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Tirso de Molina, Molière, Lorenzo Da Ponte, Ödön von Horvàth

Don Giovanni. Variazioni sul mito

A cura di Umberto Curi

Venezia, Marsilio, 2005, pp. 339, € 9,00
ISBN 88-317-8444-7

Il numero delle rielaborazioni teatrali della figura di Don Giovanni è tanto elevato da rendere difficile, forse impossibile, contare i testi che si sono susseguiti dal 1630, anno in cui Tirso de Molina inaugurò il fortunato filone con El burlador de Sevilla y convidado de piedra (L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra). A metà Seicento si assiste ad un fiorire di commedie e tragedie, spettacoli fieristici e scenari della Commedia dell’arte. Sul finire del secolo il personaggio seduttore invade melodrammi e opere buffe, drammi giocosi e commedie per musica, nei primi decenni dell’Ottocento il racconto-saggio di E.T.A. Hoffmann disegna una nuova visione fantastica della personalità dell’eroe e del suo destino che rigenera l’interesse e apre la strada ad inediti scenari e alla parallela proliferazione di opere in prosa, poemi, romanzi, balletti, poemi sinfonici. L’emancipazione dal modello originale continua nel Novecento e coinvolge l’insieme delle discipline espressive, cinema compreso, che concorrono a definire Don Giovanni il mito della modernità.

Una verifica delle tappe evolutive più significative vissute dall’indomito corteggiatore nel corso dei secoli è offerta da una preziosa pubblicazione di Marsilio che raccoglie in volume quattro testimonianze teatrali. Affidato alla cura di Umberto Curi, già autore di Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno (Milano, Mondatori, 2002), il libro è inserito nella serie Variazioni sul mito e affianca analoghi progetti editoriali dedicati a Medea, Orfeo, Fedra, Antigone ed Elettra.

Apre la serie El burlador de Sevilla, l’opera di Tirso de Molina che ha segnato l’avvio alla fortuna del personaggio nella cultura europea. Il drammaturgo spagnolo prese spunto da materiali folklorici di area spagnola e napoletana, ricavò notizie da fonti religiose, drammi e opere teatrali dell’epoca, tra le quali la Storia del conte Leonzio che, corrotto dal Machiavelli, ebbe una fine terribile forse scritta da Jacob Gretser e rappresentata ad Ingolstadt nel 1615. L’elaborazione dell’archetipo di Don Giovanni "non si caratterizza per una generica immoralità di costumi - sottolinea Curi nell’Introduzione (p. 18) - né per un impulso coattivo alla soddisfazione del desiderio sessuale, ma per la negazione della trascendenza e per il rifiuto a riconoscere qualsiasi manifestazione sovrannaturale." Questa interpretazione supera le strettoie dell’etichetta comune di Don Giovanni quale seduttore impenitente e focalizza l’attenzione sul tema dell’incontro-scontro con la credenza che la morte venga a prendere i vivi e che l’uomo morto uccida il suo assassino. L’agghiacciante punizione finale inflitta da Leonzio è una chiara risposta ad una posizione eversiva verso la religione, corrisponde alla vittoria della fede sull’Anticristo-Don Giovanni, perché l’abusare delle donne, ferendole nel loro onore, significa realizzare le teorie morali e politiche elaborate da Machiavelli sull’esercizio della conquista, che per la cultura del XVII secolo è sinonimo di eresia ed ateismo. "Il più grande scellerato che la terra abbaia mai generato", così il servo Sganarello definisce il suo padrone.

Con Molière il Burlador di Tirso diventa Dom Juan, un libertino scettico e senza scrupoli, protagonista di una commedia segnata da sintomatiche traversie. Dopo il debutto nel febbraio 1665 nella sala del Palais-Royal, il capolavoro, con il quale l’autore tentava il rilancio dopo le difficoltà incontrate dal Tartufo, seguono solo quindici repliche con gli incassi che precipitano rapidamente. Un mese dopo il testo fu messo al bando e rimase lontano dai palcoscenici francesi per quasi due secoli. A provocare un simile destino fu la radicalità con la quale Molière avanzò critiche feroci all’ipocrisia e al conformismo della società del suo tempo, smascherando le sue debolezze e denunciando le contraddizioni. Inoltre, l’attento rigore censorio colpì un altro tratto assolutamente originale del personaggio, il suo modo di pensare e interpretare il mondo secondo i principi filosofici del libertinismo. Don Giovanni sostiene che l’amore è "la continuazione della guerra con altri termini", e che la pulsione sessuale è sete di conquista, desiderio di vittoria. L’amore perde la sostanza platonica, si allontana dalla protezione divina, diventa istinto e bisogno in una nuova visione di stampo meccanicistico.

Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, il testo poetico di Lorenzo Da Ponte musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, costituisce il passaggio dal 'parlato' al 'cantato' del mito di Don Giovanni, in un orizzonte dove amore e morte si intrecciano in senso tragico. Scritto di getto in sessantatre giorni di isolamento interrotto solo dalla "compagnia di una giovinetta di sedici anni", come l’autore riferì nelle sue Memorie, il libretto risente dell’influenza della commedia goldoniana. Da Ponte trasformò il libertino Don Giovanni in un "malandrino", lo allontanò dal "dissoluto punito" e dal conquistatore moleriano, per sminuire lo spessore tragico ed enigmatico, trasformandolo in un giovane lezioso privo di scrupoli e dubbi. Indossa gli abiti dell’uomo semplice nella psicologia e fallito nelle sue imprese. Sono interessanti e significativi gli interventi correttivi operati da Mozart nel libretto. Il compositore cercò di restituire forza al mito conferendo alla musica il delicato compito di "contraddirne sistematicamente l’impostazione" - osserva sempre Curi (p. 38) - introducendo "deliberatamente conflitti e dissonanze, scarti e anomalie, squilibri e forzature nella geometria elementare dell’universo delineato da Da Ponte."

Originali rielaborazioni del mito di Don Giovanni, che si allontanano sempre più dalle lezioni dei modelli anteriori, si incontrano nel corso del Novecento. Nella commedia Uomo e superuomo (1901-1903) George Bernard Shaw capovolse l’impostazione tradizionale affidando alle donne il compito di corteggiare Don Giovanni, il quale fugge e si nasconde per poi rassegnarsi al ruolo di colui che garantisce la riproduzione della specie umana. In Don Giovanni o l’amore per la geometria di Max Frisch (1953), l’antico corteggiatore è impegnato con qualsiasi mezzo a sottrarsi alle donne per potersi dedicare in pace alla sua vera passione, l’amore per la geometria. Si iscrive in questa corrente di stravolgimento del mito il dramma Don Giovanni ritorna dalla guerra scritto da Ödön von Horvàth nel 1936 e pubblicato in questo volume. L’autore magiaro ambientò la vicenda in un periodo di crisi, durante "la grande inflazione" del 1919-1923, e trasforma il personaggio in uno smarrito e debole reduce dalla Grande Guerra. Rimane vivo il desiderio erotico che però non significa spregiudicata avventura sessuale bensì ricerca di una perfezione impossibile, sebbene le trentacinque donne coinvolte si sforzino non poco per dimostrare il contrario. Questo Don Giovanni convive con lo struggente desiderio di morte, appagato solo nella scena finale quando si accascia sulla tomba della fidanzata lasciando che la neve lentamente lo trasformi in un "pupazzo di neve" come indica il titolo dello splendido atto terzo.



Massimo Bertoldi


Copertina del volume

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