate alla luce del sole, prodotto del maccartismo, fonte di ammirazione e di ispirazione per i registi della Nouvelle Vague; Che fine ha fatto Baby Jane?, che nel regno incontrastato del thrilling alla Hitchcock e del film con cupe atmosfere alla Roger Corman apporta un aspetto gerontologico orrorifico legato alla malattia mentale; Quella sporca dozzina, che spinge all’estremo le convenzioni del cinema bellico raggiungendo vertici di violenza e di cinismo, che il genere erediterà successivamente; I ragazzi del coro, che estremizza la violenza di un gruppo di poliziotti tutti soggetti a turbe di tipo sessuale.

Il saggio di Morsiani, dal titolo eloquente Uccidete il maschio alpha, ripercorre un leit motiv del cinema di Aldrich, ovvero il ruolo assunto dagli uomini spesso affetti da machismo (nella sua affermazione esasperata o nella sua impotenza). Il maschio alfa è nella logica del gruppo il "capobranco", il maschio dominante che incontra davanti a sé una prova di coraggio o di vigliaccheria, di crudeltà o di cinismo, che gli permetterà di esprimere la sua forza. In questa logica la vita è rappresentata come una spietata lotta per la sopravvivenza dove essere maschio alfa significa saper dominare con stoicismo l’assurdità della natura.

In questa poetica dell’eroe (o meglio dell’antieroe) obiettivo del maschio alfa è paradossalmente la morte, momento della consacrazione del suo valore.

Anna Gilardelli


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