Riso Amaro da Polidor a Benigni raccoglie materiali già pubblicati in un arco cronologico che si estende dal 1988 al 1999. Giulio Marlia, autore e curatore del volume, spiega nellintroduzione le ragioni della nuova diffusione: la difficile reperibilità dei contributi in via di esaurimento o fuori commercio; l'intento di collegare testi caratterizzati dall'interesse per il cinema comico italiano, con particolare attenzione al rapporto tra tradizione e differenti ambiti disciplinari (teatro, varietà, cabaret, circo) e alla relazione che si instaura nella commedia italiana tra comicità e realismo.
La prima parte del libro offre un quadro teorico in cui collocare il problema attraverso quattro saggi che ripercorrono le tappe fondatali della comicità cinematografica, dai primi esempi del cinema delle origini (Polidor), fino alla generazione dei comici degli anni 80 (Moretti, Verdone, Benigni, Troisi), passando per Scola e la commedia allitaliana.
Nel saggio su Polidor e il cinema comico delle origini Marlia evidenzia il legame dei comici con la tradizione che, dalle farse antiche del mondo greco e romano, dalle performance di artisti girovaghi delle fiere e della commedia dell'arte, dalla pantomima, dalla tradizione circense ottocentesca, fino al teatro di varietà e di rivista, ha contribuito alla creazione di un repertorio capace di configurarsi patrimonio dellattore comico italiano. I comici del cinema delle origini, dai nomi curiosi ed indicativi - Tontolini, Polidor, Cretinetti, Robinet - muovono le loro azioni su un repertorio di effetti e sketch dal sapore universale e secolare. Tuttavia la discendenza di attori come Polidor e Cretinetti dal teatro popolare è considerata da Marlia, secondo un punto di vista che privilegia levoluzione del linguaggio cinematografico, «un handicap, che impedisce ai protagonisti della prima stagione del nostro cinema comico di raggiungere risultati pregevoli sotto il profilo prettamente cinematografico».
Il successo di Polidor (nome darte di Ferdinando Guillaume), uno dei pochi capaci di superare la crisi industriale del cinema italiano dopo la prima guerra mondiale, risiede per Marlia nelle doti acrobatiche e nella capacità di fare del volto un elemento riconoscibile secondo le regole che il nascente divismo cinematografico stava cominciando a dettare; risiede anche, però, in un uso più consapevole del linguaggio cinematografico con l'utilizzo in particolare del montaggio alternato e variazioni di distanza della macchina da presa.
Nei contributi che compongono il volume incontriamo lintento di indagare e di portare ad evidenza i meccanismi del comico, le tecniche e le pulsioni. Per lautore uno dei meccanismi basilari del riso consiste nel desiderio di liberare laggressività repressa, attraverso lindividuazione di una vittima e un testimone: «si ride con qualcuno a danno di qualcun altro».
Dopo lindagine dei comici delle origini il discorso si sposta sulla contemporaneità, sulla commedia allitaliana e sul caso di Scola. Lattenzione alla realtà è lelemento che per Marlia condiziona questo genere, anche perché il comico permetteva alla fine degli anni 50 e 60 di affrontare questioni che la maglia della censura non avrebbe lasciato passare se trattate in contesti drammatici. I temi di denuncia, derivati del neorealismo italiano, potevano essere meglio accettati da censura e spettatori, a patto di ridirci sopra. Durante gli anni 70 tale tipo di interesse sulla realtà continua ma cambia forma. Si affacciano giovani comici (Moretti, Verdone, Troisi, Benigni ecc.), i quali portano in scena non riferimenti diretti alla realtà politica italiana, ma il disagio esistenziale e sociale che quella realtà ha contribuito a creare e di cui la condizione giovanile è limmagine sintomatica.
La seconda parte del libro vede la pubblicazione degli interventi raccolti nellambito del progetto “Si fa per ridere: aspetti del cinema comico italiano”, che nel 1985 fu curato da Sandro Bernardi e Giulio Marlia con la collaborazione di Mario Garriba. Una serie di interviste ai grandi protagonisti del cinema italiano mette a confronto due generazioni, nel momento in cui il processo storico segnava lemergenza di nuove forme di comicità. Da Mario Monicelli e Age fino a Mario e Carlo Verdone, Benigni, Benvenuti, le interviste ripercorrono il desiderio di mettere in luce le diversità ma anche le profonde analogie, cercando di svelare i meccanismi del comico, mostrando come la commedia rappresenti il genere che in forme e tempi diversi ha cercato di raccontare le vicende, le fortune e le tragedie dellItalia del Novecento.
Certo molti protagonisti della comicità che nel libro sono definiti “nuovi comici” hanno chiarito o modificato le proprie posizioni: alcuni hanno cercato e cercano di proporre unoriginale idea di cinema (Moretti), altri hanno smorzato la carica dirompente e trasgressiva (Benigni), altri ancora hanno continuato sulla falsariga delle prime opere senza proporre innovazioni di stile (Verdone), altri si sono semplicemente persi per strada (Nuti). Conoscere il loro percorso iniziale, attraverso le loro stesse dichiarazioni, ci permette di leggere il presente in una prospettiva storica idonea a comprendere passaggi, fratture e soluzioni dei diversi percorsi artistici.
Nel libro torna più volte il legame della comicità di oggi e di ieri con la grande tradizione del teatro comico italiano. È questo legame che ha permesso alla commedia italiana di diventare grande e di far grande i suoi protagonisti: la riflessione sul quotidiano, la fame, il sesso, larte di arrangiarsi, il dramma, lautoriflessività sono temi che si allungano allindietro fino al teatro delle maschere della commedia dellarte. In questo rapporto che la comicità intesse con la realtà e le sue contraddizioni risiede un lascito che aspetta di essere riscoperto e indagato.
Riccardo Castellacci
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