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Theaterheute


nn. 8-9, pp. 96, euro 14,80
ISSN 0040 5507
Il numero doppio di "Theaterheute" si apre con i servizi rivolti ai principali festival estivi che si sono svolti nei paesi di lingua tedesca. La Biennale di Wiesbaden ha proposto 29 coproduzioni in rappresentanza di ventidue Stati e raggruppate in un cartellone dal titolo eloquente circa le caratteristiche del progetto, "Neue Stücke aus Europa". Tra questi, ha riscosso successo Wir. Selbstidentifikation di Nikolaj Chalesin e Natalja Koljada, fondatori nel 2005 del Teatro Libero di Minsk e autori di un testo che apre una riflessione sul recente passato russo.

Proviene da Mosca la compagnia Teatr.doc con la messinscena di Dok.Tor di Elena Isajewa, in cui è protagonista un medico ostacolato nel mestiere dall’arretratezza scientifica e dalla mentalità chiusa del suo paese. Un tema simile ritorna in Emergency Room di Wladimir Pankow. Il fantasma dell’identità europea aleggia in The Locosts di Bibiana Srbljanovic curato dalla regia di Dejan Mijac. Nel conflitto generazionale all’interno di una famiglia si annida la metafora dell’incontro-scontro tra nazionalismi e nuove mentalità di apertura europea.

La guerra è affrontata da The other Side del macedone Dejan Dukovski nell’allestimento del Dramski Teatar Skope. Altro tema approfondito è stato il confronto con la diversità etnica. Il portoghese Jaime Rocha ha realizzato Homen branco, homen negro nella produzione del Teatro Aberto di Lisbona e la regia di Joao Laurenco. Un uomo attivista e antirazzista (Antonio Cordeiro) vive non poche difficoltà morali ed etiche nella costruzione dell’amicizia con uno straniero (Carlos Paca).

Un percorso del Festival di Wiesbaden ha indirizzato l’attenzione alla drammaturgia scandinava, dalla quale è emerso un testo molto interessante, Ned til sol (Giorno e notte) di Erlend Sandem, cupa storia di una famiglia moderna alle prese con la depressione e i problemi dell'alcol allestito dal Norske Teatret di Oslo. 

È di marca ungherese la novità di maggiore rilievo, si tratta di Nibelungen - Park, rielaborazione del Götterdämmerung di Wagner ad opera di Jànos Térey e affidato alla regia di Kornél Mundruczò che trasferisce la saga dei Nibelunghi nella contemporaneità in un intreccio di citazioni tratte dalle Telenovelas con finestre sulla globalizzazione e sul terrorismo. Il contributo inglese è stato dato dal monologo Product di Marx Ravenhill, che affronta con pungente ironia il problema dei mass-media. Non è mancata la presenza italiana, rappresentata da Emma Dante con l’applaudita Vita mia.

Anche il programma della Wiener Festwochen 2006 si è rivelato di qualità, a partire da Faces, riduzione teatrale dell’omonimo film di John Cassavetes del 1968 per mano di Ivo Hoves. Lo spettacolo, coproduzione della Deutschen Spielhausen di Amburgo con il festival Theater der Welt di Stoccarda, è stato presentato con successo nel corso della precedente stagione, come Shaf di Jon Fosse e Schaüdung di Botho Strauß entrambi curati da Luc Bondy, e lo schakesperiano Mac Beth e Virginia Wolf allestiti da Jürgen Gosch. Al pubblico viennese sono state proposte venti novità assolute.

Primeggia Claus Peymann kauft sich eine Hose und geht mit mir essen di Thomas Bernhard: la lettura scenica compete ad Hermann Bell, Carmen-Maja Antoni e allo stesso Peymann, il maggiore regista tedesco di testi bernhardiani, che interpreta se stesso. Jewgenij Grischkowez, ospite abituale della manifestazione viennese, ha offerto al pubblico un suo omaggio ad Edgar Allan Poe, po Po, mentre il gruppo inglese Forced Entertainment ha ideato una performance basata su un monologo in cui si racconta un viaggio mentale negli spazi di una città, in un appartamento, sul tetto di una casa.

Due sono state le produzioni provenienti dal Sudafrica. Tschepang – The Third Testament, ideato e diretto da Lare Foot Newton e interpretato da Mincedise Shabangu, è la storia quasi fiabesca di un paese africano, mentre Relatività: Towship Stories dell’autore e regista Mpumelelo Paul Grootboom si cala in un contesto di violenza e criminalità.

Chiude questa articolata rassegna un articolo dedicato al KunstenFESTIVAL des Arts di Bruxelles. La dodicesima edizione ha proposto spettacoli di danza e teatro e numerosi film all’insegna della provocazione. Tra le novità spicca Winch only di Christoph Marthaler e Anna Viebrock, rappresentazione in chiave visionaria dei sogni di una strana famiglia interpretata da attori qualificati come Marc Bodnar, Olivia Grigolli, Rosemary Hardy e Sasha Rau. Hier ist der Apparat di Chris Kondek si ispira a Brecht e sulla scena si avvale di monitor televisivi, radio e computer. Curiosità ha destato La Marea dell’argentino Mariano Pensotti, che ha visto gli attori della compagnia impegnati in azioni sceniche negli spazi urbani della capitale.

In "Erste Runde" si leggono le interviste rilasciate da Elmar Goederen, Anselm Weber e Friedrich Schirmer, rispettivamente direttori della Schauspielhaus di Bochum, del Grillo-Theater di Bochum e della Deutschen Schauspielhaus di Amburgo, che tracciano il bilancio artistico e manageriale del loro primo anno di attività con uno sguardo ai progetti futuri.

La consueta panoramica rivolta alla scena internazionale ("Ausland") si occupa della Royal Court di Londra, dove sono stati allestiti due testi legati alla guerra in Iraq. Protagonista di Motortown di Stephen Simon è un militare inglese (Daniel Mays) di stanza a Bassora, ora rientrato in patria, incapace di reintegrarsi nella vita quotidiana e di comunicare affetti e sentimenti se non attraverso il linguaggio della violenza. La regia è di Ramin Gray, gli altri attori sono Richard Graham e Ony Uhiara. Dying City, novità di Christopher Shinn racconta la complessa relazione tra la moglie e il fratello gemello (Andrei Scott) di un soldato morto, uniti dalla volontà di ricostruire la psicologia alterata del defunto durante la guerra attraverso la decifrazione di misteriose lettere.

Sono durati due anni i lavori di restauro del Theater am Goetheplatz di Brema che, pur conservando la struttura originaria, si presenta dotato di sofisticati e moderni impianti tecnologici.

Nel dossier "Die Kunst der Bühne" si espongono le caratteristiche artistiche ed estetiche delle scenografie più evolute emerse in Germania, per verificare le relazioni intercorrenti tra il movimento degli attori e le linee della regia. Coppia consolidata e unita da sinergia creativa lo scenografo Johannes Schütz e il regista Jürgen Gosch presentano paesaggi scenografici vuoti, senza prospettiva e quinta, con oggetti comuni, sedie di plastica rossa e tavoli appoggiati su un pavimento macchiato in Mac Beth, con gli attori in mutande (Schauspielhaus di Düsseldorf, 2005). Si costruisce sulla negazione dell’illusionismo, con aperture al simbolismo la linea seguita dalla scenografa Katrin Nottrodt per gli spettacoli curati da Nicolas Stemann, tra i quali Babel e Das Werk di Elfriede Jelinek nel Burgtheater di Vienna. Verso un realismo contaminato da elementi ironici si muove l’organizzazione dello spazio scenico concepita da Thomas Deißigacker, autore di suggestivi impianti scenografici per gli allestimenti di Karin Beier, come Wir wollen den Messias jetzt di Franzobel al Burgtheater di Vienna nel 2005, Herr Puntila und sein Knecht Matti di Bertolt Brecht per la regia di Marlon Metzen in scena nel Nationaltheater di Mannheim nel 2003.

Il ritratto del mese ("Porträt") è dedicato a David Greig, emergente drammaturgo scozzese. L’articolo ripercorre la carriera, divisa tra Glasgow ed Edimburgo, per poi trionfare a Londra e allargare il raggio del successo in Europa, Germania compresa. A Magdeburgo Tobias Wellemeyer ha curato la messinscena di San Diego. Il testo, scritto nel 2003 e tradotto in tedesco da Barbara Christ, si legge nella sezione "Das Stück" di Theaterheute.


Massimo Bertoldi

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