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Intertestualità shakespeariane
Il Cinquecento italiano e il Rinascimento inglese
A cura di Michele Marrapodi

Roma, Bulzoni, 2003, pp. 345, euro 25,00
ISBN 88-8319-856-5

La stesura del volume a cura di Michele Marrapodi prende spunto da Il Cinquecento italiano e il Rinascimento inglese, sessione speciale all'interno del Terzo Convegno Internazionale Rewriting, Remarking, Refashioning: Italian Culture in Early Modern English Drama, tenutosi a Palermo dal 22 al 26 ottobre 2002. Sulla scia del "New Historicism" anglo-americano la serie di contributi presentati, divisi in due sezioni, si pone come un ponte di congiunzione fra due aree culturali sfaccettate e complesse, lungo un percorso di parallelismo e di connessione che coinvolge le relazioni anglo-italiane e soprattutto quelle dinamiche "intertestuali" che nel primo Rinascimento, a partire dal periodo elisabettiano - e avanti fino a raggiungere l'era Stuart e i primi decenni del '600 - legarono così strettamente la letteratura e la cultura teatrale italiana alla drammaturgia inglese.

La prima parte, intitolata Lingua e cultura, si apre con l'interessante saggio di Silvana Sciarrino che ci proietta nel complesso fenomeno della circolazione della cultura e dei modelli letterari italiani nella società inglese. Attribuendo la nascita e lo sviluppo di tale osmosi all'opera di quei teorici della lingua italiana che, rifugiati politici e religiosi, cominciarono a confluire in Inghilterra a partire dal regno di Edoardo VI, si mette in evidenza il caso di John Florio, schoolmaster di rango, 'tutor' di regine, principi e principesse reali (suoi illustri allievi furono Anna di Danimarca, Elisabetta ed Enrico Stuart della famiglia reale di Giacomo I), uno dei principali artefici della diffusione della lingua e della letteratura italiana nelle élites inglesi, nonché autore del più diffuso dizionario italiano-inglese dell'epoca, The Worlde of Wordes (1598). Sempre nella prima parte, Michael J. Redmond affronta il problema della traduzione dei testi italiani attraverso l'analisi del Cortegiano di Baldassarre Castiglione (tradotto da Thomas Hoby nel 1561) e de La civil conversazione di Stefano Guazzo (tradotta da George Pettie e Barthelomeow Young nel 1586), mentre Valerio Viviani concentra il suo studio sulla spesso immaginifica trattatistica dei viaggiatori inglesi nella nostra penisola, evidenziandone la spiccata ideologia "italofoba" - di marcato tratto passionale, corrotto e sanguinario - che scaturisce, in particolare, nei due trattati The Scholmaster di Roger Ascham (1570) e The Unfortunate Traveller di Thomas Nashe(1594). Fra gli altri saggi - quelli di Maria di Venuta che affronta il Viaggio "narrativo"di Giulietta e Romeo, Peter Bilton e Carmelo Spalanca, sulla fortuna in terra inglese rispettivamente di alcune delle novelle di Matteo Bandello e della farsa Il Frate di Anton Francesco Grazzini - Mario Martino affronta la questione della polemica rinascimentale sui generi teatrali, approdata in Inghilterra con l'avvento della tragicommedia di Giovan Battista Guarini Il pastor fido (1601), che tanto influenzò la letteratura e la drammaturgia inglese e qui analizzata in parallelo con la pastorale The Faithful Sheperdness (1608-1609) di John Fletcher.

La seconda parte, Ideologia e Teatro, si concentra sui 'prestiti' drammaturgici e sulla frequenti ricorrenze tematiche italiane all'interno delle opere dei maggiori autori inglesi del tempo. E' il caso di Christopher Marlowe e Barnabe Barnes, qui indagati ancora da Michael J. Redmond in riferimento a due dei loro lavori più importanti, rispettivamente The Jew of Malta e The Devil's Charter; questi due testi hanno in comune l'impiego, all'interno dei rispettivi prologhi, di due illustri italiani in qualità di presenter, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini: il primo a introdurre lo spettatore nel clima cinico e sanguinario della trama del Jew, il secondo a garantire per la veridicità e la accurata ricostruzione storica del dramma di Barnes. Il saggio di Rosalind Kerr si sposta verso il fenomeno della commedia dell'arte italiana, indagandone gli effetti che essa determinò sul modello attoriale e sulla drammaturgia dell'epoca elisabettiana; fra i cinquanta scenari de Il teatro delle favole rappresentative di Flaminio Scala si analizzano La creduta morta e Li tragici successi per evidenziarne la stretta affinità e correlazione con Romeo and Juliet di Shakespeare. Sempre del grande drammaturgo di Stratford-on-Avon ci si occupa nel contributo di Frances K. Barasch, che nell'affrontare un testo di area senese e di matrice erudita come Gl'Ingannati dell'Accademia degli Intronati, ne evidenzia l'incontestabile qualità di fonte primaria per la commedia The Twelfth Night, verificando minuziosamente le numerose affinità tematiche e linguistiche fra i due testi teatrali e riconfermando così l'influenza della commedia nuova italiana su gran parte del corpus drammatico elisabettiano-giacomiano.

Dopo Michele Marrapodi, che affronta l'influenza in suolo inglese della commedia "radicale" di Machiavelli, Aretino e Bruno, e Barbara Majelli, che allo stesso proposito si occupa della novellistica italiana della Controriforma, il volume si conclude con i saggi di Robin Headlam Wells e Attilio Carapezza: il primo si dedica all'analisi delle contaminazioni italiane dell'ultimo Shakespeare, in particolare quello dei drammi romanzeschi qui rappresentati da The Winter's Tale, il secondo, a concludere il periodo cronologico preso in esame, si occupa della tragedia giacomiana prendendo in esame The White Devil di John Webster, chiaro esempio di come i drammaturghi tragici dell'epoca attingessero a piene mani da quella visione 'altra' dell'Italia rinascimentale, sanguinaria e violenta, luogo privilegiato per intrighi di corte e complotti di potere, per denunciare il clima di corruzione morale e politica delle loro corti.




Caterina Pagnini


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