Eric Rohmer scrittore/cineasta
France Cinéma, raggiunta ormai la sua ventesima edizione, ha avuto quest'anno al suo centro una delle figure più complesse e sfumate del cinema francese, Eric Rohmer. L'occasione per la celebrazione è stata offerta da una doppia ricorrenza, nel 2005 Rohmer ha compiuto ottantacinque anni e France Cinéma venti, oltre che da una precisa idea di continuazione rispetto all'edizione precedente del festival dedicata a Truffaut, il quale definì in questi termini il collega: «Rohmer è veramente il grande classico francese, il mio preferito […], quello che pensa di più e che realizza meglio quello che vuole: chiarezza, logica, semplicità di scrittura» (intervista riportata in Aldo Tassone, François Truffaut: professione cinema, France Cinéma 2004).
La manifestazione fiorentina ha visto la presentazione della “Retrospettiva Rohmer” curata da Françoise Pieri, che toccherà altre otto città italiane, con la proiezione di ventiquattro film in lingua originale, alcuni dei quali mai distribuiti in Italia.
Un momento centrale di France Cinéma ha coinciso con la tavola rotonda intitolata “Eric Rohmer scrittore/cineasta”, alla quale erano presenti critici, storici del cinema, studiosi di letteratura francese, registi, attori che hanno lavorato con l'artista, in un prolifico incontro fra ospiti francesi e italiani.
I vari interventi hanno messo in luce alcune caratteristiche della poetica rohmeriana, gli elementi che caratterizzano e fanno di Rohmer un autore capace di attraversare movimenti pur fondamentali della storia del cinema, come la Nouvelle Vague, senza rimanerne schiacciato, subordinato a semplice adepto. Un aspetto spesso rimproverato alla sua opera è la centralità della parola, tanto che in alcuni casi c'è chi ha polemicamente definito il suo un cinema radiofonico, mentre è solo parte, e non l'unica, del suo lavoro: la tavola rotonda ha voluto contribuire ad una maggiore chiarezza interpretativa a tale proposito.
Aldo Tassone, organizzatore e curatore della manifestazione insieme a Françoise Pieri, ha introdotto il dibattito individuando i temi centrali della discussione: il confronto con la “nuova ondata” francese per cui l'artista avrebbe «'attraversato' la Nouvelle Vague, prendendone il meglio – la libertà produttiva, la freschezza narrativa – evitandone tutti i tic»; il rapporto complesso fra modernità e classicità. Bruno Torri, moderatore, ha chiarito i due motivi fondamentali per i quali l'opera del professore di lettere classiche è riconducibile alla Nouvelle Vague: l'esercizio di una pratica critica con l'elaborazione di una teoria cinematografica parallela al fare cinema (Rohmer fu direttore dal 1957 dei “Cahiers du Cinéma” dai quali fu allontanato nel 1962, poiché considerato “troppo classico”); la scelta di girare con budget ridotti. Inoltre Torri ha esposto il rilievo attribuito al “piano di ascolto”, alla necessità di restituire pregnanza alla parola e soprattutto all'atto dell'ascolto e dello scambio dialogico.
Joel Magny, intento a sottolineare il rapporto fra parola e dialogo, ha posto in evidenza la capacità di Rohmer di esprimersi attraverso una precisa strutturazione dello spazio. A simile concetto si è richiamato anche Tinazzi, per la predilezione del regista verso un cinema teso a costruire precise e complesse architetture spaziali (non a caso Murnau e Antonioni sono molto amati dal francese). Lo spazio in Rohmer non ha una valenza univoca, ma è sempre portatore di una forte carica allusiva, simbolica, capace di trascendere il dato prettamente realistico. Tinazzi ponendo al cento della sua relazione la figura di Rohmer critico, che non sempre è allineata alle posizioni del Rohmer regista (anzi egli stesso soleva affermare di essere «portato ad andare contro le mie teorie»), ha esposto una sintetica ma assai rilevante mappa delle preferenze dell'autore dei “Racconti morali”: Renoir, Rossellini, Hitchcock.
Indicazioni preziose sul metodo di lavoro adottato da Rohmer sono venute in particolare da Françoise Etchégaray, produttrice ed anche “production manager” (figura che non si occupa esclusivamente dei problemi economici, ma vera ‘tuttofare' sul set e fuori) di molti film, per un legame professionale durato trent'anni e continua fino ad ora, con l'ultima opera già in via di ultimazione. La produttrice ha raccontato oltre alla profonda attenzione di Rohmer verso la parola, la parte lasciata all'improvvisazione, che nel caso de Le Rayon vert (1986) coincise con tutto il film: niente era stato prestabilito, neanche se la protagonista avrebbe visto o no il raggio verde. Il riferimento a Verne era l'unico punto fisso, insieme alla precisa volontà di esplorare un sentimento umano, la solitudine.
Indicazioni sul metodo di lavoro di Rohmer sono state riportate anche da un'attrice simbolo del suo cinema, Florence Darel, nota interprete di Conte de printemps (1990), che ha riferito la sua esperienza, la troppo libertà che le sembrava concessa sul set, rendendosi conto solo a posteriori della precisa facoltà del regista di intuire le reazioni degli attori e di saperle guidare in funzione di un preciso disegno che aveva già in mente.
Giovanna Angeli ha introdotto un'analisi interessante del rapporto fra il cinema di Rohmer e la letteratura, ricordando alcuni celebri e complessi adattamenti, Perceval le gallois, tratto da Perceval ou le Conte de Graal di Chrétien de Troyes (1130-85), La marquise d'O..., da una novella di Heinrich von Kleist (1808), L'Anglaise et le duc basato sul Diario della mia vita sotto la Rivoluzione Francese di Lady Grace Dalrymple Elliott, senza contare che proprio l'ultimo film in preparazione dall'ottantacinquenne è ispirato ad un monumentale romanzo pastorale del Seicento, L'Astrée di Honoré d'Urfé. La studiosa di letteratura francese offre centralità ad un elemento in molti casi sottovalutato: l'ironia che guida le scelte di Rohmer, il quale ha trattato testi da cui ha estratto un'essenza umoristica che in seguito porta sullo schermo.
Fra i vari interveti quelli dei registi, i francesi Claude Lelouch ed Emmanuel Carrère, e l'italiano Mario Brenta, si sono presentati accomunati da un grande rispetto ed ammirazione verso l'opera del maestro, che tuttavia considerano, per motivi diversi, distante dalla loro idea di cinema.
Altri temi sono emersi durante la tavola rotonda fra cui il profondo sentimento religioso dichiarato più volte dal regista. Tuttavia è stato marcato che non vi è in alcuna delle sue opere un 'a priori' religioso (o politico), poiché non si trova la volontà di ricreare 'a posteriori' un messaggio ideologico.
La discussione ha mostrato come il cinema di Rohmer sia caratterizzato da contrasti, da endiadi, dalla ricerca di una semplicità che non è mai semplicistica. La formula più produttiva cui, forse, può essere ricondotta l'opera del francese, richiamata numerose volte nel corso dei vari interventi, sembra essere quella relativa al difficile equilibrio raggiunto, nella distinzione pascaliana, tra esprit de géométrie ed esprit de finesse.
Nelle interviste inedite di Rohmer curate da Aldo Tassone e riportate nel catalogo della rassegna troviamo un'autodefinizione che molto dice della profonda modestia e dignità intellettuale del regista francese: «Sono un modesto autore di commedie», commedie raffinate certo, «alla Terenzio più che alla Plauto».
La manifestazione fiorentina ha visto la presentazione della “Retrospettiva Rohmer” curata da Françoise Pieri, che toccherà altre otto città italiane, con la proiezione di ventiquattro film in lingua originale, alcuni dei quali mai distribuiti in Italia.
Un momento centrale di France Cinéma ha coinciso con la tavola rotonda intitolata “Eric Rohmer scrittore/cineasta”, alla quale erano presenti critici, storici del cinema, studiosi di letteratura francese, registi, attori che hanno lavorato con l'artista, in un prolifico incontro fra ospiti francesi e italiani.
I vari interventi hanno messo in luce alcune caratteristiche della poetica rohmeriana, gli elementi che caratterizzano e fanno di Rohmer un autore capace di attraversare movimenti pur fondamentali della storia del cinema, come la Nouvelle Vague, senza rimanerne schiacciato, subordinato a semplice adepto. Un aspetto spesso rimproverato alla sua opera è la centralità della parola, tanto che in alcuni casi c'è chi ha polemicamente definito il suo un cinema radiofonico, mentre è solo parte, e non l'unica, del suo lavoro: la tavola rotonda ha voluto contribuire ad una maggiore chiarezza interpretativa a tale proposito.
Aldo Tassone, organizzatore e curatore della manifestazione insieme a Françoise Pieri, ha introdotto il dibattito individuando i temi centrali della discussione: il confronto con la “nuova ondata” francese per cui l'artista avrebbe «'attraversato' la Nouvelle Vague, prendendone il meglio – la libertà produttiva, la freschezza narrativa – evitandone tutti i tic»; il rapporto complesso fra modernità e classicità. Bruno Torri, moderatore, ha chiarito i due motivi fondamentali per i quali l'opera del professore di lettere classiche è riconducibile alla Nouvelle Vague: l'esercizio di una pratica critica con l'elaborazione di una teoria cinematografica parallela al fare cinema (Rohmer fu direttore dal 1957 dei “Cahiers du Cinéma” dai quali fu allontanato nel 1962, poiché considerato “troppo classico”); la scelta di girare con budget ridotti. Inoltre Torri ha esposto il rilievo attribuito al “piano di ascolto”, alla necessità di restituire pregnanza alla parola e soprattutto all'atto dell'ascolto e dello scambio dialogico.
Joel Magny, intento a sottolineare il rapporto fra parola e dialogo, ha posto in evidenza la capacità di Rohmer di esprimersi attraverso una precisa strutturazione dello spazio. A simile concetto si è richiamato anche Tinazzi, per la predilezione del regista verso un cinema teso a costruire precise e complesse architetture spaziali (non a caso Murnau e Antonioni sono molto amati dal francese). Lo spazio in Rohmer non ha una valenza univoca, ma è sempre portatore di una forte carica allusiva, simbolica, capace di trascendere il dato prettamente realistico. Tinazzi ponendo al cento della sua relazione la figura di Rohmer critico, che non sempre è allineata alle posizioni del Rohmer regista (anzi egli stesso soleva affermare di essere «portato ad andare contro le mie teorie»), ha esposto una sintetica ma assai rilevante mappa delle preferenze dell'autore dei “Racconti morali”: Renoir, Rossellini, Hitchcock.
Indicazioni preziose sul metodo di lavoro adottato da Rohmer sono venute in particolare da Françoise Etchégaray, produttrice ed anche “production manager” (figura che non si occupa esclusivamente dei problemi economici, ma vera ‘tuttofare' sul set e fuori) di molti film, per un legame professionale durato trent'anni e continua fino ad ora, con l'ultima opera già in via di ultimazione. La produttrice ha raccontato oltre alla profonda attenzione di Rohmer verso la parola, la parte lasciata all'improvvisazione, che nel caso de Le Rayon vert (1986) coincise con tutto il film: niente era stato prestabilito, neanche se la protagonista avrebbe visto o no il raggio verde. Il riferimento a Verne era l'unico punto fisso, insieme alla precisa volontà di esplorare un sentimento umano, la solitudine.
Indicazioni sul metodo di lavoro di Rohmer sono state riportate anche da un'attrice simbolo del suo cinema, Florence Darel, nota interprete di Conte de printemps (1990), che ha riferito la sua esperienza, la troppo libertà che le sembrava concessa sul set, rendendosi conto solo a posteriori della precisa facoltà del regista di intuire le reazioni degli attori e di saperle guidare in funzione di un preciso disegno che aveva già in mente.
Giovanna Angeli ha introdotto un'analisi interessante del rapporto fra il cinema di Rohmer e la letteratura, ricordando alcuni celebri e complessi adattamenti, Perceval le gallois, tratto da Perceval ou le Conte de Graal di Chrétien de Troyes (1130-85), La marquise d'O..., da una novella di Heinrich von Kleist (1808), L'Anglaise et le duc basato sul Diario della mia vita sotto la Rivoluzione Francese di Lady Grace Dalrymple Elliott, senza contare che proprio l'ultimo film in preparazione dall'ottantacinquenne è ispirato ad un monumentale romanzo pastorale del Seicento, L'Astrée di Honoré d'Urfé. La studiosa di letteratura francese offre centralità ad un elemento in molti casi sottovalutato: l'ironia che guida le scelte di Rohmer, il quale ha trattato testi da cui ha estratto un'essenza umoristica che in seguito porta sullo schermo.
Fra i vari interveti quelli dei registi, i francesi Claude Lelouch ed Emmanuel Carrère, e l'italiano Mario Brenta, si sono presentati accomunati da un grande rispetto ed ammirazione verso l'opera del maestro, che tuttavia considerano, per motivi diversi, distante dalla loro idea di cinema.
Altri temi sono emersi durante la tavola rotonda fra cui il profondo sentimento religioso dichiarato più volte dal regista. Tuttavia è stato marcato che non vi è in alcuna delle sue opere un 'a priori' religioso (o politico), poiché non si trova la volontà di ricreare 'a posteriori' un messaggio ideologico.
La discussione ha mostrato come il cinema di Rohmer sia caratterizzato da contrasti, da endiadi, dalla ricerca di una semplicità che non è mai semplicistica. La formula più produttiva cui, forse, può essere ricondotta l'opera del francese, richiamata numerose volte nel corso dei vari interventi, sembra essere quella relativa al difficile equilibrio raggiunto, nella distinzione pascaliana, tra esprit de géométrie ed esprit de finesse.
Nelle interviste inedite di Rohmer curate da Aldo Tassone e riportate nel catalogo della rassegna troviamo un'autodefinizione che molto dice della profonda modestia e dignità intellettuale del regista francese: «Sono un modesto autore di commedie», commedie raffinate certo, «alla Terenzio più che alla Plauto».
Riccardo Castellacci
Il sito di France Cinéma
e il programma della manifestazione
Michèle Girardon in "La boulangère de Monceau" (1962)