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Segnocinema
Rivista cinematografica bimestrale

numero 140, luglio-agosto 2006, anno XXV, € 6,00
ISSN 0393-3865

Il numero 140 di Segnocinema si apre all’insegna di uno scritto acuto, ironico e intelligente firmato da Luca Bandirali ed Enrico Terrone, All’armi siam gli autori. In un lungo itinerario "tendenzioso" fra i reparti del cinema d’autore, i due redattori della rivista vanno all’attacco di quello che per la grande schiera dei cinéphiles è "il" cinema, cioè quello dei tanto amati-odiati autori: il cinema, cioè, a cui si chiede sempre la grande qualità, la continuità tra passato e presente, lo spessore estetico, la riconoscibilità "autoriale", appunto. Dividendo la fitta schiera di nomi in vecchia guardia, riservisti, reclute, legione straniera e disertori, si procede ad una curiosa tassonomia che, prendendo in esame le ultime opere dei grandi nomi del cinema contemporaneo, da Wenders alla Coppola, da Kim Ki-Duk a Tarantino, cerca di smascherare gli stereotipi e le etichette che il pubblico e la critica hanno cucito addosso ai tanto amati beniamini del cinema d’autore. Con una certa dose di sano cinismo Bandirali e Terrone mettono nel tritacarne la quasi totalità dell’enstablishment autoriale del cinema mondiale, salvando una sparuta schiera di "disertori" a cui sarebbero affidate (involontariamente) le sorti future del cinema. Qualche nome?: Sokurov, Soderbergh, Crowe, Gitai, Tsai Ming-Liang, Spielberg, Zemekis, Scott, De Palma, Ferrara, Lynch, Polanski, Guédiguian, Amelio, Bellocchio, Salvatores, per citarne alcuni. Se da un lato il breve saggio è acuto e coraggioso nella sua volontà dissacrante ed è la conferma di una vivacità intellettuale polemica e mai banale, dall’altro però si ha l’impressione che i due redattori si siano fatti prendere un po’ troppo la mano dalla loro pars destruens, confondendo in un grande calderone troppi nomi e troppi percorsi artistici diversi e a volte antitetici tra loro. Alla fine la compilazione dell’ultima "lista", quella dei cosiddetti "disertori", appare un po’ arbitraria nella concessione al gusto personale; le ultime deludenti opere di molti dei registi sopra citati sembrano confermarlo. Ma si può stare comunque al gioco.

Segnospeciale è a cura di Andrea Bellavita ed è dedicato a un genere spesso ingiustamente snobbato dalla critica: l’horror contemporaneo. Noi non abbiamo paura – Sentieri e problemi del New Horror propone una serie di saggi sul presente e sul futuro del genere, stretto tra il passato "glorioso" e le nuove frontiere della percezione. Bellavita pone alcune questioni importanti: il new horror è sempre remake, citazione, pastiche, plagio: i saggi di Menarini (La casa dei mille film – Come l’horror contemporaneo lavora sulla memoria di genere), di Resmini (Nightmare in progress – Il fenomeno del remake nell’horror contemporaneo) e di Antonini (La metà oscura – Il cinema horror e i suoi specchi mediali) ci propongono una mappa dell’horror contemporaneo come un catalogo "intermediale, enciclopedico, universale", in cui si sconta l’impossibilità del cinema contemporaneo di scegliersi qualcosa di "suo" di cui avere paura (ma di questo ha la maggiore "colpa" la televisione, il pubblico che vede le torture di Abu Grahib trova l’orrore lì, nella realtà, e non lo demanda più ad una sua rappresentazione, il cinema), specchio di una società incapace di scegliersi gli oggetti del proprio terrore. Forse il filone di maggior interesse potrebbe essere rintracciabile nella linea "politica" de La casa dei mille corpi di Rob Zombie e di due "non-horror" A history of violence di Cronenberg e Le tre sepolture di Tommy Lee Jones, tre film western che "rimettono in gioco una carica eversiva e destrutturate" (p. 14), in unico grande ritratto della società americana contemporanea.

La restante parte della produzione, vincolata alla ricerca di oggetti e riferimenti altrove, ha ormai perso il "contatto con la realtà", perdendo definitivamente il suo potenziale. E forse il lato più oscuro di questa involuzione del genere è rappresentata dal cinema italiano: De Bernardinis nel suo saggio (Che cosa avete fatto a Solange?- Il buco nero degli schermi nazionali) descrive proprio lo scivolare della produzione nostrana verso la noiosa vacuità autoreferenziale del reality. Il centro del problema, scrive Bellavita, forse è proprio qui, "nella dialettica tra realtà e reality […] o tra realtà e Reale, cioè non rappresentabile, quello che oggi manca al cinema horror" (p. 14). Turrini (Ho camminato con uno zombie – Il realismo dell’orrore ) propone la soluzione: il cinema horror ristabilisca esteticamente il contatto con la realtà, come succede in American nightmare, per non abituarci a non avere più paura. Il che sarebbe davvero angosciante.

Per la rubrica "Festival e rassegne" Pugliese, Rossi e Spanu passano in rassegna i film che, nelle tre principali sezioni (Concorso, Un certain regard, Quinzane des realizateurs), hanno composto la 59 edizione del Festival di Cannes, in un’analisi attenta e puntuale dei temi, dei motivi e delle tendenze viste quest’anno sulla Croisette. Se il concorso si è rivelata una gara inaspettatamente segnata da titoli engagés (la Palma d’Oro data al regista militante Ken Loach è la prova più evidente di che aria tirasse quest’anno a Cannes), Un certain regard si è rivelata deludente, con pochi titoli veramente di rilievo, mentre è stata la Quinzane des réalizateurs a distinguersi per la vivacità e l’eterogeneità della ricerca e dell’espressione autoriale.

Tra le nuove rubriche da segnalare certamente vi è SegnoSound (a cura di Paola Valentini), il cui scopo sarà quello di analizzare il cinema da un punto di vista acustico, proponendo in ogni numero un’analisi degli elementi sonori presenti nel cinema contemporaneo. Il primo film affrontato, con grande competenza, è il King Kong (2005) di Peter Jackson.

Per SegnoHomeVideo l’attenzione si sposta su alcune opere legate a una delle forme più interessanti dell’arte visiva contemporanea: i videoclip musicali. Una forma di ufficializzazione dell’autorialità dei loro directors è proprio la nuova uscita delle serie in dvd di "The work of Director", un’antologia di interessantissimi lavori realizzati da artisti del calibro di Mark Romanek (Sonic Youth, Madonna), Jonathan Glazer (Radiohead, Nick Cave, Jamiroquai), Anton Corbijn (U2, Magazine, Joy Division) e Stéphane Sednaoui (U2, Black Crowes).



Marco Luceri


Segnocinema n. 140, anno XXV, luglio-agosto 2006

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