Giovanni Spagnoletti
Free Cinema, British Renaissance
Roma, Aracne, 2003, pp. 262, euro 15,00
ISBN 88 7999 491 3
Data di pubblicazione su web 04/10/2005
![Copertina del volume](../recensioni/img/cat3/1005_spagnoletto_british_1.jpg)
ĞL'artista deve sempre mordere la mano che lo nutre. Deve sempre puntare oltre i limiti della tolleranza. Il suo dovere è quello di essere un mostro. Il terribile vizio della ragionevolezza inglese, il pernicioso vezzo del compromesso, il dono (e con quanto autocompiacimento rivendicato!) di 'non prendere le cose troppo seriamente'. Forse questa non è una cattiva ricetta per sopravvivere, ma non è troppo buona per l'arte. In Inghilterra il vero pericolo per il cinema non è il censore, e neanche il sistema: è il pericolo che la gente non voglia essere messa in discussione né disturbatağ.
Provocatorio, implacabile nelle convinzioni critiche, impositivo: era questo il tono con cui scriveva Lindsay Anderson nel 1963, anno liminare in cui usciva il suo This Sporting Life (ma anche Billy Liar di Schlesinger e Tom Jones di Richardson) e con cui si chiudeva la stagione breve e corrosiva del free cinema, su cui è centrato - oltre che sulla British Renaissance, che di quegli anni è per molti aspetti l'erede - il testo di Spagnoletti in questione, che, articolato in una serie di contributi critici, ha innanzitutto il merito di riportare l'attenzione su autori e film indubbiamente classici ma altrettanto indubbiamente trascurati dall'attenzione critica più recente. L'introduzione, scorrevole, offre un quadro ben delineato dei due fenomeni, indagandone l'emergere e il dispiegarsi attraverso eventi, testi, protagonisti che hanno disegnato la mappa della cinematografia inglese moderna. Perché la stagione del free cinema - iniziata nel 1956, l'anno della prima teatrale di Look Back in Anger di Osborne diretta da Richardson e del festival di corti al National Film Theatre organizzato dallo stesso Anderson - era stata in effetti un tempo segnato da un cinema nuovo, libero per l'appunto: libero dalle costrizioni dell'industria e dall'obbligo della qualità elegante e paludata; libero di esprimere una poetica personale, certo lontana dal primato della fiction e della letterarietà esibita (magari d'ispirazione shakespeariana) ma altrettanto distante dalla freddezza del documentario entomologico alla Grierson. Il documentarismo di Anderson, Richardson, Reisz, Schlesinger - sottolinea ancora Spagnoletti - è un lavoro personale, fatto di una interpretazione soggettiva della società e, soprattutto, degli esseri umani che in essa vivono, sentono, amano, odiano; è un'osservazione simpatetica, partecipata, dichiaratamente parziale delle vicende degli individui che ne sono protagonisti. Si tratta di vedere e sentire - e di denunciare urlando se occorre, ''mordendo la mano che nutre'', come vuole Anderson - con amore e con rabbia, mai con freddezza o asetticità. Troppo spesso liquidato sbrigativamente come antesignano della Nouvelle Vague, con la quale certo condivide la reazione contro il cinéma de papa, il free cinema si comprende meglio attraverso la definizione che amava darsi, ovvero kitchen sink film: il cinema del lavello di cucina: un cinema del quotidiano, dell'odore di cibo, dei resti lasciati nel piatto; un cinema della working class, che racconta le vite dei losers del sottoproletariato urbano immersi in una società gretta, conformista, apatica; un cinema a basso budget, non (troppo) premiato dal pubblico; e un cinema che si esaurisce nell'arco breve degli anni a cavallo dei Sessanta, chiuso dall'irrompere della swinging London, per riemergere, vent'anni dopo e sotto altre forme, nei modi della British Renaissance, ovvero in quei cineasti come Ken Loach, Mike Leigh, Stephen Frears e Derek Jarman che, pur nelle (a tratti notevoli) differenze riportano la cinematografia inglese a buoni risultati quanto a originalità e creatività, anche se non sempre premiati dalla risposta degli spettatori.
Il volume si connota poi, soprattutto, per la mole notevole (e utilissima) di materiali come interviste, dichiarazioni, traduzioni di articoli e saggi brevi. Tra tutti segnalo - oltre alla consueta puntualità di Emanuela Martini a proposito di Stephen Frears - il pugnace e ben documentato saggio di Ceselli su Reisz, che ne rilegge l'intera opera sfidando la dimenticanza in cui il regista di Saturday Night, Sunday Morning è caduto; l'affettuoso ritratto di Ken Loach tracciato da Matteo Ortolani, e il panorama sull' ''anti-autore'' Tony Richardson steso da Serafino Murri. Sul versante dei materiali, senz'altro degni di un'attenta lettura sono i testi di Lindsay Anderson, che ne evidenziano la statura critica e la lucidità intellettuale, e l'abbondante materiale (interviste, materiali di lavoro, dichiarazioni) di e su Derek Jarman. Unico appunto al volume, la presenza di (troppi) refusi ed errori di stampa.
Indice
Giovanni Spagnoletti
Free Cinema/British Renaissance. Due momenti del cinema d'autore in Inghilterra
Lindsay Anderson
Free Cinema vent'anni dopo
Lindsay Anderson
Il Free Cinema 5: una presentazione
Lindsay Anderson
Only Connect. Alcuni aspetti dell'opera di Humphrey Jennings
Roberto Pisoni
Lindsay Anderson e il documentario
Lindsay Anderson
Sport, Life and Art
Jonathan Hacker e David Price
Discussione con Lindsay Anderson
Daniela Ceselli
Karel Reisz e il segno del brink
Serafino Murri
Tony Richardson
Stefano Todini
Richard Lester: una premessa
Neil Sinyard
Esame critico dell'opera di Lester
Diane Rosenfeldt
I convulsi anni Sessanta: la trilogia sui giovani
Giovanna Quercia
John Schlesinger l'umanista
Jonathan Hacker e David Price
Saggio su John Schlesinger
Intervista con John Schlesinger
Matteo Ortolani
La working class inglese attraverso l'occhio discreto di Ken Loach
Emanuela Martini
Mike Leigh. Dolce è la vita?
Graham Fuller
Intervista a Mike Leigh
Francesca Romana Vatteroni
Derek Jarman
Derek Jarman
The Angelic Conversation
Derek Jarman
La tecnica di realizzazione di ''The Angelic Conversation''
Intervista di Derek Jarman
Che tipo di persone pensi che siamo?
Derek Jarman
The Last of England
Intervista di Alfred Birnbaum a Derek Jarman
Dissolvenza sul blu
Emanuela Martini
Un autore che ha capito cos'è il lavoro del regista: Stephen Frears
Carla Scura
''Bollocks to Truffaut!'' A proposito di Stephen Frears