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Michael Heatley

John Peel - A Life in Music


London, Michael O' Mara Books Ltd, pp. 224, sterline 6.99
ISBN 1-84317-157-0
Quanti, tra gli stessi appassionati di rock, conoscono John Peel?  Pochi, sicuramente. Se volessimo azzardare un paragone italiano con questo personaggio, scomparso nell'ottobre 2004 all'età di 65 anni, potremmo nominare Renzo Arbore, non tanto per la vocazione a showman e musicista di quest'ultimo, quanto per la capacità di scoprire e lanciare nuovi talenti. Peel lo ha fatto in un modo solo, sedendosi davanti al microfono di uno studio radiofonico, in particolar modo di quelli della BBC. E' stato il Disc Jockey per eccellenza di un paese, la Gran Bretagna, verso il quale i fan e gli addetti ai lavori della musica pop-rock devono obbligatoriamente guardare. Per questo i suoi meriti sono indiscussi: il suo intuito lo portava prima di altri a sposare in modo totale artisti e generi, mandarli in onda e imporli al gusto dei suoi concittadini. Un modo per scoprire tutto ciò è il libro che recentemente gli è stato dedicato nella sua terra, John Peel-A life in music, scritto da Michael Heatley e pubblicato dalla londinese Michael O'Mara Books
 

John Peel
John Peel

Peel, all'anagrafe John Ravenscroft, ha legato il suo nome al successo di tantissimi artisti che spesso rappresentavano stili molto differenti. Due nomi per tutti: i Fairport Convention, inventori di un genere, quello del folk-rock britannico destinato a diventare florido di creatività e di musicisti e dagli Stati Uniti Captain Beefheart e la sua Magic Band. Chi scrive ha potuto verificare sul campo nell'aprile 2003 il grande affetto del pubblico inglese che accolse la Magic Band (pur senza il suo leader, ormai divenuto pittore che vive nel deserto americano) per la sua data allo Shepherd's Bush Empire, sicuramente dovuto alla grande opera di divulgazione di Peel. Ma soprattutto Peel capì prima di chiunque altro la rivoluzione del punk e della cosiddetta new wave che si affacciava alla fine degli anni '70. Dopo i grandi successi degli album di Yes, Jethro Tull, Genesis, il rock dei gruppi progressive o etichettati come tali era entrato in una crisi creativa ormai irreversibile; così dai microfoni della BBC venivano trasmessi brani di giovani arrabbiati come Sex Pistols o Clash, e ancora Siouxie and the Banshees e gli Smiths. Un fenomeno che poi sarebbe stato raccontato felicemente da Jonathan Coe nel suo The Rotter's Club (La banda dei brocchi, edito in Italia da Feltrinelli) e che coincideva con la fine di un lungo dominio laburista in politica e con l'inizio dell'era di Margaret Thatcher. Peel non aveva paura di guardare avanti: da giovane era stato in America e proprio lì aveva iniziato la sua carriera di conduttore radiofonico grazie al suo accento di Liverpool nello stesso momento in cui i concittadini Beatles scalavano le classifiche Usa. Non solo, era stato uno dei protagonisti dell'era delle radio pirata che potevano trasmettere solo perché gli studi erano su navi che galleggiavano in acque internazionali (per questo cambiò il suo cognome). L'esperienza di Radio London fu poi portata nella BBC: dopo il punk arrivò l'hip-hop e quindi altri sperimentatori che nei suoi studi trovavano sempre una casa accogliente. Alla sua scomparsa (i suoi 26mila LP, 40mila singoli e 40mila Cd sono conservati nell'edificio della British Library vicino alla stazione di King's Cross) arrivarono tantissime attestazioni di cordoglio, da Tony Blair a Paul McCartney ai musicisti che lo avevano conosciuto, tutte raccolte nel libro. Così come sono raccolte le Festive Fifties dal 1976 al 2003 ovvero i 50 brani più votati dal pubblico a fine anno dopo le sue trasmissioni. Forse è arduo sperare in una traduzione italiana, ma chi ha un po' di familiarità con l'inglese può godere di questa storia che coincide, senza esagerare, con quella del Rock'n'Roll. 
Michele Manzotti


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